Invalidità civili: chi le paga?
Per chiudere il cerchio sulla questione sollevata nei due ultimi interventi, ovvero quella relativa alla sostenibilità della spesa assistenziale, non è possibile omettere un ultimo rilievo di carattere tecnico.
Agli operatori di settore è intatti noto come il c.d. collegato lavoro (legge n. 183/2010) abbia attribuito ad Inps un non meglio specificato diritto di recuperare le invalidità civili erogate a seguito di illecito (vedi art. 41 legge cit.). Ove cioè l'invalidità sia conseguita, ad esempio, ad un sinistro stradale, Inps potrebbe oggi ripetere presso il responsabile (e presso l’assicuratore della RCA di quest’ultimo) l'importo erogato alla vittima. E ciò, a dire dell’Istituto, senza alcuna possibilità di sottrarre dal risarcimento dovuto al danneggiato quanto da questi percepito a titolo di invalidità. Si legge infatti nella Circolare 152/2014 che “l’azione di recupero delle somme erogate a titolo di provvidenze di invalidità civile in conseguenza di fatto illecito di terzi (art. 2043 c.c.) costituisce, in capo all’Istituto, un diritto autonomo e distinto da quello dell’assistito, a differenza dell’azione di cui agli artt. 1916 c.c. e 14 della L. 222/84, che prevedono la surroga dell’Istituto nei medesimi diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili e quindi la successione nel lato attivo di un rapporto obbligatorio”. Come a dire che il privato, dopo aver contribuito alla fiscalità generale (da cui vengono attinte le risorse necessarie per l'erogazione delle invalidità) ed aver risarcito il danno alla vittima, sarebbe esposto al rischio di essere ulteriormente percosso per restituire ad Inps quanto pagato in favore dell'invalido.
Ora, la novella legislativa (almeno nell’interpretazione offerta da Inps) lascia francamente perplessi, risolvendosi di fatto in una doppia imposizione in capo al privato. Il che indurrebbe a dubitare della legittimità costituzionale della norma, tanto più ove si consideri come le prestazioni di invalidità erogate a seguito di illecito finiscano col sovrapporsi almeno in parte con il compendio risarcitorio pagato dal responsabile o dal suo assicuratore della RC. Nondimeno, quella disposizione di legge denuncia ancora una volta l'impossibilità per lo Stato di tener fede agli impegni assunti in passato.
Ma se questa è dunque l'amara (ed incontrovertibile) verità, invece di rastrellare illegittimamente risorse ed esporre il privato al rischio di rivalere Inps per importi anche considerevoli che si aggiungono all'obbligo contributivo ed a quello risarcitorio, non sarebbe forse più ragionevole rimodulare lo statuto complessivo del sistema assistenziale affinché questo risulti sostenibile e allo stesso tempo fedele alla funzione che la Costituzione gli affida (ovvero intervenire in situazioni di effettivo bisogno)?
Certo, mi si dirà che la macchina burocratica brucia inutilmente risorse che sole consentirebbero di sostenere (se non addirittura di implementare) il welfare pubblico. Ma ciò conferma l'urgenza di una rivisitazione complessiva e lungimirante dell'apparato statale che ad oggi, nello squallido scenario del pettegolezzo politico, pare un miraggio.
Agli operatori di settore è intatti noto come il c.d. collegato lavoro (legge n. 183/2010) abbia attribuito ad Inps un non meglio specificato diritto di recuperare le invalidità civili erogate a seguito di illecito (vedi art. 41 legge cit.). Ove cioè l'invalidità sia conseguita, ad esempio, ad un sinistro stradale, Inps potrebbe oggi ripetere presso il responsabile (e presso l’assicuratore della RCA di quest’ultimo) l'importo erogato alla vittima. E ciò, a dire dell’Istituto, senza alcuna possibilità di sottrarre dal risarcimento dovuto al danneggiato quanto da questi percepito a titolo di invalidità. Si legge infatti nella Circolare 152/2014 che “l’azione di recupero delle somme erogate a titolo di provvidenze di invalidità civile in conseguenza di fatto illecito di terzi (art. 2043 c.c.) costituisce, in capo all’Istituto, un diritto autonomo e distinto da quello dell’assistito, a differenza dell’azione di cui agli artt. 1916 c.c. e 14 della L. 222/84, che prevedono la surroga dell’Istituto nei medesimi diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili e quindi la successione nel lato attivo di un rapporto obbligatorio”. Come a dire che il privato, dopo aver contribuito alla fiscalità generale (da cui vengono attinte le risorse necessarie per l'erogazione delle invalidità) ed aver risarcito il danno alla vittima, sarebbe esposto al rischio di essere ulteriormente percosso per restituire ad Inps quanto pagato in favore dell'invalido.
Ora, la novella legislativa (almeno nell’interpretazione offerta da Inps) lascia francamente perplessi, risolvendosi di fatto in una doppia imposizione in capo al privato. Il che indurrebbe a dubitare della legittimità costituzionale della norma, tanto più ove si consideri come le prestazioni di invalidità erogate a seguito di illecito finiscano col sovrapporsi almeno in parte con il compendio risarcitorio pagato dal responsabile o dal suo assicuratore della RC. Nondimeno, quella disposizione di legge denuncia ancora una volta l'impossibilità per lo Stato di tener fede agli impegni assunti in passato.
Ma se questa è dunque l'amara (ed incontrovertibile) verità, invece di rastrellare illegittimamente risorse ed esporre il privato al rischio di rivalere Inps per importi anche considerevoli che si aggiungono all'obbligo contributivo ed a quello risarcitorio, non sarebbe forse più ragionevole rimodulare lo statuto complessivo del sistema assistenziale affinché questo risulti sostenibile e allo stesso tempo fedele alla funzione che la Costituzione gli affida (ovvero intervenire in situazioni di effettivo bisogno)?
Certo, mi si dirà che la macchina burocratica brucia inutilmente risorse che sole consentirebbero di sostenere (se non addirittura di implementare) il welfare pubblico. Ma ciò conferma l'urgenza di una rivisitazione complessiva e lungimirante dell'apparato statale che ad oggi, nello squallido scenario del pettegolezzo politico, pare un miraggio.
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