Paparella: “I broker crescono, nonostante la crisi”
Più di 1.000 iscritti, e una quota di mercato superiore al 90%. L’Associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e Riassicurazioni guarda con fiducia al futuro del mercato e alle sue potenzialità. Il suo presidente Francesco G. Paparella, in questa intervista esclusiva, esamina temi e numeri, e analizza il trend del settore
09/11/2011
Francesco G. Paparella, presidente AIBA al quinto mandato (scadrà nel 2013) svolge l’attività di broker assicurativo da una vita. Dal 1972 per la precisione, quando iniziò l’attività negli uffici romani della Bain Dawes Lequio SpA. Ha quindi alle spalle quarant’anni di professione, e un osservatorio privilegiato, ai vertici dell’associazione di categoria, da cui poter tentare un’analisi sull’evoluzione del mercato, e del mestiere di broker. E in questa intervista esclusiva emergono alcuni importanti elementi di riflessione.
Presidente Paparella, anche per i broker questo è stato un anno di sofferenza?
Distinguiamo: la crisi che ha colpito il Paese, e in particolare il comparto industriale, e le aziende in genere, non ci ha lasciati indenni. Non viviamo sulla luna, ma operiamo a stretto contatto con la realtà economica e produttiva, e se questa va in crisi anche noi dobbiamo fare i conti con la situazione. Tuttavia, e questo credo sia il primo dato significativo su cui riflettere, i broker tendono ad accrescere, anche quest’anno, la loro quota percentuale all’interno del mercato assicurativo.
Diamo qualche numero, tanto per avere un ordine di grandezza..
Nei soli rami danni la nostra quota di mercato è ormai arrivata al 47,7% del mercato, pari a 17,1 miliardi di euro gestiti a tutto il 2010 (nel 2009 la quota di mercato era del 42,2% e 15,5 miliardi gestiti). Un incremento avvenuto, per il terzo anno consecutivo, a fronte di una flessione complessiva della raccolta dei rami danni scesa a 35,8 miliardi di euro (-2,4% rispetto al 2009). . Complessivamente i premi assicurativi gestiti dai broker nel 2010 sono risultati pari a 21,3 miliardi di euro per una quota di mercato del 17% sulla raccolta totale (erano 19,3 miliardi nel 2009, pari al 16,5%). E’ un trend positivo, che dimostra quanto le imprese, ma anche gli enti pubblici, abbiano sempre più bisogno di consulenza personalizzata, di un team di veri professionisti in grado di affiancarli nell’analisi dei loro bisogni assicurativi, nell’individuazione delle migliori soluzioni presenti sul mercato, e nella gestione di tutte le problematiche legate ad eventuali sinistri.
Quindi non è in corso nessuna “fuga” dal mondo assicurativo: ossia le imprese, pur alle prese con una crisi senza precedenti recenti, considerano le coperture assicurative come un investimento, e non come una spesa eliminabile. E’ cosi?
Assolutamente sì. Gli imprenditori grandi e piccoli mostrano, questo sì, sempre maggior attenzione all’elemento prezzo, e magari proprio rivolgendosi a un broker scoprono che fino a quel momento hanno sborsato cifre eccessive, in rapporto al servizio standard ricevuto. Questo succede, paradossalmente, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, per le quali tra l’altro il rischio è più distribuito, più parcellizzato. Per cui un broker è in grado di offrire loro proposte più appetibili, mentre succede il contrario se gli stessi imprenditori si rivolgono altrove.
Insomma sta un po’ polemizzando con gli agenti…
No, non generalizzo: ci sono agenti ben organizzati, e capaci di offrire reale consulenza. Ma onestamente un broker si muove su un altro livello, ha un approccio e strumenti di lavoro per forza di cose differenti. Se così non fosse, dovremmo cambiare mestiere.
Ma quali sono le leve e i comparti sui quali puntare, oggi, per far crescere il mercato? Le menziono due settori: salute, e danni catastrofali….
Belle sfide, ma io ne aggiungo una terza, che pesa quanto le prime due messe insieme probabilmente, e si chiama inquinamento. E attenzione: non penso solo al settore petrolchimico, o alle concerie. Che certo sono comparti a particolare rischio. Ma qualsiasi azienda è, potenzialmente e a livelli diversi, inquinante. E la legislazione al riguardo, anche se magari non tutti gli imprenditori lo sanno, è ferrea: si rischia molto, e il principio in caso di danno accertato è il completo ripristino, a proprie spese, della situazione ambientale antecedente. Oggi molte aziende, quando si trovano in queste condizioni, finiscono con il portare i libri in tribunale e consegnare le chiavi al Prefetto. Mentre un adeguato piano assicurativo potrebbe metterli in condizioni di lavorare più serenamente.
E i danni catastrofali? Dopo tanti anni di incertezza, il governo qualche settimana fa pareva intenzionato a fare sul serio, introducendo l'obbligatorietà di legge per tutti gli stabili ad uso abitativo. Ora di nuovo tutto tace…
Detesto parlar male dei politici perché è troppo facile e perché, comunque sia, siamo sempre noi a sceglierli. Però sono cinque legislature che il tema delle catastrofi naturali, sul suo versante assicurativo, viene portato all’attenzione delle commissioni competenti. E si è sempre incagliato da qualche parte. Speriamo davvero che questa sia la volta buona.
Invece sul fronte Sanità ci sono ormai tanti ospedali e strutture, pubbliche e private, che non trovano sul mercato italiano chi sia disposto ad assicurarlo. Non è paradossale?
Paradossale è soprattutto la mancanza di programmazione. Come AIBA stiamo promuovendo, glielo dico come anticipazione, un tavolo di lavoro a cui parteciperanno i principali protagonisti del mondo sanitario pubblico e privato, prestigiose università e centri specializzati in statistica. La situazione in cui ci troviamo è paradossale: da anni molti gruppi assicurativi ormai si rifiutano di assumere rischi davvero troppo ingenti, oppure chiedono per le polizze cifre assolutamente spropositate. Questo ha fatto sì che si facessero avanti realtà specializzate, che però poi alla prova dei fatti si sono mostrate inadeguate. La compagnia Faro è fallita da poco, per fare un esempio. Ma è possibile che un settore delicato come la Sanità rimanga privo di adeguate proposte assicurative? Qui occorre che lo Stato da un lato, le compagnie dall’altro si mettano attorno ad un tavolo (quello dell’AIBA, ad esempio) per trovare una soluzione seria.
Presidente Paparella, AIBA quanti iscritti ha, e quanto pesa sul mercato?
Abbiamo più di 1.000 iscritti, su un totale di quasi 1.500 operatori presenti sul mercato italiano dei broker (circa 1.100 imprese e 380 ditte individuali). Ma tenga conto che i soci AIBA rappresentano complessivamente oltre il 90% del settore sul piano del giro d’affari della categoria. E non siamo un’associazione “ingessata”. Cerchiamo di incidere davvero nel nostro segmento professionale, che del resto occupa circa 12 mila addetti, ed è davvero la spina dorsale del mondo assicurativo italiano.
Un’ultima domanda personale all’imprenditore assicurativo Francesco G. Paparella: ha dei figli, e li ha avviati alla sua professione?
Ho una figlia che lavora con me da 17 anni, e un figlio di 22 che si sta “facendo le ossa” presso un broker londinese. Credo fortemente in questo mestiere, e per fortuna ci credono anche loro. Ma posso dirle che questa è una tendenza piuttosto generale: c’è anche nei miei colleghi un diffuso “orgoglio” di essere broker, e la voglia e la speranza che le nuove generazioni continuino nel nostro percorso.
Presidente Paparella, anche per i broker questo è stato un anno di sofferenza?
Distinguiamo: la crisi che ha colpito il Paese, e in particolare il comparto industriale, e le aziende in genere, non ci ha lasciati indenni. Non viviamo sulla luna, ma operiamo a stretto contatto con la realtà economica e produttiva, e se questa va in crisi anche noi dobbiamo fare i conti con la situazione. Tuttavia, e questo credo sia il primo dato significativo su cui riflettere, i broker tendono ad accrescere, anche quest’anno, la loro quota percentuale all’interno del mercato assicurativo.
Diamo qualche numero, tanto per avere un ordine di grandezza..
Nei soli rami danni la nostra quota di mercato è ormai arrivata al 47,7% del mercato, pari a 17,1 miliardi di euro gestiti a tutto il 2010 (nel 2009 la quota di mercato era del 42,2% e 15,5 miliardi gestiti). Un incremento avvenuto, per il terzo anno consecutivo, a fronte di una flessione complessiva della raccolta dei rami danni scesa a 35,8 miliardi di euro (-2,4% rispetto al 2009). . Complessivamente i premi assicurativi gestiti dai broker nel 2010 sono risultati pari a 21,3 miliardi di euro per una quota di mercato del 17% sulla raccolta totale (erano 19,3 miliardi nel 2009, pari al 16,5%). E’ un trend positivo, che dimostra quanto le imprese, ma anche gli enti pubblici, abbiano sempre più bisogno di consulenza personalizzata, di un team di veri professionisti in grado di affiancarli nell’analisi dei loro bisogni assicurativi, nell’individuazione delle migliori soluzioni presenti sul mercato, e nella gestione di tutte le problematiche legate ad eventuali sinistri.
Quindi non è in corso nessuna “fuga” dal mondo assicurativo: ossia le imprese, pur alle prese con una crisi senza precedenti recenti, considerano le coperture assicurative come un investimento, e non come una spesa eliminabile. E’ cosi?
Assolutamente sì. Gli imprenditori grandi e piccoli mostrano, questo sì, sempre maggior attenzione all’elemento prezzo, e magari proprio rivolgendosi a un broker scoprono che fino a quel momento hanno sborsato cifre eccessive, in rapporto al servizio standard ricevuto. Questo succede, paradossalmente, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese, per le quali tra l’altro il rischio è più distribuito, più parcellizzato. Per cui un broker è in grado di offrire loro proposte più appetibili, mentre succede il contrario se gli stessi imprenditori si rivolgono altrove.
Insomma sta un po’ polemizzando con gli agenti…
No, non generalizzo: ci sono agenti ben organizzati, e capaci di offrire reale consulenza. Ma onestamente un broker si muove su un altro livello, ha un approccio e strumenti di lavoro per forza di cose differenti. Se così non fosse, dovremmo cambiare mestiere.
Ma quali sono le leve e i comparti sui quali puntare, oggi, per far crescere il mercato? Le menziono due settori: salute, e danni catastrofali….
Belle sfide, ma io ne aggiungo una terza, che pesa quanto le prime due messe insieme probabilmente, e si chiama inquinamento. E attenzione: non penso solo al settore petrolchimico, o alle concerie. Che certo sono comparti a particolare rischio. Ma qualsiasi azienda è, potenzialmente e a livelli diversi, inquinante. E la legislazione al riguardo, anche se magari non tutti gli imprenditori lo sanno, è ferrea: si rischia molto, e il principio in caso di danno accertato è il completo ripristino, a proprie spese, della situazione ambientale antecedente. Oggi molte aziende, quando si trovano in queste condizioni, finiscono con il portare i libri in tribunale e consegnare le chiavi al Prefetto. Mentre un adeguato piano assicurativo potrebbe metterli in condizioni di lavorare più serenamente.
E i danni catastrofali? Dopo tanti anni di incertezza, il governo qualche settimana fa pareva intenzionato a fare sul serio, introducendo l'obbligatorietà di legge per tutti gli stabili ad uso abitativo. Ora di nuovo tutto tace…
Detesto parlar male dei politici perché è troppo facile e perché, comunque sia, siamo sempre noi a sceglierli. Però sono cinque legislature che il tema delle catastrofi naturali, sul suo versante assicurativo, viene portato all’attenzione delle commissioni competenti. E si è sempre incagliato da qualche parte. Speriamo davvero che questa sia la volta buona.
Invece sul fronte Sanità ci sono ormai tanti ospedali e strutture, pubbliche e private, che non trovano sul mercato italiano chi sia disposto ad assicurarlo. Non è paradossale?
Paradossale è soprattutto la mancanza di programmazione. Come AIBA stiamo promuovendo, glielo dico come anticipazione, un tavolo di lavoro a cui parteciperanno i principali protagonisti del mondo sanitario pubblico e privato, prestigiose università e centri specializzati in statistica. La situazione in cui ci troviamo è paradossale: da anni molti gruppi assicurativi ormai si rifiutano di assumere rischi davvero troppo ingenti, oppure chiedono per le polizze cifre assolutamente spropositate. Questo ha fatto sì che si facessero avanti realtà specializzate, che però poi alla prova dei fatti si sono mostrate inadeguate. La compagnia Faro è fallita da poco, per fare un esempio. Ma è possibile che un settore delicato come la Sanità rimanga privo di adeguate proposte assicurative? Qui occorre che lo Stato da un lato, le compagnie dall’altro si mettano attorno ad un tavolo (quello dell’AIBA, ad esempio) per trovare una soluzione seria.
Presidente Paparella, AIBA quanti iscritti ha, e quanto pesa sul mercato?
Abbiamo più di 1.000 iscritti, su un totale di quasi 1.500 operatori presenti sul mercato italiano dei broker (circa 1.100 imprese e 380 ditte individuali). Ma tenga conto che i soci AIBA rappresentano complessivamente oltre il 90% del settore sul piano del giro d’affari della categoria. E non siamo un’associazione “ingessata”. Cerchiamo di incidere davvero nel nostro segmento professionale, che del resto occupa circa 12 mila addetti, ed è davvero la spina dorsale del mondo assicurativo italiano.
Un’ultima domanda personale all’imprenditore assicurativo Francesco G. Paparella: ha dei figli, e li ha avviati alla sua professione?
Ho una figlia che lavora con me da 17 anni, e un figlio di 22 che si sta “facendo le ossa” presso un broker londinese. Credo fortemente in questo mestiere, e per fortuna ci credono anche loro. Ma posso dirle che questa è una tendenza piuttosto generale: c’è anche nei miei colleghi un diffuso “orgoglio” di essere broker, e la voglia e la speranza che le nuove generazioni continuino nel nostro percorso.
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