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Un punto su spese di resistenza e copertura assicurativa

Recentemente la Cassazione è intervenuta su questioni centrali per gli assicuratori della responsabilità civile, compresa l’operatività di polizze che contengono la clausola di gestione della lite

Un punto su spese di resistenza e copertura assicurativa hp_vert_img
PRIMA PARTE

Alcune recenti decisioni della Cassazione permettono di fare il punto su una questione di un certo rilievo pratico, ossia il rimborso delle spese di resistenza da parte dell’assicuratore della responsabilità civile, nonché sui requisiti necessari per l’operatività e la validità di una pattuizione regolarmente presente nelle polizze di assicurazione adottate nel mercato italiano (e in numerose altre giurisdizioni), ossia la cosiddetta clausola di gestione della lite.
Il quadro attuale può essere riassunto come segue. 
La norma di riferimento in materia di rimborso delle spese di resistenza da parte dell’assicuratore è costituita dall’articolo 1917 terzo comma del Codice Civile, che recita: “Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse”.

Spese di soccombenza, resistenza e chiamata in causa 
Tale disposizione è stata ripetutamente oggetto di valutazione da parte della nostra giurisprudenza, da ultimo anche in tempi molto recenti.
La posizione raggiunta dalle nostre Corti (più di recente, si veda l’ordinanza 10595 della Corte di Cassazione, III Sezione Civile, relatore M. Rossetti, depositata in data 4 maggio 2018, e negli stessi termini anche in tempi recentissimi l’ordinanza 18076 della Cassazione, VI Sezione Civile, relatore Iannello, depositata in data 31 agosto 2020) è riassumibile come segue.
Sono possibili tre esborsi ai quali l’assicurato è esposto per effetto di un giudizio:
a) le spese di soccombenza, ossia quelle che in caso di condanna vanno rifuse alla parte vittoriosa;
b) le spese di resistenza, sostenute per remunerare il difensore ed eventualmente i consulenti resistendo alla pretesa del danneggiato;
c) le spese di chiamata in causa della compagnia, al fine di richiedere la manleva dalle pretese del terzo.

Il rigetto della domanda: cosa comporta?
Le spese di soccombenza costituiscono una conseguenza del fatto illecito commesso dall’assicurato, e vanno rifuse anche in eccedenza del limite del quarto della somma assicurata. Le spese di resistenza vanno sempre rimborsate, applicando però il limite del quarto della somma assicurata.
Le spese sostenute dall’assicurato per svolgere la chiamata in causa del proprio assicuratore non costituiscono né spese di resistenza, né di salvataggio, e vanno liquidate dal giudice in base al principio della soccombenza (quindi seguono l’ordinaria regolamentazione delle spese di lite).
Inoltre l’assicuratore risponde delle spese di resistenza sostenute dall’assicurato anche quando la domanda del terzo venga rigettata, perché la difesa dell’assicurato in tal caso si è svolta anche nell’interesse dell’assicuratore (Cass. 3638 del 2013; Cass. 5300 del 2008; Cass. 4554 del 1985; Cass. 2227 del 1977); se viene accolta la domanda di risarcimento verso l’assicurato, ma non quella dell’assicurato verso l’assicuratore per carenza della copertura assicurativa, la compagnia non risponde delle spese di giudizio.

Gestione della lite, come opera la clausola
Un certo numero di decisioni ha avuto a oggetto gli effetti della clausola di gestione della lite, frequentemente rinvenibile nei testi delle polizze assicurative più diffuse nel mercato. La giurisprudenza di regola afferma che la compagnia, anche qualora non gestisca direttamente la lite, è tenuta a rimborsare all’assicurata le somme versate per resistere all’azione del danneggiato, in quanto l’articolo 1917 comma 3 c.c. applicabile in specie non distingue l’ipotesi in cui l’assicuratore assuma o meno la gestione e ha carattere inderogabile per effetto del richiamo contenuto all’art. 1932 c.c..
Inoltre, si ritiene in genere che tali spese rientrino nel novero di quelle dovute ex art. 1914 c.c., che impone all’assicuratore di farsi carico delle cosiddette spese di salvataggio, ovvero quei costi sostenuti dall’assicurato per evitare o diminuire il danno a carico dell’assicuratore (la qualificazione delle spese di resistenza come applicazione dell’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c. è ormai costante: da ultimo Cassazione sez. III, sentenza del 09/04/2015 7087).

Un quadro sfumato
Una fattispecie particolare ricorre tuttavia in relazione alle clausole che stabiliscono che la compagnia non riconosce il rimborso di spese sostenute dall’assicurato per legali o tecnici che non siano stati designati dalla stessa compagnia.
Il quadro giurisprudenziale esistente in relazione a simili pattuizioni non è univoco.
Alcune pronunce di merito (ad esempio, di recente, Tribunale di Napoli 16 febbraio 2018) tendono a escludere la validità di tale clausola, per effetto della natura imperativa del disposto dell’articolo 1917, c. 3, c.c., nonché della considerazione che clausole limitative della facoltà di scelta del legale da parte dell’assicurato sarebbero in contrasto con l’art. 24 Cost. e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.
Viceversa, si rinvengono anche rilevanti sentenze di segno contrario. La Corte d’Appello di Roma, ad esempio, con sentenza del 30 marzo 2010, ha statuito che la violazione del patto di gestione della lite non limita il diritto dell’assicurato a essere tenuto indenne dalle spese di soccombenza, ma incide sul diritto al rimborso delle spese sostenute per resistere alla richiesta di risarcimento (nello stesso senso, Tribunale di Roma 19 giugno 2013).

La difesa tecnica affidata a un professionista
Il Tribunale di Milano (Sez. XII, 21 settembre 2017, 9507/2017), pronunciandosi sulla validità di una clausola che imponeva all’assicurato la scelta del legale all’interno di un apposito elenco previamente concordato tra la compagnia assicuratrice e la contraente, ha evidenziato che la statuizione di cui all’art. 24 della Costituzione, secondo cui “(…) La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, implica che il diritto di difesa debba essere considerato inderogabile, ma “nulla preclude una contrattualizzazione dello stesso nel senso (non di escludere tout court l’aspetto fiduciario che necessariamente connota un simile mandato, bensì) di regolare l’esercizio di tale diritto”.
Sulla base di tale premessa, il Tribunale è giunto alla conclusione che la clausola che impone all’assicurato la selezione del difensore sulla base di un elenco “appare meritevole di tutela, perché comunque, nel momento in cui l’assicurazione si espone al pagamento delle spese di resistenza dell’assicurato, la stessa ha evidente ragione di porsi il problema che la difesa tecnica dell’assicurato sia svolta da un professionista scelto all’interno di un consistente insieme che goda anche della fiducia della prima, che sarà poi tenuta a pagarlo”.
Tra le pronunce rese in materia dalla Suprema Corte, si registra Cassazione 7087/2015, che in una fattispecie in cui la compagnia aveva omesso di designare propri fiduciari e l’assicurata aveva nominato i propri legali, ha ritenuto che le spese di resistenza rientrassero in copertura.
 
Un altro parere... contrario
Di segno sostanzialmente contrario, però, è la successiva pronuncia della Cassazione 2016/23180, che ha condiviso le conclusioni raggiunte da Tribunale e Corte d’Appello di Torino, secondo cui l’inadempimento dell’assicurato all’obbligo di richiedere il consenso alla nomina del suo difensore può comportare la perdita del diritto all’indennizzo delle spese sostenute per la remunerazione del legale.
La stessa Suprema Corte (Cass. 5479/2015), inoltre, ha escluso il diritto dell’assicurato alla rifusione delle spese di resistenza solo perché l’art. 24 Cost. gli attribuisce il diritto di difendersi in giudizio, affermando che non va confuso “il diritto di difendersi in giudizio, oggetto di copertura costituzionale, con quello di farlo a spese altrui, che copertura costituzionale non ha”.

Un punto fermo?
Da ultimo, la Cassazione è intervenuta con una sentenza (4202 del 19 febbraio 2020) che sembra destinata a mettere un punto fermo nel senso della piena efficacia e validità della pattuizione.
La decisione si è soffermata, tra l’altro, su un punto ricorrente e di notevole rilievo sotto il profilo pratico, ossia la condotta tenuta dall’assicurato che abbia deciso di non avvalersi dell’atto di gestione della lite, procedendo autonomamente alla nomina di un proprio legale fiduciario.
La Corte, nel confermare le valutazioni già espresse dalla Corte d’Appello di Cagliari, ha ribadito la compatibilità del patto di gestione della lite con la previsione di cui all’articolo 1917 terzo comma c.c., poiché “con il patto si realizza comunque lo scopo voluto dalla norma, che è quello di tenere indenne l’assicurato dalle spese di resistenza in giudizio”; ha chiarito inoltre che il diniego di rimborso diviene giustificato ove l’assicurato decida di non avvalersi della difesa offerta dalla compagnia “trattandosi di ragionevole corollario di quel patto volto a tutelare il sinallagma contrattuale”.

Una fattispecie peculiare
La Corte ha dunque ritenuto che, nel caso sottoposto al suo esame, la piena operatività del patto andasse affermata alla luce della statuizione contenuta nella sentenza impugnata che l’assicurato “decideva di non valersi della clausola del patto di gestione della lite”. 
Una fattispecie in qualche modo peculiare, ma non infrequente, è stata valutata nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 21 novembre 2019, in un giudizio in cui l’assicurato aveva dedotto l’infondatezza del rifiuto della compagnia di rifondere le spese per l’assistenza prestata da un legale da essa non designato. 
Nel caso di specie, l’assicurato appellante aveva dedotto che la scelta del legale a cui si era rivolto per la difesa in giudizio era stata inizialmente condivisa da parte della compagnia, che aveva tuttavia revocato il consenso allorquando era stata chiamata in causa.

Scelta del legale: una fase delicata
La Corte ha ritenuto che l’obbligo di corrispondere le spese di resistenza non poteva ritenersi venuto meno in conseguenza dell’iniziativa processuale dell’assicurato consistita nella chiamata in causa dell’assicuratore, poiché “la chiamata in causa è facoltà inderogabile a svantaggio dell’assicurato (per effetto del combinato disposto degli articoli 1917 quarto comma 1932 c.c. sì che il suo esercizio non può pregiudicare il diritto al rimborso delle spese di resistenza”. 
Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’Appello sono state avvalorate dal fatto che non vi erano divergenze tra assicuratore e assicurato in ordine alla sussistenza dell’entità della copertura, né in ordine alla linea difensiva da contrapporre alla pretesa risarcitoria del terzo. Non solo, ma a quanto si ricava dal riepilogo in fatto, il legale originariamente nominato dall’assicurata era stato in qualche modo approvato dalla compagnia pur non essendo un fiduciario, e tale benestare era stato dato per assecondare le richieste dell’assicurato stesso.
La decisione riflette alcune peculiarità presenti nel caso sottoposto all’esame della Corte, ed evidenzia l’importanza e la delicatezza della fase che precede la nomina del legale, e la eventuale concertazione che sul punto avviene tra assicuratore e assicurato.

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