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Compagnie, attenzione alle parole

Una recente sentenza della Cassazione si concentra sul wording di polizza per respingere il ricorso di un’impresa. I termini Super, Gold, Premium ecc. associati a una copertura possono essere pericolosi. Le note critiche dell’avvocato Giorgio Grasso

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Nel 2010, il tribunale di Imperia rigettava la domanda di una compagnia assicurativa che agiva in rivalsa, ai sensi delle condizioni contrattuali previste dalla polizza, per guida in stato di ebbrezza, nei confronti della propria assicurata in seguito al risarcimento danni erogato al terzo danneggiato in conseguenza di un sinistro stradale. Detto tribunale, a fronte della domanda di rivalsa spiegata dalla compagnia, rigettava le richieste di parte attrice, sostenendo che la clausola di rivalsa da questa invocata dovesse ritenersi nulla in virtù di quanto previsto dal Codice del consumo in tema di vessatorietà.
A seguito dell’impugnazione, la Corte di appello di Genova rigettava il gravame prescindendo dall’applicazione del Codice del consumo. Nella specie, la Corte di appello riteneva che, vista la copertura, definita contrattualmente Super, garantita dalla polizza (la quale prevedeva espressamente una clausola di rinuncia generale al diritto di rivalsa), la specifica eccezione a tale rinuncia nel caso di guida in stato d’ebbrezza (contenuta in una clausola delle condizioni generali), andasse a creare un’ambiguità di significato difficilmente individuabile dal contraente di media diligenza.

Un'interpretazione contro lo stipulante 
Tale ambiguità, secondo il giudice di gravame, andava risolta in via interpretativa, seguendo i criteri formulati dalla Suprema Corte (Cassazione, 668 del 2016) secondo la quale, in caso di scarsa chiarezza delle clausole predisposte da uno dei contraenti a sfavore dell’altro, queste dovessero essere interpretate contro lo stipulante (nel caso di specie la compagnia) e a favore della contraente debole (l’assicurato)  soprattutto nell’ipotesi in cui le clausole fossero state predisposte unilateralmente attraverso l’utilizzo di moduli e formulari.
Pertanto, secondo i giudici d’appello, il contrasto intercorrente fra la copertura massima promessa dalla polizza (definita Super) e la specifica previsione dell’esercizio del diritto di rivalsa nell’ipotesi di guida in stato d’ebrezza andava risolto in senso favorevole dell’assicurato; conseguentemente, nonostante l’esplicita disposizione contrattuale, la compagnia assicurativa si vedeva negare l’esercizio dell’azione nei confronti dell’appellato.

Il ricorso in Cassazione
Nel successivo giudizio in Cassazione, la compagnia sollevava censure relative all’interpretazione della suddetta clausola, sostenendo la violazione degli articoli 1362, 1363 e 1370 del Codice civile e, pertanto, negando la sussistenza di un’ambiguità intercorrente fra le garanzie previste dalla polizza e le condizioni generali del contratto. Più precisamente, secondo la ricorrente la decisione della Corte d’appello si poneva in contrasto con i criteri d’interpretazione soggettiva del contratto (letterale e logico-sistematica) i quali, in forza dell’esplicita clausola di esclusione, se correttamente applicati, non sarebbero stati convergenti nel senso di escludere dalla polizza la rinuncia della compagnia al diritto di rivalsa, mentre il ricorso alla norma sull’interpretazione contra stipulatorem, di cui all’articolo 1370 c.c. sarebbe stata illegittima in ragione della chiara gerarchia tra norme cosiddette di interpretazione soggettiva e norme di interpretazione oggettiva del contratto, che avrebbe precluso il ricorso alle seconde nel caso in cui i criteri soggettivi fossero stati, come nel caso di specie, del tutto sufficienti a risolvere la pretesa ambiguità delle clausole contrattuali.
Con sentenza numero 18324 del 9 luglio 2019, i supremi giudici rigettavano il ricorso avallando il ragionamento seguito dalla Corte d’appello di Genova. 

Le ragioni della Corte
Dapprima veniva riconosciuta l’equivocità delle clausole che, da una parte, garantivano al consumatore la copertura più ampia possibile, dall’altra, con riguardo alle clausole predisposte unilateralmente dalla compagnia, prevedevano limitazioni alla rinuncia alla rivalsa, creando, a parer dei giudici, un’evidente difficoltà di comprensione per il soggetto che andava a sottoscrivere la polizza.
In merito alle doglianze relative alle norme inerenti l’interpretazione del contratto, la Corte chiariva che, ai sensi del costante orientamento giurisprudenziale (si veda Cass. civ., Sez. III, n. 866/2008; Cass. civ., Sez. III, n. 668/2016), il ricorso ai criteri di interpretazione oggettiva, e in particolare alla clausola contra stipulatorem, si impone quando occorra tutelare l’affidamento del contraente debole circa le possibili interpretazioni delle clausole contrattuali. 

Solo un problema di terminologia? 
Senza voler eccepir nulla in merito al ragionamento seguito dalla Corte in ordine all’applicazione dei criteri di interpretazione, risulta di dubbia comprensione la scelta di individuare nella definizione della polizza in oggetto, copertura massima super, un elemento di ambiguità tale da indurre in errore il contraente (che, lo ricordiamo a noi stessi, ha una diligenza media).
Invero, la nomenclatura utilizzata per il titolo del contratto appare, quantomeno allo scrivente, come una definizione finalizzata a distinguere il prodotto de quo, offrente la maggiore copertura, dagli ulteriori proposti dalla compagnia, ovverosia con il mero scopo di pubblicizzare le differenti caratteristiche della polizza super. Anche se a soli fini di marketing, giammai può essere letta la parola super come una copertura massima (e infinita aggiungeremmo). E allora cosa dirsi sui termini Top o Premium o Gold o Platinum utilizzati dalle compagnie?

Derive percolose 
Conseguentemente, la decisione di voler ravvedere nel titolo della copertura (o, in alcuni casi della polizza), aspetto attinente più al marketing che al diritto, un criterio idoneo a creare un’ambiguità con le condizioni generali del contratto di assicurazione appare una scelta quanto mai curiosa e sorprendente, con derive pericolose per il mondo assuntivo. Inoltre, anche volendo aderire al ragionamento seguito dalla Suprema Corte, non si comprende comunque come l’esplicita previsione dell’esercizio del diritto di rivalsa nello specifico caso di guida in stato d’ebrezza (fattispecie peraltro penalmente sanzionata ai sensi degli articoli 186 e 187 del Codice della strada) possa rendersi dubbio e di difficile comprensione per il contraente (medio) alla luce della mera definizione Super prevista quale definizione sul frontespizio di polizza.

Un consiglio alle compagnie
In poche parole, non può essere sottaciuto il rischio, per il panorama assuntivo, di dichiarazioni giurisprudenziali prese sull’onda della tutela a prescindere del contraente (asseritamente debole), il quale, occorre ribadire, avrà pur sempre valutato ed esaminato (nella sua diligenza media) un contratto assicurativo prima di sottoscriverlo. E se il diligente medio non ha letto le clausole contrattuali… imputet sibi, se il testo della polizza era chiaro. 
E allora il consiglio alle compagnie non può essere altro che quello di prestare sempre maggiore attenzione alla stesura di testi chiari e diretti (in linea con la lettera al mercato dell’Ivass del 14 marzo 2018 e del tavolo di lavoro Ania, Contratti semplici e chiari) inserendo, ove necessario, anche dei box esplicativi, al fine di evitare di essere tacciati di ambiguità.

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