Compensatio lucri cum damno
È la regola per cui non è possibile che la vittima di un danno possa trarre un vantaggio economico dall’averlo subìto. La sua applicazione pratica è complessa e determina molte discussioni in ambito giuridico e assicurativo
02/11/2023
Nella liquidazione del risarcimento del danno alla persona, l’espressione compensatio lucri cum damno (letteralmente, compensazione del guadagno con il danno) serve a indicare la regola per la quale non è possibile che la vittima del danno stesso possa trarre un vantaggio economico dall’averlo subìto.
Questa norma non è sancita espressamente da una disposizione del diritto, ma viene riconosciuta dalla giurisprudenza quale regola che concorre a delimitare l’ambito del danno risarcibile.
IL DANNO EFFETTIVO
Il suo fondamento risiede, sul piano giuridico, nel principio di integralità della riparazione del danno effettivo: il risarcimento deve reintegrare il patrimonio del danneggiato dalla perdita subìta, incluso l’eventuale mancato guadagno, facendo in modo che lo stesso non sia più ricco o più povero di quanto non fosse prima di aver patito il danno stesso.
Ciò impone di tenere conto di tutte le conseguenze immediate e dirette dell’evento dannoso; quindi degli svantaggi, ma anche delle conseguenze vantaggiose che potrebbero derivare al danneggiato.
In pratica il risarcimento deve mantenere la sua funzione compensativa (in questo caso, risulta quanto mai appropriata l’espressione utilizzata nella lingua inglese: compensation), senza determinare alcun arricchimento.
IL PRINCIPIO INDENNITARIO
Sul piano assicurativo questo concetto si realizza nel cosiddetto principio indennitario, ovvero nella regola fondamentale che permea il disposto degli articoli 1905 e 1908 del Codice civile e protegge la compagnia dall’eventualità che l’assicurato tragga vantaggio dal sinistro.
Su tale regola si costruisce l’intero rapporto di fiducia che lega l’assicurato all’assicuratore, consentendo l’attuazione del fine ultimo del contratto di polizza: a fronte del pagamento del giusto premio, l’assicurato che abbia subito un danno beneficerà di un equo trattamento da parte dell’assicuratore.
UN ESEMPIO CONCRETO
Ma in che cosa si concretizza, in pratica, il concetto della compensatio lucri cum damno?
Mettiamo il caso che si verifichi un incidente automobilistico e che la vittima debba essere risarcita dalla polizza che assicura la responsabilità civile per la circolazione (la Rca) dell’autovettura che ha causato il danno.
È possibile che la stessa persona abbia acquistato una polizza infortuni, o che sia assicurata all’interno della polizza infortuni stipulata dal suo datore di lavoro o dal proprio capofamiglia o all’interno della polizza Rco, la responsabilità civile che assicura gli infortuni dei prestatori d’opera, in quanto dipendente. Il principio della compensatio impone al liquidatore del danno da Rca di tener conto, nel suo conteggio, dell’importo che la vittima andrà a recuperare da qualsiasi altra polizza della quale sia beneficiaria, e il cui oggetto coincida con l’interesse risarcito (cioè il danno alla sua integrità fisica), detraendolo dall’importo finale della liquidazione o surrogandosi, ai sensi dell’articolo 1916 del Codice, nei confronti di eventuali altre polizze e coperture che possano a vario titolo interessare il danno liquidato.
In teoria, se la vittima dell’incidente dovesse riscuotere per intero il danno causato dal suo investitore e poi anche il risarcimento dovuto dalle altre polizze che assicurano la sua integrità fisica, la stessa finirebbe con l’essere risarcita per un importo superiore al giusto, acquisendo un vantaggio economico dal sinistro che l’ha coinvolta.
IN CASO DI SURROGA
Fin qui è tutto chiaro ma, dal punto di vista pratico, la questione è assai più complessa. Prima di tutto, è necessario tener conto dell’inquadramento delle polizze coinvolte nell’ambito dei rami danni, perché solo in questo caso si applicherà il principio indennitario. Se l’incidente fosse mortale, poi, la surroga dell’assicuratore della responsabilità civile nei confronti di quello della polizza infortuni non sarebbe utilizzabile, perché il beneficiario dell’indennizzo sarebbe un soggetto terzo (l’erede) e ciò farebbe venire meno il presupposto stesso del diritto di surrogazione, che impedisce il cumulo di diritti derivanti da titoli diversi (il diritto al risarcimento verso il responsabile e il diritto all’indennizzo verso l’assicuratore) da parte della stessa persona.
LA VALUTAZIONE SULL’OMOGENEITÀ DELLE POSTE RISARCITORIE
Ma esistono molte altre incognite. Alcuni osservatori hanno interpretato la detrazione dell’importo assicurato nella polizza infortuni dal risarcimento previsto nella polizza di responsabilità civile come una sorta di avallo o ratifica nei confronti del danneggiante, cioè di colui che ha commesso il fatto illecito dal quale è derivato il danno, perché a questo punto sarebbe lui ad avvantaggiarsi del conteggio fatto. E poi c’è la questione dell’omogeneità delle poste risarcitorie, perché c’è il rischio di trovarsi a detrarre le pere dalle mele, come direbbero gli anglosassoni. Nel nostro sistema le poste o voci risarcitorie che interessano il danno alla persona sono assai varie, complesse e spesso oggetto di discussione fra i giuristi.
Se è vero che “la detrazione del risarcimento del danno aquiliano (cioè, il danno da responsabilità civile) dell’indennizzo assicurativo percepito dalla vittima in virtù di una assicurazione contro gli infortuni esige che il danno patito e il rischio assicurato coincidano” (Cassazione civile 13233 del 2014), potremmo trovarci di fronte a non pochi problemi.
Ad esempio, nel risarcimento del danno alla persona in ambito civilistico è nozione comune distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, ma nelle polizze infortuni queste categorie non sono utilizzate.
Inoltre, qualora l’assicuratore della responsabilità civile coprisse il danno da perdita della capacità lavorativa (il danno patrimoniale) e la vittima dell’illecito dovesse subire soltanto un danno biologico (danno non patrimoniale), vorrebbe dire che non si può procedere ad alcuna detrazione, per mancanza di omogeneità tra le poste di danno.
QUANTO VALE L’INTEGRITÀ FISICA DI UNA PERSONA?
Insomma, l’applicazione pratica della compensatio lucri cum damno è cosa molto complessa e determina ancora molte discussioni in ambito giuridico e assicurativo, anche perché nel nostro mercato le polizze infortuni sono assai diffuse e la copertura della Rco non è obbligatoria, ma è molto comune. La possibilità che diversi tipi di risarcimento coesistano e si sovrappongano nell’ambito del medesimo evento è quindi assai verosimile.
Il tribunale di Milano, con sentenza 2894 del 2023 ad opera del dott. Damiano Spera, ha di recente negato l’applicazione della compensatio, adducendo come riferimenti la modalità di liquidazione dell’indennità prevista, calcolata in percentuale su di un capitale convenzionalmente stabilito (come accade usualmente per le polizze infortuni) e non in rapporto al valore oggettivo del bene leso dal sinistro (come accade nell’ambito della responsabilità civile) e anche per la presenza della clausola di rinuncia alla rivalsa, specificamente pattuita in polizza.
Tutto ciò, senza contare il fatto che molti ancora considerano l’integrità fisica personale come un concetto per sua natura non misurabile, se non ricorrendo a convenzioni che hanno il solo scopo di risarcire i pregiudizi eventualmente subiti dalle vittime di infortuni o incidenti. A differenza di quanto accade con le cose, il valore dell’integrità fisica di una persona, insomma, non è di per sé valutabile con una cifra e la possibilità che si addizionino diversi risarcimenti non dovrebbe preoccupare gli operatori del mondo assicurativo e tanto meno quelli della legge.
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