Tra omessa custodia e disattenzione
Nelle questioni di responsabilità del condominio per le cause di danno a una persona, la presunzione di colpa deve essere rivalutata sulla base di un accertamento della condotta delle parti coinvolte
17/04/2020
Le vicende della nostra vita quotidiana possono talvolta riservare improvvise e spiacevoli sorprese. Le cadute accidentali sono molto frequenti sia negli ambienti domestici, sia nei luoghi pubblici, determinate da insidie non sempre prevedibili e avvistabili.
Quanto alle aree di accesso pubblico, come le parti comuni di un condominio, spesso è difficile stabilire se la caduta sia avvenuta per una distrazione del pedone oppure per incuria di chi è tenuto a preservare l’area da ostacoli o trabocchetti.
Spesso la ricostruzione dinamica dell’antefatto è di difficile inquadramento perché mancano testimoni o le parti forniscono versioni diverse. In questo caso soccorre l’articolo 2051 del Codice Civile che pone una presunzione di responsabilità in capo al custode della zona incriminata. Vero è che tale presunzione ha bisogno sempre della prova (da parte di chi assume di essere stato danneggiato) della situazione dei luoghi e della loro potenziale insidiosità, mentre al custode spetterà a quel punto di liberarsi della imputazione di colpa dimostrando o che lo stato dei luoghi non presentava alcuna insidia occulta, ovvero che la caduta avvenne per distrazioni o imprudenza della vittima stessa.
In questo dinamismo causale, spesso si inserisce (come nel caso che stiamo per illustrare oggi) la condotta di un soggetto terzo, ad esempio dell’impresa di pulizie o di chi stia svolgendo una manutenzione nelle aree comuni e che potrà in taluni casi persino liberare il condominio dalla colpa, divenendo l’unico vero custode dell’area e quindi responsabile per quanto accaduto in essa.
Valutare l’atteggiamento della vittima
Quanto sopra è ciò che è stato oggetto di indagine anche nella vicenda processuale che ha portato alla decisione n. 4129 del 18 febbraio scorso, resa dalla suprema Corte di Cassazione nel giudizio promosso da una condomina, la quale lamentava il fatto che, mentre usciva dal proprio appartamento, era scivolata nell’androne del palazzo a causa del pavimento bagnato e non segnalato. Le corti territoriali respingevano la domanda di risarcimento contro il condominio, sul presupposto che fosse prevalente il comportamento colposo della stessa vittima la quale, pur potendo verificare, in condizioni di normale visibilità, che il pavimento fosse scivoloso, non aveva prestato la normale diligenza e attenzione alla situazione del luogo.
La Corte di legittimità, chiamata a decidere sulla correttezza della decisione, rammenta che “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.”.
Ciò significa che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più rilevante deve essere considerata l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno.
La condotta della vittima quindi, in questi casi di palese disattenzione, potrà portare al punto persino di rendere possibile che il suo comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, con il conseguente rigetto della richiesta di risarcimento ogni volta in cui si possa affermare che Io stesso comportamento abbia avuto esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
In buona sostanza, conclude la Corte “quanto più la situazione di pericolo è prevedibile, tanto più il danneggiato ha l’obbligo dell’adozione di cautele”.
Se non è come appare
Fatta tale premessa, tuttavia, la Corte rileva che il giudice di merito ha valutato la condotta del danneggiato con ragionamento logico-formale errato e incoerente con l’accertamento dei fatti.
Il luogo dell’accadimento, infatti, era risultato privo di una presenza abbondante e visibile di acqua, ma reso insidioso semmai proprio dalla umidità successiva al lavaggio, rendendo così la situazione di pericolo meno prevedibile e il comportamento del danneggiato meno criticabile sul piano della diligenza e della attenzione allo stato del luogo.
In ragione della carenza logico argomentativa della decisione che aveva rigettato il risarcimento del danno, dunque, la Corte dispone per la cassazione della sentenza e per il rinvio ad altro giudice per valutare proprio l’efficienza causale delle rispettive condotte coinvolte: quella del condominio e dell’impresa addetta alle mansioni di pulizia nelle aree comuni e quella della vittima sotto il profilo della avvistabilità ed evitabilità dell’insidia.
La vicenda segnalata centra il punto di equilibrio che deve sempre governare l’indagine del giudice in questi casi: l’accertamento della maggiore o minore rilevanza della condotta tanto di chi sia tenuto a custodire l’area pubblica perché non diventi una fonte di insidie, quanto dell’utenza che quotidianamente accede alle stesse aree e che è destinataria di un generale onere di attenzione e di ragionevole cautela.
Così, per fare alcuni esempi (riportati nella rassegna di massime recenti qui di seguito), si è ritenuto che spetti al condominio dimostrare la propria assenza di colpa nella manutenzione delle aree comuni e che la presenza di una macchia di olio sia stata un fatto imprevisto e imprevedibile (Cass. Ord. n. 342 del 13 gennaio 2020).
In una ipotesi sempre attinente ai vincoli di custodia per il condominio è stata altresì affermata la responsabilità per omesso controllo e manutenzione di un lastricato solare, anche se di pertinenza del singolo proprietario (Cass. Ord. N. 951 del 17 gennaio 2020).
Ancora, si è affermato che la vittima di una caduta in questi casi debba fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo, mentre il custode, dal canto suo, è tenuto a provare l’esistenza di un fattore esterno al proprio operato che abbia quei requisiti di imprevedibilità e di eccezionalità tali da interrompere il predetto nesso di causalità tra il danno e una propria eventuale omissione di controllo (così Corte di Appello di Milano n. 3712 dell’11 settembre 2019 e anche, con riguardo all’onere di custodia, Cass. Ord. N. 26291 del 17 ottobre 2019).
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