A chi va in carico il danno da fauna selvatica
Gli animali presenti sulla carreggiata possono essere causa di incidente stradale. La recente sentenza n.7969/2020 della Cassazione impatta nel processo per la responsabilità da custodia e sulla legittimazione passiva del soggetto responsabile
16/11/2020
Una interessante sentenza della suprema Corte di Cassazione (n.7969/2020, della terza sezione civile) ci consente di fare molta chiarezza in relazione a un tema che attiene a una casistica non infrequente (risarcimento dei danni cagionati da fauna selvatica in occasione di sinistri avvenuti durante la circolazione stradale dei veicoli) e che, nel tempo, si era complicata per una serie di interpretazioni giurisprudenziali non sempre conformi.
Nel caso specifico, approdato alla decisione riferita, la Corte era chiamata a esaminare il ricorso promosso dalla Regione Abruzzo, la quale contestava la propria qualifica di ente passivamente legittimato, sul piano sostanziale, a rispondere dei danni riportati dalla vettura del danneggiato coinvolto, appunto, in una collisione con un animale selvatico che gli ostruiva la strada.
La Corte in primo luogo evidenzia come la fauna selvatica sia stata dichiarata dapprima patrimonio indisponibile dello Stato con competenza circa le funzioni normative e amministrative alle Regioni (ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione) con la legge 27 dicembre 1977, n.968. Inoltre, viene rilevato dalla Corte che con la legge 11 febbraio 1992, n.157 è stato specificato che la predetta tutela riguarda le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale.
La Corte, quindi, dopo aver rilevato i molteplici orientamenti susseguitisi negli anni, afferma che il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dagli animali espresso nell’articolo 2052 Codice Civile non risulta limitato agli animali domestici, bensì a quelli a diverso titolo suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo. Ciò tenendo anche a mente che la responsabilità prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo, ben potendo risiedere anche nella sola situazione legata al dovere di custodia generale.
L’attribuzione di responsabilità alle Regioni
Tanto premesso il Collegio decidente afferma la correttezza del ragionamento della corte territoriale per la quale, avendo l’ordinamento stabilito che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (quelli di cui alla L. 157/1992) è effettivamente configurabile in capo allo Stato, risulta applicabile anche alle indicate specie protette il regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.
Il richiamo all’art. 2052 c.c. consente alla Corte di rammentare, per analogia, quanto statuito dalla giurisprudenza della stessa Corte in tema di responsabilità oggettiva per i danni causati da cose in custodia, con riguardo ai beni demaniali, ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Non solo, la Suprema Corte individua definitivamente anche il soggetto legittimato passivo delle richieste attoree: solo ed esclusivamente le Regioni, atteso che sono attribuite a quest’ultime le funzioni normativa e amministrativa.
Chiariti poi i presupposti della legittimazione passiva e della natura della responsabilità coinvolta, la Corte opportunamente si sofferma sulle questioni legate al principio distributivo dell’onere della prova nel contesto delle responsabilità presunte.
L’onere della prova gravante sull’attore
I giudici evidenziano, infatti, come, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c. sia il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico. In particolare, l’attore deve dimostrare:
a. l’esatta dinamica del sinistro;
b. il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subìto;
c. l’appartenenza dell’animale stesso a una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge 157/1992.
In particolare, la Corte precisa che, nel caso di sinistri stradali coinvolgenti la fauna selvatica, non possa ritenersi sufficiente, ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata: spetta al danneggiato dimostrare che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno in quanto, ai sensi del primo comma dell’art. 2054 c.c., il conducente del veicolo è onerato della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Su tale aspetto, la prova sarà particolarmente rigorosa laddove il sinistro si sia verificato in un’area in cui è presente segnalazione di presenza di animali selvatici.
Il danneggiato dovrà infatti dimostrare che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente e in concreto un carattere di tale imprevedibilità per cui, nonostante ogni cautela, non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto.
È bene rammentare poi lo stesso costante orientamento della medesima Corte, per il quale il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all’art. 2052 c.c. non impedisce in alcun modo l’operatività della presunzione prevista dall’art. 2054, co.1, c.c., posta a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose (animali compresi) dalla circolazione del veicolo (ex multis Cass. n. 4373/2016).
Si tratta quindi di un concorso di due diverse presunzioni secondo cui, se nessuna delle parti gravate del rispettivo onere supera la presunzione di responsabilità a proprio carico, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno ovvero il caso fortuito, la colpa potrà essere equamente distribuita.
L’oggetto della prova liberatoria
L’ente responsabile del governo del territorio, e quindi anche della fauna selvatica vivente, per andare esente da responsabilità, deve dare prova del c.d. caso fortuito, vale a dire che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile, e come tale si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o comunque non era evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna, concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto.
La descrizione della nozione di caso fortuito cui si fa riferimento è la medesima di quella elaborata dalla Corte in relazione alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. con particolare riguardo alle ipotesi di danni causati da anomalie dei beni demaniali di ampia estensione (si veda Cass. n.16295/2019 – Cass. 6326/2019).
I rapporti tra gli Enti titolari di funzioni (proprie o delegate) di gestione e tutela della fauna selvatica protetta
Nel caso infine in cui l’attore dimostri che il danno è stato causato dalla condotta dell’animale selvatico protetto, di proprietà pubblica, e che l’ente preposto al controllo sia venuto meno ai propri oneri, ovvero non abbia dimostrato la propria estraneità ai fatti, l’amministrazione regionale alla quale compete la titolarità dell’onere di attivazione resta gravata dell’obbligo risarcitorio anche nell’ipotesi in cui dimostri che ad altro ente locale delegato spettava il relativo compito, potendo al più rivalersi nei confronti di detto ente una volta risarcito il danno.
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