Industrializzare i processi conviene
Oramai il trend è costante da alcuni anni e non può più essere considerato un fatto episodico e casuale; nel 2010 la frequenza sinistri nel ramo Rc auto è stata del 7,1%: ogni cento rischi assicurati, poco più di sette venivano colpiti da un sinistro. Nell’anno successivo è scesa al 6,3%. E poi ancora giù, più lentamente, ma sempre in discesa: 5,5% nel 2012, 5,3% nel 2013, 5,04% nel 2014 e infine, lo scorso anno, la frequenza sinistri si è attestata al 5,02%. Quasi un 30% in meno in soli cinque anni.
A causare la diminuzione dei sinistri denunciati, la scarsa disponibilità economica di molte famiglie che ha ridotto il flusso dei veicoli circolanti.
La conseguenza più naturale è stata la contrazione delle tariffe, favorita dalla diminuzione dei sinistri ma anche dalla necessità delle famiglie di risparmiare sulle spese.
Le compagnie hanno messo a segno utili che non si vedevano da molti anni e gli azionisti hanno avuto una remunerazione del capitale, in alcuni casi, a doppia cifra.
Tutto bene dunque?
Non proprio.
Gli intermediari, per effetto della diminuzione dei premi di polizza, hanno visto i loro ricavi contrarsi progressivamente e, di contro, non sono riusciti a ridurre l’incidenza delle spese.
La conclusione è che gli utili dichiarati dagli intermediari, broker o agenti che siano, sono in costante diminuzione oramai da troppi anni e la sopravvivenza di molti di essi è legata veramente a un sottilissimo filo. Quello che è sempre mancato al settore dell’intermediazione assicurativa, è un controllo industrializzato dei costi. La domanda che ogni intermediario dovrebbe farsi è: ma questo cliente, o questo subagente, mi fa guadagnare denaro, o no? È la domanda che ogni imprenditore si fa ogni volta che consuntiva una commessa, che chiude la contabilità di un cantiere. Gli intermediari no.
Gli intermediari spesso strapagano i subagenti e rincorrono lo sconto pur di acquisire un contratto, senza badare se, così facendo, stanno generando una utilità o una perdita per il proprio bilancio. Quanti intermediari conoscono il costo di gestione di ogni singolo contratto che emettono?
Quanti hanno la minima idea di come si calcola il margine di profitto di una polizza di un cliente o di un subagente? Eppure, arrivare a determinare questo margine, anche se in modo un po’ empirico, non è operazione così difficile. Basta prendere i costi fissi di gestione (escluse le provvigioni retrocesse) risultanti dal bilancio, ricomprendendo tra queste il compenso (anche se non previsto) dell’intermediario e dividere questo importo per il numero dei contratti gestiti.
Da una recente campionatura eseguita su un numero ristretto di agenzie, i costi di gestione di ogni singolo “pezzo di carta” possono variare da 30 a 40 euro. La differenza di costo è determinata dalla ottimizzazione delle risorse. A questo importo e sul singolo contratto, debbono essere aggiunte le eventuali provvigioni passive.
Certo, è un conteggio empirico che andrebbe ulteriormente “raffinato”; per esempio, una polizza Rc auto ha un costo di gestione sicuramente superiore a quello di una polizza rami elementari che, di contro, ha una redditività molto più elevata. Se volessimo applicare la teoria di Pareto, il noto economista, a questo mondo dovremmo dire che il 20% del portafoglio rami elementari genera l’80% dei ricavi di agenzia. Appare quindi evidente come non sia più possibile continuare a gestire un cliente monoramo auto; in particolare oggi che i ricavi sono sensibilmente diminuiti.
In conclusione: a fronte di costi che continuano a lievitare e ricavi a diminuire, non è più differibile per gli intermediari un puntuale controllo dei costi e, conseguentemente, l’assunzione di decisioni che vadano nel segno di un recupero di redditività. Potremmo arrivare a dire che l’allontanamento di clienti marginali, che non generano un profitto all’intermediario, se accompagnato, per esempio, da una riduzione di personale, potrebbe essere una misura da non sottovalutare.
Quello che è consigliabile fare, per ogni intermediario, è valutare un cliente, un subagente e porsi la domanda fatidica: mi conviene?
A causare la diminuzione dei sinistri denunciati, la scarsa disponibilità economica di molte famiglie che ha ridotto il flusso dei veicoli circolanti.
La conseguenza più naturale è stata la contrazione delle tariffe, favorita dalla diminuzione dei sinistri ma anche dalla necessità delle famiglie di risparmiare sulle spese.
Le compagnie hanno messo a segno utili che non si vedevano da molti anni e gli azionisti hanno avuto una remunerazione del capitale, in alcuni casi, a doppia cifra.
Tutto bene dunque?
Non proprio.
Gli intermediari, per effetto della diminuzione dei premi di polizza, hanno visto i loro ricavi contrarsi progressivamente e, di contro, non sono riusciti a ridurre l’incidenza delle spese.
La conclusione è che gli utili dichiarati dagli intermediari, broker o agenti che siano, sono in costante diminuzione oramai da troppi anni e la sopravvivenza di molti di essi è legata veramente a un sottilissimo filo. Quello che è sempre mancato al settore dell’intermediazione assicurativa, è un controllo industrializzato dei costi. La domanda che ogni intermediario dovrebbe farsi è: ma questo cliente, o questo subagente, mi fa guadagnare denaro, o no? È la domanda che ogni imprenditore si fa ogni volta che consuntiva una commessa, che chiude la contabilità di un cantiere. Gli intermediari no.
Gli intermediari spesso strapagano i subagenti e rincorrono lo sconto pur di acquisire un contratto, senza badare se, così facendo, stanno generando una utilità o una perdita per il proprio bilancio. Quanti intermediari conoscono il costo di gestione di ogni singolo contratto che emettono?
Quanti hanno la minima idea di come si calcola il margine di profitto di una polizza di un cliente o di un subagente? Eppure, arrivare a determinare questo margine, anche se in modo un po’ empirico, non è operazione così difficile. Basta prendere i costi fissi di gestione (escluse le provvigioni retrocesse) risultanti dal bilancio, ricomprendendo tra queste il compenso (anche se non previsto) dell’intermediario e dividere questo importo per il numero dei contratti gestiti.
Da una recente campionatura eseguita su un numero ristretto di agenzie, i costi di gestione di ogni singolo “pezzo di carta” possono variare da 30 a 40 euro. La differenza di costo è determinata dalla ottimizzazione delle risorse. A questo importo e sul singolo contratto, debbono essere aggiunte le eventuali provvigioni passive.
Certo, è un conteggio empirico che andrebbe ulteriormente “raffinato”; per esempio, una polizza Rc auto ha un costo di gestione sicuramente superiore a quello di una polizza rami elementari che, di contro, ha una redditività molto più elevata. Se volessimo applicare la teoria di Pareto, il noto economista, a questo mondo dovremmo dire che il 20% del portafoglio rami elementari genera l’80% dei ricavi di agenzia. Appare quindi evidente come non sia più possibile continuare a gestire un cliente monoramo auto; in particolare oggi che i ricavi sono sensibilmente diminuiti.
In conclusione: a fronte di costi che continuano a lievitare e ricavi a diminuire, non è più differibile per gli intermediari un puntuale controllo dei costi e, conseguentemente, l’assunzione di decisioni che vadano nel segno di un recupero di redditività. Potremmo arrivare a dire che l’allontanamento di clienti marginali, che non generano un profitto all’intermediario, se accompagnato, per esempio, da una riduzione di personale, potrebbe essere una misura da non sottovalutare.
Quello che è consigliabile fare, per ogni intermediario, è valutare un cliente, un subagente e porsi la domanda fatidica: mi conviene?
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