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Il pericolo dei derivati

Parliamo di derivati che, garantisco, non è una brutta parola... ma quasi! Essi ci indicano speculazioni non trascurabili, i cui contenuti e conseguenze, grazie alla loro esistenza, sarebbero meritevoli di bel altro spazio.

Parlo di contratti finanziari che, rammento a chi mi legge, sono nati con assolute finalità assicurative. I derivati, illo tempore, avevano il principale scopo di tutelare gli investimenti dai rischi derivanti dalle possibili oscillazioni delle valute o tassi di interesse.

La diffusione di derivati nel mondo continua a crescere. I dati della BRI (Banca Regolamenti Internazionali, con sede a Basilea) e di R&S Mediobanca, dicono che le banche, in questo settore, sono attivissime. Ahimè! Da un lato mi sorprendo, anche in virtù del momento che l'economia mondiale sta attraversando, dall'altro cresce lo sgomento nel constatare che in questi anni di crisi globale, i  derivati, ritenuti dall'intero mondo della finanza seria e obiettiva come i  co-responsabili di questo dramma finanziario che ha attanagliato l'intero pianeta, con migliaia di risparmiatori che stanno tuttora versando lacrime di sangue, non hanno sortito - in nessun paese -  leggi ad hoc.  
Tutto come prima, anzi, per i soliti noti, le banche, meglio di prima! Come dicevo, essi, i derivati, stanno vivendo un periodo 'felice': incremento consistente e di tutto rispetto. È ragionevole ipotizzare che il valore nozionale non corrisponda al vero 'rischio' in capo agli operatori, in quanto capita, non di rado, che importanti istituti di credito possiedono "derivati" di segno contrario e – quindi –  il c.d. 'rischi', si annullano a vicenda.

Sostenevo prima che, malgrado i conosciuti trascorsi dei derivati, la cifra in essi investita, cresce. La BRI fornisce dati che confermano in modo inequivocabile la crescita: nel 2007 (anno delle prime avvisaglie di crisi) il valore complessivo nel mondo era di 596 miliardi di dollari; oggi sono saliti a ben 632 mila miliardi. Cifre da capogiro, che inducono a una certa difficoltà di comprensione, se si tenta di 'visualizzare' la cifra. Sono valori altissimi, che decuplicano il PIL dell'intero pianeta.

Ho sottolineato all'inizio che i derivati erano nati come 'protezione'. Oggi mi tornano alla mente le parole, quasi premonitrici, del grande economista e filantropo, Warren Buffet, che li aveva giustamente definiti come una sorta di 'strumenti di distruzione di massa'!!...

Tutte le grandi banche possiedono montagne di carta, i fatidici c.d. derivati. Solo qualche numero: un'occhiata, per rendere l'idea al lettore di come sta la 'nostra' Italia, con due esempi: Unicredit, con oltre 100 miliardi di euro (6% sul Pil), Intesa Sanpaolo 57 mld (4% sul Pil). Una banca europea, di grande importanza e prestigio, il Credit Suisse, con 693 mld di euro, pari a ben il 141% sul PIL svizzero. 
Sorge spontanea una semplice riflessione reale, che mi incute un certo disagio: a mio parere questi derivati sono usati dalle banche, salvo qualche lodevole eccezione, 'solo' per finalità speculative, peraltro  assai rischiose (come tutti sappiamo); è stato abbandonato quasi totalmente il vecchio concetto che, gli stessi, dovevano servire per 'assicurarsi' dalle eventuali oscillazioni dei 'tassi o del cambio'. 

Malgrado quanto appena detto, 'essi' assurgono a grande importanza, in primis per le banche, per gli investitori sofisticati ma, in alcuni casi, anche per i piccoli risparmiatori. Quelli comunemente più usati sono accesi sui tassi di interesse di un finanziamento, nell'eventualità che gli stessi  aumentino. Questi derivati che ancora ci inducono a temere il peggio, malgrado la volontà  di razionalizzare l'argomento, servono anche per assicurare altro. Per esempio i 'credit default swap', sono assicurazioni contro il rischio di insolvenza di emittenti obbligazionari. Faccio un esempio: un investitore che abbia deciso di investire i suoi soldi in bond, emessi da una società, pagando ovviamente il relativo premio, può assicurarsi contro il default. Se l'azienda dovesse finire in 'bancarotta', l'istituto di credito che gli ha venduto/consigliato il 'credit default swap', deve rimborsarlo. Esistono inoltre altri prodotti, i 'futures' (strumenti su indici azionari, derivati standardizzati, che si vendono in Borsa). Acquirente e venditore si impegnano a negoziare, per una data futura, una determinata quantità di indici azionari, ma a un prezzo prefissato. Il valore viene calcolato tra il suo prezzo e il moltiplicatore stabilito. 

Esistono anche le cd 'opzioni': anche questi contratti derivati, che andrei a definire asimmetrici, in quanto l'obbligo di 'soddisfare' le richieste del compratore lo ha solo il venditore. Le opzioni sottostanti hanno un titolo azionario, un indice, una valuta estera, un contratto futuro o un'attività finanziaria. Insomma, tutti avrebbero finalità di coperture di rischi ma, purtroppo, vengono sempre più impiegati per speculare: una sorta di 
scommessa sull'andamento futuro di tassi e valute, oppure sui fallimenti di aziende o, addirittura, Stati.
I derivati sembrerebbero strumenti per persone di buon livello culturale, sofisticate ma, più di quanto si pensi, si possono trovare anche all'interno di semplici prodotti finanziari per normali risparmiatori. Ad esempio nei mutui a tasso variabile, dove spesso si trova l'opzione "cap" che evita, pagandone il costo, che il tasso di interesse salga al di sopra di una "determinata soglia".

Il vero segreto dei derivati, il cuore del problema infine, è l'inserimento all'interno  dei  finanziamenti e in alcuni prodotti finanziari, dei 'costi occulti'. Questi strumenti non possiedono una loro Borsa su cui controllare la quotazione: le banche 'inseriscono' dove e quanto vogliono (finanziamenti o bond), caricando sui clienti, ignari, costi elevati. Quindi poca o nessuna trasparenza.

Il valore dei derivati dipende anche dalle possibili probabilità che, il tasso o la valuta, salga o scenda. Per tentare di calcolare il giusto valore, servirebbero strumenti che i risparmiatori non hanno. Le banche, consce di questo fatto, 'prezzano'.

Gli investitori con buona esperienza finanziaria e con buona propensione al rischio, scelgono di investire su vari derivati. Molti sono quotati su segmenti regolamentari in Piazza Affari. Ci sono i 'futures' (anche su indici Piazza Affari), oppure i 'warrant' (contratto derivato) che conferiscono al possessore la facoltà di scegliere tra quelli più semplici e quelli esotici (rischiosi).

Forse questo blog appare un po' surreale. Ma non lo è. Questi sono tutti strumenti seri, quanto pericolosi. Devono essere maneggiati da esperti del settore, che ottengono, non di rado, effetti moltiplicatori sia per i guadagni che per le perdite. E un po' come un gioco d'azzardo!

Non sfugge a chi scrive un'ultima riflessione: perché tante regole e vincoli da parte dell'Istituto di Vigilanza (Ivass), alle compagnie di assicurazione e all'intero settore dell'intermediazione (leggasi ad esempio le fatidiche incombenze burocratiche dei 7/A e 7/B, adeguatezza) e nessun vincolo o quasi, per i  derivati, agli istituti di credito! È giusto?

Devo ammettere candidamente che non comprendo, che molte cose mi sfuggono: certamente per un limite intellettuale mio!

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