Una linea comune contro l’ambiguità delle clausole
Un’annosa questione ha per oggetto l’interpretazione delle clausole del contratto di assicurazione e le conseguenze derivanti dalla scarsa chiarezza delle stesse
13/10/2017
Nonostante l’art. 166 del Codice delle assicurazioni stabilisca che “il contratto e ogni altro documento consegnato dall’impresa al contraente vada redatto in modo chiaro ed esauriente” e, a latere, l’art. 3 del predetto Codice affermi che scopo principale della vigilanza sull’attività assicurativa sia l’adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative, sicché l’Ivass deve accertare la condotta corretta e trasparente nei confronti della clientela, i dettati normativi appena citati non trovano a volte adeguato riscontro nei modelli contrattuali predisposti dalle compagnie.
Accade, infatti, con frequenza, che alcune clausole dei contratti assicurativi abbiano un contenuto ambiguo e impreciso, tale da renderne difficoltosa l’interpretazione.
Preliminarmente alla disamina della recente giurisprudenza di legittimità, occorre rilevare, in estrema sintesi, che i canoni legali di ermeneutica contrattuale previsti dal nostro ordinamento sono soggetti a gradualismo, sicché, nell’interpretazione del contratto, i criteri soggettivi (ex artt. 1362 – 1365 c.c.), anche detti strettamente interpretativi, devono trovare preliminare applicazione rispetto a quelli oggettivi (ex artt. 1367 – 1371 c.c.), cosiddetti interpretativi-integrativi.
Per la Cassazione: il giudice non deve interpretare
Un recente arresto della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 18 gennaio 2016, n. 668) ha effettuato una dettagliata ricognizione di quale debba essere l’applicazione alle clausole del contratto assicurativo del disposto di cui agli artt. 1362 e seguenti del Codice Civile, con riferimento, in particolare, alla corretta individuazione del rischio garantito.
I giudici di legittimità hanno chiarito che “il contratto di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile. Ne consegue che, al cospetto di clausole polisenso, è inibito al giudice attribuire ad esse un significato pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”.
Con riferimento all’art. 1362 c.c., il quale prevede che nell’interpretazione di un contratto si debba indagare anche la comune intenzione delle parti e non ci si limiti al senso letterale delle parole, la sezione III della Corte di Cassazione ha affermato che di fronte a una clausola lessicalmente ambigua, non è possibile fermarsi al significato derivato dalla mera connessione delle parole, in quanto quest’ultimo, in tale circostanza, non esiste.
Invero, laddove la predetta ambiguità non sia superabile mediante i criteri ermeneutici oggettivi di cui all’art. 1362 e seguenti c.c., supplirà a tale impossibilità l’applicazione del criterio dell’interpretatio contra proferentem, con conseguente addebito in capo all’unilaterale predisponente, ossia la compagnia, del rischio che le clausole di tale tenore vengano interpretate dal giudice in senso sfavorevole all’assicuratore.
L’interpretazione dubbia non punisca il contraente
Infatti, facendo riferimento all’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui la finalità perseguita dal disposto di cui all’art. 1370 c.c. è quello di evitare che possano ricadere sull’assicurato “le conseguenze della modestia letteraria o dell’insipienza scrittoria dell’assicuratore”, la Corte spiega come tale favor interpretativo, riconosciuto a beneficio del soggetto che aderisce a condizioni contrattuali generali, com’è d’uso, unilateralmente predisposte da altri, sia coerente con l’obbligo di uberrima bona fides gravante su ambedue le parti contrattuali.
La Suprema Corte sottolinea che tale obbligo impone che il contratto assicurativo sia redatto con “inequivoca chiarezza”, altrimenti addivenendo non solo a contrarietà a buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., ma anche a violazione di quanto normativamente previsto dal sopracitato art. 166 del Codice delle assicurazioni, nonché degli artt. 5 e 31 Reg. Isvap 16.10.2006 n. 5, norme che, ad avviso dei giudici di legittimità “non costituiscono altro che emersione normativa d’un precetto già immanente nell’ordinamento”.
In relazione al tema della trasparenza del testo contrattuale, la III sezione della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata con sentenza del 29 settembre 2016, n. 19299, dando continuità e concretezza ai principi ermeneutici sopra evidenziati e sottolineando “l’alto tasso di tecnicismo” e la chiarezza richiesti dal testo negoziale, affinché le clausole contenute nelle condizioni negoziali generali predisposte dall’assicuratore siano interpretate nel rispetto dei canoni normativamente previsti, tra cui anche quello dell’esegesi sistematica, altrimenti sussistendo la necessità di fare ricorso ai criteri interpretativi-integrativi, in particolar modo all’art. 1370 c.c..
Non diverge l’opinione della corte UE
Non ci si può esimere dal constatare, altresì, che, parallelamente a quella italiana, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue propende per la chiarezza e la comprensibilità delle clausole del contratto assicurativo, come anche, in caso di ambiguità delle stesse, per il riconoscimento di tutela interpretativa a favore del cosiddetto contraente debole, mediante declaratoria di nullità della clausola in quanto abusiva (si veda Cgue, sez. III, 23 aprile 2015, causa C-96/14).
Tale Corte ha chiarito, infatti, che l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, sancito dalla direttiva 93/13, può dirsi rispettato, con riferimento all’oggetto principale di un contratto assicurativo, solo quando dette clausole, oltre a essere comprensibili sul piano formale e grammaticale, siano anche, e soprattutto, espressione precisa e intellegibile del funzionamento del meccanismo assicurativo e delle conseguenze che ne derivano per il contraente, di modo che questi possa valutare le condizioni dell’impegno contrattuale.
Un nuovo lessico per le clausole
Orbene, gli esiti giurisprudenziali italiani ed europei rendono quanto mai necessaria una nuova formulazione di alcune clausole dei contratti assicurativi, affinché siano dotate di soluzioni lessicali dal significato univoco, intellegibile e chiaro e siano scevre di termini potenzialmente ambigui imputet sibi.
Il chiaro tenore delle clausole contrattuali, propugnato anche da attenta dottrina (M. Hazan - S. Taurini, Assicurazioni private, in Itinera – Guide Giuridiche Ipsoa, Wolters Kluwer Italia s.r.l., 2015; F. Caringella – G. De Marzo, Manuale di diritto civile, vol. III, Giuffrè Editore, 2008) avrà, a parere di chi scrive, una valenza fondamentale nel far desistere i giudici dal ricorso a criteri interpretativi-integrativi e, per l’effetto, potrà essere scongiurata l’attuale tendenza delle compagnie a vedersi eccepire l’inoperatività di una limitazione del rischio assicurato contrattualmente prevista, in quanto generica e/o dalla plurivalenza interpretativa.
Accade, infatti, con frequenza, che alcune clausole dei contratti assicurativi abbiano un contenuto ambiguo e impreciso, tale da renderne difficoltosa l’interpretazione.
Preliminarmente alla disamina della recente giurisprudenza di legittimità, occorre rilevare, in estrema sintesi, che i canoni legali di ermeneutica contrattuale previsti dal nostro ordinamento sono soggetti a gradualismo, sicché, nell’interpretazione del contratto, i criteri soggettivi (ex artt. 1362 – 1365 c.c.), anche detti strettamente interpretativi, devono trovare preliminare applicazione rispetto a quelli oggettivi (ex artt. 1367 – 1371 c.c.), cosiddetti interpretativi-integrativi.
Per la Cassazione: il giudice non deve interpretare
Un recente arresto della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 18 gennaio 2016, n. 668) ha effettuato una dettagliata ricognizione di quale debba essere l’applicazione alle clausole del contratto assicurativo del disposto di cui agli artt. 1362 e seguenti del Codice Civile, con riferimento, in particolare, alla corretta individuazione del rischio garantito.
I giudici di legittimità hanno chiarito che “il contratto di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile. Ne consegue che, al cospetto di clausole polisenso, è inibito al giudice attribuire ad esse un significato pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”.
Con riferimento all’art. 1362 c.c., il quale prevede che nell’interpretazione di un contratto si debba indagare anche la comune intenzione delle parti e non ci si limiti al senso letterale delle parole, la sezione III della Corte di Cassazione ha affermato che di fronte a una clausola lessicalmente ambigua, non è possibile fermarsi al significato derivato dalla mera connessione delle parole, in quanto quest’ultimo, in tale circostanza, non esiste.
Invero, laddove la predetta ambiguità non sia superabile mediante i criteri ermeneutici oggettivi di cui all’art. 1362 e seguenti c.c., supplirà a tale impossibilità l’applicazione del criterio dell’interpretatio contra proferentem, con conseguente addebito in capo all’unilaterale predisponente, ossia la compagnia, del rischio che le clausole di tale tenore vengano interpretate dal giudice in senso sfavorevole all’assicuratore.
L’interpretazione dubbia non punisca il contraente
Infatti, facendo riferimento all’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui la finalità perseguita dal disposto di cui all’art. 1370 c.c. è quello di evitare che possano ricadere sull’assicurato “le conseguenze della modestia letteraria o dell’insipienza scrittoria dell’assicuratore”, la Corte spiega come tale favor interpretativo, riconosciuto a beneficio del soggetto che aderisce a condizioni contrattuali generali, com’è d’uso, unilateralmente predisposte da altri, sia coerente con l’obbligo di uberrima bona fides gravante su ambedue le parti contrattuali.
La Suprema Corte sottolinea che tale obbligo impone che il contratto assicurativo sia redatto con “inequivoca chiarezza”, altrimenti addivenendo non solo a contrarietà a buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., ma anche a violazione di quanto normativamente previsto dal sopracitato art. 166 del Codice delle assicurazioni, nonché degli artt. 5 e 31 Reg. Isvap 16.10.2006 n. 5, norme che, ad avviso dei giudici di legittimità “non costituiscono altro che emersione normativa d’un precetto già immanente nell’ordinamento”.
In relazione al tema della trasparenza del testo contrattuale, la III sezione della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata con sentenza del 29 settembre 2016, n. 19299, dando continuità e concretezza ai principi ermeneutici sopra evidenziati e sottolineando “l’alto tasso di tecnicismo” e la chiarezza richiesti dal testo negoziale, affinché le clausole contenute nelle condizioni negoziali generali predisposte dall’assicuratore siano interpretate nel rispetto dei canoni normativamente previsti, tra cui anche quello dell’esegesi sistematica, altrimenti sussistendo la necessità di fare ricorso ai criteri interpretativi-integrativi, in particolar modo all’art. 1370 c.c..
Non diverge l’opinione della corte UE
Non ci si può esimere dal constatare, altresì, che, parallelamente a quella italiana, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue propende per la chiarezza e la comprensibilità delle clausole del contratto assicurativo, come anche, in caso di ambiguità delle stesse, per il riconoscimento di tutela interpretativa a favore del cosiddetto contraente debole, mediante declaratoria di nullità della clausola in quanto abusiva (si veda Cgue, sez. III, 23 aprile 2015, causa C-96/14).
Tale Corte ha chiarito, infatti, che l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, sancito dalla direttiva 93/13, può dirsi rispettato, con riferimento all’oggetto principale di un contratto assicurativo, solo quando dette clausole, oltre a essere comprensibili sul piano formale e grammaticale, siano anche, e soprattutto, espressione precisa e intellegibile del funzionamento del meccanismo assicurativo e delle conseguenze che ne derivano per il contraente, di modo che questi possa valutare le condizioni dell’impegno contrattuale.
Un nuovo lessico per le clausole
Orbene, gli esiti giurisprudenziali italiani ed europei rendono quanto mai necessaria una nuova formulazione di alcune clausole dei contratti assicurativi, affinché siano dotate di soluzioni lessicali dal significato univoco, intellegibile e chiaro e siano scevre di termini potenzialmente ambigui imputet sibi.
Il chiaro tenore delle clausole contrattuali, propugnato anche da attenta dottrina (M. Hazan - S. Taurini, Assicurazioni private, in Itinera – Guide Giuridiche Ipsoa, Wolters Kluwer Italia s.r.l., 2015; F. Caringella – G. De Marzo, Manuale di diritto civile, vol. III, Giuffrè Editore, 2008) avrà, a parere di chi scrive, una valenza fondamentale nel far desistere i giudici dal ricorso a criteri interpretativi-integrativi e, per l’effetto, potrà essere scongiurata l’attuale tendenza delle compagnie a vedersi eccepire l’inoperatività di una limitazione del rischio assicurato contrattualmente prevista, in quanto generica e/o dalla plurivalenza interpretativa.
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