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Claims made: l’attesa è terminata

Pochi giorni fa la Cassazione ha fornito la pronuncia definitiva sulla validità della clausola “a prima richiesta” rispetto all’ordinamento italiano: le Sezioni Unite ne confermano la validità rispetto al sistema italiano, inserendo però alcune discriminanti di legittimità

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La Suprema Corte di Cassazione, riunitasi in Sezioni Unite, ha preso posizione (sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016) circa la validità, nel nostro sistema, della clausola contrattuale che caratterizza il regime temporale della gran parte dei contratti assicurativi per la responsabilità civile professionale: la condizione negoziale così detta claims made o a prima richiesta fatta.

In effetti, era oramai più di un anno che un decreto del Primo Presidente della Corte aveva ritenuto di rimettere alle Sezioni Unite la decisione in ordine alla legittimità della clausola claims made, in presenza del supposto contrasto giurisprudenziale sul tema, rilevando una “questione di massima importanza”.

Il contrasto è oggi ben sintetizzato in due decisioni della stessa Corte di Cassazione, che portano a una lettura opposta dei canoni della disciplina normativa dell’assicurazione della responsabilità professionale, contenuta nell’art. 1917 c.c..

Un primo orientamento (che sostiene l’illegittimità della clausola in questione) può farsi risalire, ad esempio, a un passaggio interlocutorio di una recente e notissima sentenza della Corte (la n. 5791 del 13.3.2014), ove è affermato che “al fine della validità del contratto assicurativo, quel che ha da essere futuro rispetto alla stipula del contratto non è il prodursi del danno civilisticamente parlando, ma l’avverarsi della causa di esso” e che “non è infatti mai consentita l’assicurazione di quel rischio i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula, a nulla rilevando che l’evento, e quindi il concreto pregiudizio patrimoniale, si sia verificato dopo la stipula del contratto, quando l’avveramento del sinistro non rappresenta che una conseguenza inevitabile di fatti già avvenuti prima di tale momento”.

Di contro, altre decisioni della stessa Corte hanno affermato (ad esempio nella n. 22891 del 10 novembre 2015) che “il contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola c.d. claims made non rientra nella fattispecie tipica prevista dall’articolo 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico, generalmente lecito ex articolo 1322 c.c. …” e che “pertanto la clausola c.d. claims made non è da considerarsi automaticamente contraria all’ordinamento” ma va valutato caso per caso se “… la stessa prevede limitazioni di responsabilità a favore di chi l’ha predisposta …”.

La chiave nei principi decisori

La decisione (attesissima) resa ora a Sezioni Unite in data 6 maggio 2016, in un’ampia e ben ponderata motivazione, ha reso questi principi decisori, che avranno un impatto rilevante sulla disciplina contrattuale in argomento.

La Corte dunque rileva che:
a)    sul piano esegetico / storico la clausola claims made “consente alla società di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni, con quel che ne consegue, tra l’altro, in punto di facilitazione del calcolo del premio da esigere”;
b)    malgrado la variegata tipologia di clausole in questione offerte dalla prassi commerciale, esse, schematizzando al massimo, appaiono riassumibili in due categorie:
I)    clausole cosiddette miste o impure (copertura per fatto illecito e richiesta risarcitoria in pendenza del periodo assicurativo, salvo pregressa di due o tre anni in genere), e
II)    clausole cosiddette pure, destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato nel periodo di efficacia temporale della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito;
c)    la clausola claims made non viola il principio generale di ossequio alla regola della correttezza e buona fede nelle transazioni commerciali (artt. 1175), con forza tale da rendere nulla la clausola stessa;
d)    non è nemmeno vero che la clausola sarebbe nulla perché farebbe venir meno l’alea del contratto, posto che “la claims made con garanzia pregressa è lecita perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito” (la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata), restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante assicurato (con la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento);
e)    la clausola claims made impura (e a maggior ragione per la pura, secondo l’iter logico della decisione) non è mai da considerare vessatoria, iscrivendosi nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, venendo quindi a delimitare l’oggetto, e non mai la responsabilità.

Legittima ma non del tutto

Vero è però, che non tutte le affermazioni della Corte, in questa decisione che potremmo definire caleidoscopica, vanno nel senso di preservare la validità della clausola in argomento.

Infatti, la clausola in questione, se è lecita sotto altri profili, andrà sempre valutata dal giudice di merito sotto l’aspetto della “nullità per difetto di meritevolezza di tutela della deroga al regime legale contrattualmente stabilito” (art. 1917 c.c.), laddove la stessa presenti particolari condizioni di criticità, ovvero quando determini a carico del consumatore un significativo squilibrio tra diritti e obblighi derivanti dal contratto, ai sensi del d.lgs. N. 206 del 2005.

Quest’ultimo punto necessiterà di importante approfondimento e di analisi dell’impatto pratico che potrà avere sul contenzioso assicurativo e, a monte, sulle politiche commerciali e assuntive delle imprese. Dopo avere infatti precisato che, in linea generale, sono pur sempre legittime le clausole claims made così dette pure (a retroattività illimitata), la Corte ha introdotto una serie di filtri di valutazione di meritevolezza (leggasi legittimità) della stessa clausola.

Non senza effetti sarà poi il richiamo alla considerazione che, in vigenza di un obbligo assicurativo ex lege per il professionista (come è oggi per ogni esercente), ove l’interesse protetto è prevalentemente quello del cliente terzo danneggiato, il giudizio di idoneità della copertura assicurativa sarà sempre negativo ogni qual volta una clausola claims made (comunque articolata, pura o mista) esponga il garantito a buchi di copertura. Ciò in quanto la Corte rammenta che la funzione sociale dell’obbligo assicurativo in questi casi è finalizzato, più che a regolare il rapporto assicurato / assicuratore, a tutelare il “preminente interesse del terzo danneggiato”.



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