Rc professionale, quel che conta è il momento dell’errore
Da pochi giorni è stata depositata una sentenza della Corte di Cassazione che contraddice le posizioni dei giudici territoriali, riconoscendo, come danno in vigenza di polizza, l’errore del professionista e non il momento in cui tale errore si concretizza in conseguenza negativa per il cliente
19/03/2014
Torniamo a parlare di assicurazione della Responsabilità civile professionale traendo spunto da una interessante sentenza appena depositata dalla III sezione della Corte di Cassazione (n. 5791 del 13 marzo 2014, Pres. Russo, Est. Rossetti), chiamata a dirimere un'annosa vicenda processuale tra un avvocato e il proprio assicuratore per la responsabilità civile da errore nello svolgimento della attività. In particolare la Corte era chiamata a interpretare la vicenda assicurativa tra impresa e assicurato sulla base del concetto stesso di rischio assicurato in vigenza dell'art. 1917 del Codice Civile, secondo il quale nell'assicurazione della Responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto".
RESPONSABILITÀ DELL'ASSICURATO E VIGENZA DELLA POLIZZA
La questione centrale sottoposta all'attenzione del Supremo Collegio era quella di stabilire, rispetto al tempo di vigenza della polizza, quale fosse da intendere come "fatto accaduto" e quindi garantito dal contratto.
La vicenda processuale era originata da una conclamata responsabilità del professionista, il quale aveva omesso di proporre appello tempestivamente per conto del proprio cliente, lasciando così consolidare la decisione in giudicato con grave danno economico per il proprio patrocinato.
L'avvocato, resosi conto dell'errore, decideva di rimborsare spontaneamente il danno al proprio assistito, denunciando il fatto all'assicuratore e chiedendo il rimborso della somma a proprio favore, come indennizzo di polizza.
Al rifiuto dell'assicuratore seguiva la causa che si concludeva, nei due gradi di giudizio, con la reiezione della domanda e con la condanna dell'avvocato, sul presupposto che il fatto materiale, fonte di responsabilità dell'assicurato, fosse avvenuto dopo lo spirare del termine della copertura.
FATTO GENERATORE: MOMENTO DEL DANNO O DELL'ERRORE?
Tuttavia la Corte di appello identificava il fatto generatore della responsabilità (e quindi l'evento in base al quale valutare la sussistenza o meno della copertura) non con il momento cronologico in cui l'avvocato materialmente lasciava decorrere il termine per l'appello, bensì con il momento in cui la successiva sentenza della Corte, tardivamente adita, respingeva la domanda e dichiarava quindi la improponibilità del giudizio.
In buona sostanza, i giudici di merito avevano escluso la copertura assicurativa identificando il fatto assicurato non come quello in cui veniva materialmente commesso l'errore (in pendenza di polizza), ma con quello in cui sorgeva il danno per il cliente dell'avvocato (dopo lo spirare del termine del contratto).
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Corte di Cassazione censura la decisione dei giudici territoriali rammentando che "ai fini della validità del contratto di assicurazione quel che ha da essere 'futuro' rispetto alla stipula del contratto non è il prodursi del danno civilisticamente parlando, ma l'avversarsi della causa di esso".
Non è insomma rilevante il momento in cui il danno causato dall'assicurato è stato prodotto, bensì il momento in cui quest'ultimo ha posto in essere la condotta che costituisce il presupposto dell'avveramento: il momento della commissione dell'errore rileva dunque ai fini della validità della polizza, e non quello della generazione del danno materiale.
Nel rammentare che altra questione è quella delicata legata alla derogabilità dell'art. 1917 c.c. e quindi alla validità delle così dette clausole claims made che, diversamente da quella in questione, legano il sinistro non alla commissione dell'errore ma al momento della prima richiesta danni, la Corte qui censura il ragionamento dei giudici di merito invitando gli stessi alla migliore applicazione del principio affermato.
RESPONSABILITÀ DELL'ASSICURATO E VIGENZA DELLA POLIZZA
La questione centrale sottoposta all'attenzione del Supremo Collegio era quella di stabilire, rispetto al tempo di vigenza della polizza, quale fosse da intendere come "fatto accaduto" e quindi garantito dal contratto.
La vicenda processuale era originata da una conclamata responsabilità del professionista, il quale aveva omesso di proporre appello tempestivamente per conto del proprio cliente, lasciando così consolidare la decisione in giudicato con grave danno economico per il proprio patrocinato.
L'avvocato, resosi conto dell'errore, decideva di rimborsare spontaneamente il danno al proprio assistito, denunciando il fatto all'assicuratore e chiedendo il rimborso della somma a proprio favore, come indennizzo di polizza.
Al rifiuto dell'assicuratore seguiva la causa che si concludeva, nei due gradi di giudizio, con la reiezione della domanda e con la condanna dell'avvocato, sul presupposto che il fatto materiale, fonte di responsabilità dell'assicurato, fosse avvenuto dopo lo spirare del termine della copertura.
FATTO GENERATORE: MOMENTO DEL DANNO O DELL'ERRORE?
Tuttavia la Corte di appello identificava il fatto generatore della responsabilità (e quindi l'evento in base al quale valutare la sussistenza o meno della copertura) non con il momento cronologico in cui l'avvocato materialmente lasciava decorrere il termine per l'appello, bensì con il momento in cui la successiva sentenza della Corte, tardivamente adita, respingeva la domanda e dichiarava quindi la improponibilità del giudizio.
In buona sostanza, i giudici di merito avevano escluso la copertura assicurativa identificando il fatto assicurato non come quello in cui veniva materialmente commesso l'errore (in pendenza di polizza), ma con quello in cui sorgeva il danno per il cliente dell'avvocato (dopo lo spirare del termine del contratto).
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Corte di Cassazione censura la decisione dei giudici territoriali rammentando che "ai fini della validità del contratto di assicurazione quel che ha da essere 'futuro' rispetto alla stipula del contratto non è il prodursi del danno civilisticamente parlando, ma l'avversarsi della causa di esso".
Non è insomma rilevante il momento in cui il danno causato dall'assicurato è stato prodotto, bensì il momento in cui quest'ultimo ha posto in essere la condotta che costituisce il presupposto dell'avveramento: il momento della commissione dell'errore rileva dunque ai fini della validità della polizza, e non quello della generazione del danno materiale.
Nel rammentare che altra questione è quella delicata legata alla derogabilità dell'art. 1917 c.c. e quindi alla validità delle così dette clausole claims made che, diversamente da quella in questione, legano il sinistro non alla commissione dell'errore ma al momento della prima richiesta danni, la Corte qui censura il ragionamento dei giudici di merito invitando gli stessi alla migliore applicazione del principio affermato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
👥