Responsabilità dell’avvocato ed efficacia temporale della copertura assicurativa
Terza parte – Due questioni in discussione: Claims made e associazione tra professionisti
12/12/2017
Ritornando al contenuto dei correttivi previsti dalla normativa di cui in parola, “sotto il profilo degli effetti è chiaro che così si viene a realizzare (in teoria e salve possibili deviazioni dei modelli contrattuali) la più ampia copertura per i sinistri, risultando estremamente ridotta la possibilità che un sinistro non risulti coperto dal contratto assicurativo, anche in caso di successione di diverse polizze, posta comunque la retroattività illimitata che fa coprire sempre e comunque quella sopravvenuta, in caso di dubbio, mentre un buco di copertura potrà verificarsi soltanto in ipotesi-limite di richieste risarcitorie validamente intervenute oltre il decennio dalla cessazione o morte dell’avvocato, relative a danni non ancora prescritti) ovvero nel caso di dichiarazioni reticenti dell’avvocato con riferimento a richieste di danno già note (L. Cagli, Assicurazione obbligatoria degli avvocati: contenuto, massimali e copertura, in Danno e Responsabilità, Ipsoa, 2017).
La Cassazione sulla Claims made
Ponendo rimedio con tali previsioni ai rischi di buchi di copertura temporale e tipizzando la clausola claims made, il legislatore ha individuato quale momento rilevante la data della richiesta di risarcimento inoltrata dal danneggiato, ponendo un’espressa deroga a quanto stabilito dall’art. 1917 c.c., il quale prevede che il rischio coperto dall’assicuratore sia quello relativo al fatto accaduto durante il tempo in cui vige il contratto assicurativo (loss occurrence), indipendentemente dal momento in cui esso si manifesta o diviene obiettivamente percepibile.
La stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, legittimando il discostamento dal modello dell’art. 1917 c.c. introdotto dalla clausola claims made, posto che mira a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo (il claim), rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, afferma che la predetta clausola “si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 c.c., l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato. E poiché non è seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità” (Cass. SS. UU. n. 9140/2016).
La questione dell’ultrattività
A meno di un anno dal d.m. 22 settembre 2016, è intervenuto l’art. 1 comma 26 della legge sulla Concorrenza e sul mercato a destare qualche scompiglio circa la valenza di tale disposizione anche con riferimento al profilo assicurativo degli esercenti la professione legale, disciplinato, come visto poc’anzi, da una lex specialis.
Il suddetto comma prevede: “Alla lettera e) del comma 5 dell’articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «In ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione. A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio»”, letto, secondo parte della dottrina (Liguori M., Clausola claims made bye-bye: l’assicurazione obbligatoria della Rc dei professionisti vira inaspettatamente verso la loss occurence, in Ridare.it, 4 settembre 2017), quale norma escludente la clausola claims made e, pertanto, derogante, in relazione al tema che ci occupa, il disposto normativo ut supra menzionato con riferimento all’assicurazione obbligatoria per gli esercenti la professione legale e ai profili di copertura temporale della stessa.
Ad avviso di chi scrive, al comma 26 dell’art. 1 del ddl Concorrenza non può essere conferito tale ruolo, sia in virtù dei criteri ermeneutici applicabili in materia di antinomia tra disposizioni, in ottemperanza al brocardo latino lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, ma soprattutto in relazione alla lettera della legge e alla finalità, troppo spesso messa in secondo piano, di sostenibilità del sistema assicurativo, che altrimenti si vedrebbe depauperato degli elementi caratterizzanti lo stesso, primo fra tutti il concetto di rischio assicurato, nonché della rilevanza della libertà negoziale, che, invece, come attenta dottrina sottolinea, legittimamente e efficacemente può esplicarsi in un accordo pattizio che “sia strutturato in maniera da garantire una adeguata copertura temporale, regolata in un modulo ampio nel contesto della retroattività, (…) [risultando] idoneo a disciplinare pienamente l’obbligo di continuità assicurativa oggi decretato in capo ai professionisti” (Martini F., La claims made, nella Rc professionale, vive e lotta con noi, in Ridare.it, 28 settembre 2017).
L’onere del preventivo
Orbene, con riguardo alle innovazioni e alle modifiche effettivamente apportate all’ambito dell’esercizio della professione legale, il ddl Concorrenza ha introdotto l’obbligo per gli avvocati di fornire ai propri clienti un preventivo scritto relativo alla prestazione richiesta con i costi dettagliati per ogni voce di spesa, sopprimendo l’attuale riferimento alla richiesta del cliente, con l’ulteriore onere, esteso a tutti i liberi professionisti, di comunicare a detti clienti il grado di complessità dell’incarico, i costi ipotizzabili dal momento del conferimento dell’incarico stesso alla sua conclusione e gli estremi della polizza assicurativa.
Un incentivo all’associazione
Il recente intervento governativo costituisce, inoltre, palese incentivo dell’esercizio della professione forense in modo associato e collettivo, tant’è che la legge annuale sulla concorrenza e sul mercato ha previsto la possibilità per gli avvocati di associarsi in società di persone, società di capitale e società cooperative, da iscrivere in un’apposita sezione dell’albo.
Tale previsione si aggiunge alla possibilità di costituire reti, anche con imprese, e consorzi, allo scopo di poter concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, come anche alla previsione di associazioni professionali, composte da soli avvocati o di tipo multidisciplinare, con la precisazione che l’adesione a una di esse non preclude la chance di aderire anche ad altre, facendo venire meno il divieto precedentemente imposto sulla questione.
Sulle società tra avvocati, il ddl ha riconosciuto la possibilità che vi siano dei soci di solo capitale (senza che ciò rappresenti una possibilità di accesso per il tramite di società fiduciarie o trust) nella misura di massimo un terzo del capitale sociale e dei diritti di voto; nel caso in cui dovesse essere superata tale proporzione, pena sarà lo scioglimento della società e la cancellazione della stessa dall’albo.
Quanto alle caratteristiche afferenti alla gestione di tali società tra avvocati, dell’organo gestorio potranno far parte solo i soci, in maggioranza avvocati, senza che la carica di amministratore delegato debba necessariamente essere ricoperta da un socio professionista.
Resta ineludibile, almeno in linea teorica, il fatto che la prestazione professionale debba continuare a essere personale, imperniata delle garanzie di indipendenza e imparzialità, e che la responsabilità sociale non escluda quella del singolo professionista che ha eseguito la prestazione.
L’opinione non è unanimemente concorde
Se da un lato tali recenti novità trovano il favore di molti, tra cui il segretario dell’Associazione nazionale forense, Luigi Pansini, il quale, sostenendo il valore emblematico di tale traguardo raggiunto, non solo nell’ottica di un’esaltazione delle competenze professionali e dell’ottimizzazione delle risorse, ma anche in virtù della necessità di uniformarsi in positivo alla realtà europea, afferma che “l’approvazione definitiva del ddl Concorrenza, dopo un lungo e travagliato iter, segna per quanto riguarda l’avvocatura un punto di svolta, perché l’introduzione nel nostro Paese dell’esercizio della professione forense in forma societaria offre opportunità di aggregazione e di una migliore organizzazione del lavoro senza alterare le specificità dell’avvocato, con buona pace di coloro che hanno remato contro per difendere talune rendite di posizione”; dall’altro lato si schierano coloro che in modo lungimirante, o quanto meno necessariamente prudente, non ritengono che tali commistioni associative siano funzionali ad una risposta più efficiente alle richieste dei cittadini e delle imprese, in virtù di un pregiudizio, concretamente ipotizzabile, a quei valori di autonomia e indipendenza fondamentali e irrinunciabili ai fini dell’esercizio della professione forense, ponendosi il ruolo dell’avvocato quale indefettibile baluardo nella tutela dei diritti.
La Cassazione sulla Claims made
Ponendo rimedio con tali previsioni ai rischi di buchi di copertura temporale e tipizzando la clausola claims made, il legislatore ha individuato quale momento rilevante la data della richiesta di risarcimento inoltrata dal danneggiato, ponendo un’espressa deroga a quanto stabilito dall’art. 1917 c.c., il quale prevede che il rischio coperto dall’assicuratore sia quello relativo al fatto accaduto durante il tempo in cui vige il contratto assicurativo (loss occurrence), indipendentemente dal momento in cui esso si manifesta o diviene obiettivamente percepibile.
La stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, legittimando il discostamento dal modello dell’art. 1917 c.c. introdotto dalla clausola claims made, posto che mira a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo (il claim), rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, afferma che la predetta clausola “si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 c.c., l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato. E poiché non è seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità” (Cass. SS. UU. n. 9140/2016).
La questione dell’ultrattività
A meno di un anno dal d.m. 22 settembre 2016, è intervenuto l’art. 1 comma 26 della legge sulla Concorrenza e sul mercato a destare qualche scompiglio circa la valenza di tale disposizione anche con riferimento al profilo assicurativo degli esercenti la professione legale, disciplinato, come visto poc’anzi, da una lex specialis.
Il suddetto comma prevede: “Alla lettera e) del comma 5 dell’articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «In ogni caso, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione. A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio»”, letto, secondo parte della dottrina (Liguori M., Clausola claims made bye-bye: l’assicurazione obbligatoria della Rc dei professionisti vira inaspettatamente verso la loss occurence, in Ridare.it, 4 settembre 2017), quale norma escludente la clausola claims made e, pertanto, derogante, in relazione al tema che ci occupa, il disposto normativo ut supra menzionato con riferimento all’assicurazione obbligatoria per gli esercenti la professione legale e ai profili di copertura temporale della stessa.
Ad avviso di chi scrive, al comma 26 dell’art. 1 del ddl Concorrenza non può essere conferito tale ruolo, sia in virtù dei criteri ermeneutici applicabili in materia di antinomia tra disposizioni, in ottemperanza al brocardo latino lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, ma soprattutto in relazione alla lettera della legge e alla finalità, troppo spesso messa in secondo piano, di sostenibilità del sistema assicurativo, che altrimenti si vedrebbe depauperato degli elementi caratterizzanti lo stesso, primo fra tutti il concetto di rischio assicurato, nonché della rilevanza della libertà negoziale, che, invece, come attenta dottrina sottolinea, legittimamente e efficacemente può esplicarsi in un accordo pattizio che “sia strutturato in maniera da garantire una adeguata copertura temporale, regolata in un modulo ampio nel contesto della retroattività, (…) [risultando] idoneo a disciplinare pienamente l’obbligo di continuità assicurativa oggi decretato in capo ai professionisti” (Martini F., La claims made, nella Rc professionale, vive e lotta con noi, in Ridare.it, 28 settembre 2017).
L’onere del preventivo
Orbene, con riguardo alle innovazioni e alle modifiche effettivamente apportate all’ambito dell’esercizio della professione legale, il ddl Concorrenza ha introdotto l’obbligo per gli avvocati di fornire ai propri clienti un preventivo scritto relativo alla prestazione richiesta con i costi dettagliati per ogni voce di spesa, sopprimendo l’attuale riferimento alla richiesta del cliente, con l’ulteriore onere, esteso a tutti i liberi professionisti, di comunicare a detti clienti il grado di complessità dell’incarico, i costi ipotizzabili dal momento del conferimento dell’incarico stesso alla sua conclusione e gli estremi della polizza assicurativa.
Un incentivo all’associazione
Il recente intervento governativo costituisce, inoltre, palese incentivo dell’esercizio della professione forense in modo associato e collettivo, tant’è che la legge annuale sulla concorrenza e sul mercato ha previsto la possibilità per gli avvocati di associarsi in società di persone, società di capitale e società cooperative, da iscrivere in un’apposita sezione dell’albo.
Tale previsione si aggiunge alla possibilità di costituire reti, anche con imprese, e consorzi, allo scopo di poter concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, come anche alla previsione di associazioni professionali, composte da soli avvocati o di tipo multidisciplinare, con la precisazione che l’adesione a una di esse non preclude la chance di aderire anche ad altre, facendo venire meno il divieto precedentemente imposto sulla questione.
Sulle società tra avvocati, il ddl ha riconosciuto la possibilità che vi siano dei soci di solo capitale (senza che ciò rappresenti una possibilità di accesso per il tramite di società fiduciarie o trust) nella misura di massimo un terzo del capitale sociale e dei diritti di voto; nel caso in cui dovesse essere superata tale proporzione, pena sarà lo scioglimento della società e la cancellazione della stessa dall’albo.
Quanto alle caratteristiche afferenti alla gestione di tali società tra avvocati, dell’organo gestorio potranno far parte solo i soci, in maggioranza avvocati, senza che la carica di amministratore delegato debba necessariamente essere ricoperta da un socio professionista.
Resta ineludibile, almeno in linea teorica, il fatto che la prestazione professionale debba continuare a essere personale, imperniata delle garanzie di indipendenza e imparzialità, e che la responsabilità sociale non escluda quella del singolo professionista che ha eseguito la prestazione.
L’opinione non è unanimemente concorde
Se da un lato tali recenti novità trovano il favore di molti, tra cui il segretario dell’Associazione nazionale forense, Luigi Pansini, il quale, sostenendo il valore emblematico di tale traguardo raggiunto, non solo nell’ottica di un’esaltazione delle competenze professionali e dell’ottimizzazione delle risorse, ma anche in virtù della necessità di uniformarsi in positivo alla realtà europea, afferma che “l’approvazione definitiva del ddl Concorrenza, dopo un lungo e travagliato iter, segna per quanto riguarda l’avvocatura un punto di svolta, perché l’introduzione nel nostro Paese dell’esercizio della professione forense in forma societaria offre opportunità di aggregazione e di una migliore organizzazione del lavoro senza alterare le specificità dell’avvocato, con buona pace di coloro che hanno remato contro per difendere talune rendite di posizione”; dall’altro lato si schierano coloro che in modo lungimirante, o quanto meno necessariamente prudente, non ritengono che tali commistioni associative siano funzionali ad una risposta più efficiente alle richieste dei cittadini e delle imprese, in virtù di un pregiudizio, concretamente ipotizzabile, a quei valori di autonomia e indipendenza fondamentali e irrinunciabili ai fini dell’esercizio della professione forense, ponendosi il ruolo dell’avvocato quale indefettibile baluardo nella tutela dei diritti.
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