I social network e il pericolo del furto d’identità
Questa mia riflessione è dedicata soprattutto agli adolescenti, ma non solo. Mi rivolgo anche a tutte quelle persone adulte che, sebbene più consapevoli delle proprie azioni, trascorrono molte ore su Facebook per chattare, pubblicare foto e video, raccontare ogni dettaglio della propria vita come se ci si trovasse in un confessionale.
Ho già toccato tempo fa l’argomento, ma vale la pena soffermarsi nuovamente su questi temi perché dilettarsi sulle reti sociali sta diventando un’attività sempre più rischiosa. I nostri dati, le nostre foto, i video e qualsiasi altra cosa decidiamo di rendere pubblica sui social network può essere rubata e usata da chicchessia a proprio vantaggio. Non sempre con buone finalità. Anzi, a dire il vero quasi mai. Se ne parla ormai da anni, ma la situazione non sembra essere migliorata, né gli organi preposti alla vigilanza su questa delicata materia sembrano aver risolto un gran che.
Chi tutela davvero la privacy e il diritto d'autore? Faccio un esempio. Avete mai ipotizzato (cito un fatto realmente accaduto) di potervi ritrovare con nome, cognome, foto e anno di nascita, su un catalogo di “persone desiderose di compagnia” in vendita online e corredato da relativo prezzo? Purtroppo non si tratta di fantascienza. È quanto accaduto non molto tempo fa a oltre 1.000 donne (di cui alcune minorenni) residenti alle porte di Milano. Donne di cui, ovviamente a loro insaputa, si è tentato di vendere pubblicamente l’immagine e il pudore. Esponendole al pubblico ludibrio “al costo di un buon aperitivo”, come recitava la rèclàme del sito in cui sono apparse. È forse superfluo entrare nel merito della vergogna, dello scandalo e della mortificazione che emerge da questo episodio. Eppure Il diabolico sistema è fin troppo semplice da attuare. È sufficiente aggregare in un unico file le informazioni dei profili online di coloro che su Facebook o su altri social, aveva raccontato, a volte con dovizia di particolari, la propria vita di persona adulta o di adolescente. Scoppiato il caso, chi aveva sottratto i dati ha sostenuto che le informazioni erano pubbliche, a disposizione di chiunque. Ad ogni modo, il cosiddetto “catalogo” è stato ritirato, dopo le denunce sporte nei confronti dei responsabili del furto di identità. Il caso è tutt’ora al vaglio del Garante della Privacy.
Anche nell’era dei social network e di una popolazione italiana che, da nord a sud , è ormai totalmente smaliziata, ognuno di noi dovrebbe cercare in tutti i modi di tutelare la propria immagine, che deve restare sacra e inviolabile. Continuo a trovare incomprensibile questa irrefrenabile smania di raccontare al mondo interno qualsiasi dettaglio della propria vita, anche di una banale cena al ristorante con amici. Per questo mi domando: qui prodest? Se è vero che alcuni diritti per gli utenti esistono già, è altrettanto vero che farli valere non è affatto semplice. La rete corre alla velocità della luce, mentre la legge arranca inseguendo i cambiamenti della società come un bradipo tridattilo. A ciò si aggiunge il modus operandi di Facebook, che possiede condizioni contrattuali non sempre in piena armonia con le leggi italiane. In linea teorica gli utenti dovrebbero essere i proprietari di tutti i contenuti e delle informazioni postate sui social. Peccato che ciò vada in rotta di collisione con ciò che è stato autorizzato da ogni singola persona, all’atto della registrazione del proprio profilo. Si rilascia una licenza di utilizzo. Qualcuno dei lettori che mi segue si è mai accorto di questa discrepanza, o ha avuto modo di leggere per intero i cosiddetti termini contrattuali?
I contenuti postati su Facebook non sono pubblicati in esclusiva e sono trasferibili. Ergo: possono essere utilizzati anche da soggetti terzi.
Proprietari si, ma fino ad un certo punto. Anche se si volesse eliminare il proprio account, Facebook potrà archiviare il materiale di ciascun utente per un periodo non precisato. Non si parla solo di foto o video. Sappiamo che sui social si comunicano apertamente i dati più sensibili: le opinioni politiche, gli stati di salute, la vita sentimentale, gli orientamenti sessuali. Facebook garantisce, dopo aver analizzato il tutto (non certo con la lente di ingrandimento) di poter eventualmente rimuovere ciò che ritiene contrario ai cosiddetti “standard della comunità”. Un invito a comportarsi in modo civile che, purtroppo, viene raramente preso in considerazione dalla platea che frequenta i social. Se ad esempio un contatto ha postato gli scritti, le foto, o ha riferito di atti inerenti la vita di qualcun altro, il mal capitato può sì presentare reclamo, ma non è detto che quanto pubblicato venga cancellato immediatamente. Tutto può restare online anche per interi mesi. In caso di violazioni molto gravi è possibile avviare una vertenza legale contro Facebook, casa madre, ma occorre tener presente che ci si deve rivolgere a un Tribunale della California. Anche questo passaggio è stato “accettato” dai frequentatori di questo social. Ammesso che si posseggano danari a volontà per portare avanti una causa oltre oceano contro Facebook, vale la pena ricordare che la legislazione sulla privacy negli Stati Uniti d’America è molto più soft di quella italiana.
Ho già toccato tempo fa l’argomento, ma vale la pena soffermarsi nuovamente su questi temi perché dilettarsi sulle reti sociali sta diventando un’attività sempre più rischiosa. I nostri dati, le nostre foto, i video e qualsiasi altra cosa decidiamo di rendere pubblica sui social network può essere rubata e usata da chicchessia a proprio vantaggio. Non sempre con buone finalità. Anzi, a dire il vero quasi mai. Se ne parla ormai da anni, ma la situazione non sembra essere migliorata, né gli organi preposti alla vigilanza su questa delicata materia sembrano aver risolto un gran che.
Chi tutela davvero la privacy e il diritto d'autore? Faccio un esempio. Avete mai ipotizzato (cito un fatto realmente accaduto) di potervi ritrovare con nome, cognome, foto e anno di nascita, su un catalogo di “persone desiderose di compagnia” in vendita online e corredato da relativo prezzo? Purtroppo non si tratta di fantascienza. È quanto accaduto non molto tempo fa a oltre 1.000 donne (di cui alcune minorenni) residenti alle porte di Milano. Donne di cui, ovviamente a loro insaputa, si è tentato di vendere pubblicamente l’immagine e il pudore. Esponendole al pubblico ludibrio “al costo di un buon aperitivo”, come recitava la rèclàme del sito in cui sono apparse. È forse superfluo entrare nel merito della vergogna, dello scandalo e della mortificazione che emerge da questo episodio. Eppure Il diabolico sistema è fin troppo semplice da attuare. È sufficiente aggregare in un unico file le informazioni dei profili online di coloro che su Facebook o su altri social, aveva raccontato, a volte con dovizia di particolari, la propria vita di persona adulta o di adolescente. Scoppiato il caso, chi aveva sottratto i dati ha sostenuto che le informazioni erano pubbliche, a disposizione di chiunque. Ad ogni modo, il cosiddetto “catalogo” è stato ritirato, dopo le denunce sporte nei confronti dei responsabili del furto di identità. Il caso è tutt’ora al vaglio del Garante della Privacy.
Anche nell’era dei social network e di una popolazione italiana che, da nord a sud , è ormai totalmente smaliziata, ognuno di noi dovrebbe cercare in tutti i modi di tutelare la propria immagine, che deve restare sacra e inviolabile. Continuo a trovare incomprensibile questa irrefrenabile smania di raccontare al mondo interno qualsiasi dettaglio della propria vita, anche di una banale cena al ristorante con amici. Per questo mi domando: qui prodest? Se è vero che alcuni diritti per gli utenti esistono già, è altrettanto vero che farli valere non è affatto semplice. La rete corre alla velocità della luce, mentre la legge arranca inseguendo i cambiamenti della società come un bradipo tridattilo. A ciò si aggiunge il modus operandi di Facebook, che possiede condizioni contrattuali non sempre in piena armonia con le leggi italiane. In linea teorica gli utenti dovrebbero essere i proprietari di tutti i contenuti e delle informazioni postate sui social. Peccato che ciò vada in rotta di collisione con ciò che è stato autorizzato da ogni singola persona, all’atto della registrazione del proprio profilo. Si rilascia una licenza di utilizzo. Qualcuno dei lettori che mi segue si è mai accorto di questa discrepanza, o ha avuto modo di leggere per intero i cosiddetti termini contrattuali?
I contenuti postati su Facebook non sono pubblicati in esclusiva e sono trasferibili. Ergo: possono essere utilizzati anche da soggetti terzi.
Proprietari si, ma fino ad un certo punto. Anche se si volesse eliminare il proprio account, Facebook potrà archiviare il materiale di ciascun utente per un periodo non precisato. Non si parla solo di foto o video. Sappiamo che sui social si comunicano apertamente i dati più sensibili: le opinioni politiche, gli stati di salute, la vita sentimentale, gli orientamenti sessuali. Facebook garantisce, dopo aver analizzato il tutto (non certo con la lente di ingrandimento) di poter eventualmente rimuovere ciò che ritiene contrario ai cosiddetti “standard della comunità”. Un invito a comportarsi in modo civile che, purtroppo, viene raramente preso in considerazione dalla platea che frequenta i social. Se ad esempio un contatto ha postato gli scritti, le foto, o ha riferito di atti inerenti la vita di qualcun altro, il mal capitato può sì presentare reclamo, ma non è detto che quanto pubblicato venga cancellato immediatamente. Tutto può restare online anche per interi mesi. In caso di violazioni molto gravi è possibile avviare una vertenza legale contro Facebook, casa madre, ma occorre tener presente che ci si deve rivolgere a un Tribunale della California. Anche questo passaggio è stato “accettato” dai frequentatori di questo social. Ammesso che si posseggano danari a volontà per portare avanti una causa oltre oceano contro Facebook, vale la pena ricordare che la legislazione sulla privacy negli Stati Uniti d’America è molto più soft di quella italiana.
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