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Terremoti, solo buoni propositi?

Una decina di giorni fa un nuovo sisma, di magnitudo 3.6 della scala Richter, ha riproposto gli incubi recenti, mai sopiti, di coloro che vivono tra Umbria, Marche e Abruzzo. Sono località che possiedono una natura meravigliosa, circondate da architetture e opere d’arte uniche al mondo. È superfluo rammentarne i borghi, le chiese con i noti affreschi, il cui patrimonio artistico, in alcuni casi, è diventato patrimonio dell’umanità.  

Com’è possibile infondere fiducia a coloro che hanno perso tutto o quasi, sottoposti a una sorta di stillicidio della paura, costretti a fuggire dalle loro case, molte ridotte in macerie? Negli alberghi della zona sono state ospitate oltre 2000 persone e a oggi, sono poche le famiglie che si sono viste assegnare (a sorteggio) le cosiddette casette, non più di 500 nelle tre regioni. In burocratese moduli abitativi prefabbricati, che il governo, per mano della Protezione civile, con imperdonabile ritardo, sta consegnando. Molti sono ancora nelle tende o hanno aderito a soluzioni offerte da amici e parenti. Senza tener conto dei danni ingentissimi alle attività industriali, stroncate dal sisma, aggravando un’ulteriore disoccupazione nelle aziende, nell’artigianato e nell’agricoltura. A questi settori è stato inferto un colpo letale, difficile da superare. Gli aiuti sono lenti, ancora inconsistenti e la disperazione è ovunque. La burocrazia, come al solito, sta facendo la parte del leone.
Il tempo trascorre inesorabile, i mesi si accavallano e ancora la terra reclama fortemente, ne ho il dubbio, le violenze inferte nei decenni precedenti: disboscamento e cemento.
Questa drammatica tragedia ha di positivo solo la dimostrazione di una gara di solidarietà che si è sprigionata su tutto il territorio nazionale. Centinaia di volontari che hanno teso la loro mano verso i meno fortunati. Una catena d’italiani che hanno fatto squadra, per portare aiuti e sollievo a delle persone disperate. Solidarietà che ha avuto la capacità di riconciliarci con alcune brutture di questa società, spesso individualista e sorda, come una madre-matrigna.
Ancora oggi, è vero, l’Italia soccombe sotto i colpi della crisi, che mette peraltro in luce un’economia fragilissima, da oltre un decennio sotto scacco.
Dobbiamo notare che, malgrado la lunga serie di terremoti e altri disastri che hanno flagellato la nazione, il settore assicurativo, sui rischi catastrofali, si muove come un pachiderma ed è molto restio a concedere protezione. Le abitazioni veramente antisismiche sono un’eccezione, le infrastrutture sono state progettate e costruite senza grandi pretese e quindi le ragioni di tanta prudenza si possono anche comprendere.
Parole tante, progettualità vera ispirata alla soluzione del problema, poca.

Non è un gioco di parole, ma il calcolo delle probabilità di gravi sinistri, su territori già devastati da cataclismi sismici ed idrologici, è ritenuto dalle compagnie altamente rischioso e, quindi, le possibili garanzie vengono rilasciate con il contagocce. Vi sono criticità oggettive che limitano lo sviluppo della domanda e dell’offerta. Ci sarebbero possibili soluzioni individuate dall’Ania. Tutti siamo consci che non saranno di facile attuazione.
La copertura assicurativa  catastrofi naturali, di norma, quando accettata, è generalmente offerta nell’ambito della copertura incendio-multi rischi per abitazioni e aziende. Attualmente solo due compagnie offrono la possibilità di assicurare civili abitazioni esclusivamente contro il terremoto, senza dover sottoscrivere necessariamente un pacchetto di altre garanzie (incendio, furto, Rc, tutela legale, assistenza, ecc.). Si parte dal valore di ricostruzione del fabbricato e contenuto ma, ancora oggi, per le abitazioni è poco diffusa.
Cosa limita la diffusione di questo tipo di contratto?

a) la scarsa cultura assicurativa;
b) convinzione diffusa che lo Stato debba risarcire i danni causati dalle catastrofi;
c) sottovalutazione della percezione del rischio, trattandosi di eventi rari, anche se di forte intensità.

Va tenuto presente che il nostro è un mercato sotto assicurato e che solo il 45% delle abitazioni risultano assicurate contro l'incendio, e solo il 2% contro il terremoto. I dati forniti da Ania devono fare riflettere l’intero comparto assicurativo.
Dal punto di vista dell’offerta, esiste la scarsa domanda per varie ragioni: l'anti selezione, necessità di allocazione di un’elevata quantità di capitale, mancata evoluzione di modelli gestionali affidabili al fine di poter stimare i possibili danni catastrofali.
Come dicevamo prima, l’Ania ha proposto delle soluzioni, a mio parere efficaci, per migliorare la situazione.

  1. Lo Stato dovrebbe dichiarare di non intervenire;
  2. incentivi fiscali su premi assicurativi pagati;
  3. unire il rischio catastrofale alla polizza incendio, sottoscritta volontariamente;
  4. pianificare di spalmare il rischio con studi ad hoc.

Senza sottovalutare l'obbligatorietà nel garantire prezzi accessibili a tutti, grazie al raggiungimento della totale mutualità fra i diversi rischi catastrofali assicurati e fra le diverse zone territoriali.
Sappiamo che la normativa Solvency II prevede l’obbligo di allocare una concreta quantità di capitale in fase di assunzione del rischio. E anche questo è un problema non da poco.
Anche se la diffusione del rischio fosse ampia, grazie proprio all’obbligatorietà, il settore da solo non sarebbe in grado di sostenere la situazione, che diventerebbe gravosissima. Servirebbe pertanto l’intervento dello Stato, diciamo una  sorta joint venture tra imprese private e quest’ultimo, come riassicuratore di ultima istanza.
Tale meccanismo è adottato da tutti quei Paesi che hanno introdotto uno schema assicurativo nazionale semi-obbligatorio, o obbligatorio, sfruttando al massimo i vantaggi derivanti dal coinvolgimento del settore assicurativo privato. Così come suggerito dall’Ocse nel 2010.
Sarebbe obbligatorio investire anche nella diffusione della cultura assicurativa e nella gestione del rischio, senza dimenticare la prevenzione, i cui benefici diventeranno indispensabili per tutti i soggetti coinvolti.

Le proposte della Confindustria assicurativa appaiono di grande interesse, poggiano su una ferrea logica, sono all’avanguardia per progettualità e protezione: gli studi che l’Ania riversa con competenza sulle proprie associate sono  spesso inascoltati, purtroppo.
All’Italia e ai suoi governi, presenti e passati, manca la capacità di fare sistema, di coinvolgere l’intera cittadinanza.  
Tutto ciò lo si evince anche dall’incapacità di legiferare con competenza e coraggio su un comparto vitale. Forse perché le compagnie italiane sono solide, ben gestite e non hanno mai dato loro grossi problemi, al contrario delle consorelle, le banche. Casualmente ogni tanto, in qualche ddl, viene partorito un topolino, non di rado malformato.

Anche il ministero della Pubblica istruzione, cioè la scuola, dovrebbe fare la sua parte, formando in prima battuta i propri docenti, di qualunque ordine e studio, spesso lontanissimi dalle opportunità di una maggiore conoscenza.
Anche i media hanno le loro responsabilità. Non è accettabile non informare sull’importanza di essere assicurati: se ne discute solo e sempre, quando le catastrofi diventano un fatto di cronaca.
Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani), Province e Regioni andrebbero coinvolte, affidando a queste istituzioni anche il dovere di informare la propria collettività sull’importanza insita in un contratto assicurativo: esso è, e resta, lo zoccolo duro di una società civile e dell’economia più in generale.
La tutela di una collettività, la sua protezione, la si trova anche affidandosi a una polizza ben fatta, che vada a proteggere  persone, beni mobiliari e immobiliari, aziende piccole, medie e grandi, nell’interesse generale del Paese. Metto in rilievo che di questo problema se ne parla da decenni. Quando le istituzioni tutte riterranno giunto il momento di fare sistema? Solo buoni propositi?

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