Una nuova ipotesi per il risarcimento del danno parentale
Nella nuova proposta di una liquidazione basata su un sistema a punti è maggiore la prevedibilità riguardo ai risultati, di contro questa si impone a discapito della discrezionalità che è alla base del giudizio. Si presenta inoltre il rischio di un impatto pesante sulle riserve tecniche previste
18/06/2021
PARTE SECONDA
I requisiti che una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti dovrebbe contenere sono, a dire della Suprema Corte, “i seguenti: 1) adozione del criterio “a punto variabile”; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi”.
Va da sé che un tale orientamento presuppone un implicito riconoscimento al meccanismo di calcolo elaborato presso il tribunale di Roma e, al tempo stesso, una bocciatura per la tabella milanese. Il che diversifica in modo radicale il meccanismo di conto delle liquidazioni (per il danno parentale) rispetto a quanto in uso sino ad oggi nella stragrande maggioranza dei tribunali, al punto che la Suprema Corte si dice “consapevole dell’impatto di un simile mutamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità sulle controversie allo stato decise nel grado di merito sulla base del precedente indirizzo e dunque delle tabelle milanesi”.
Insomma, ci troviamo di fronte a una pronuncia che, per quanto allo stato isolata, apre potenzialmente la via a revisioni (sia nella sede stragiudiziale che giudiziale) dei meccanismi di calcolo del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale (in caso di morte o macrolesione del congiunto): l’impianto argomentativo, complesso, colto e volutamente articolato, attesta infatti la volontà di incidere fortemente sulla prassi.
Il che potrebbe, nell’immediato, indurre gli aventi diritto a invocare, a seconda delle convenienze, l’utilizzo o meno del sistema romano, al quale la Cassazione evidentemente vuol riferirsi e che adotta una tabella che fa riferimento al meccanismo del punto variabile.
In conclusione crediamo che la decisione segnalata rappresenti una criticità per il forte influsso disallineante rispetto ai canoni equitativi sino a oggi utilizzati senza particolari discostamenti dalla gran parte dei tribunali dello Stato.
LA PREVEDIBILITÀ TOGLIE LA DISCREZIONALITÀ SUL SINGOLO CASO
Al di là dei riflessi pratici attesi, le ragioni di tale mutamento evolutivo ci paiono poco sostenute sul piano teorico, anche dal punto di vista della struttura ontologica dell’istituto risarcitorio disciplinato.
Non può infatti non rilevarsi come il danno parentale, a matrice sofferenziale individualissima e sempre variabile, poco si presti a valutazioni puntuali esasperatamente meccaniche. Per questa voce di danno si tratta, invero, di dare faccia e numeri a pregiudizi di gravità tale da non esser di per loro misurabili, tantomeno in termini di equivalente monetario. E di fronte a tale difficoltà di calibrare quella sofferenza, può discutersi se sia davvero opportuno immaginare soluzioni (più) esatte quali quelle predicate dalla Cassazione rispetto al metodo milanese. Metodo, quest’ultimo, che si arrende all’inevitabile versatilità delle casistiche, lasciando al giudice il compito di valutarle in concreto e preoccupandosi solo di contenere il limite massimo del compendio in concreto erogabile (ferma la possibilità di superarlo al ricorrere fattispecie eccezionali). La regola più bilancistica seguita da Roma ha certamente il pregio di una maggior prevedibilità, ma sconta (e questo è il suo limite) l’assoluta opinabilità di un metodo di lavoro teso a meccanicamente attribuire a determinati fattori (quali convivenza, età e grado di parentela) coefficienti di risarcibilità che potrebbero forse lasciar posto a una più fluida possibilità di libera valutazione delle complesse e sempre diverse fenomenologie parentali.
UN ULTERIORE TENTATIVO DI SCARDINARE LE TABELLE MILANESI?
Ciò detto, altre criticità possono esser evidenziate.
La tabella romana, infatti, oltre a portare a margini risarcitori mediamente più alti (con il rischio di un rilevante scollamento delle riserve tecniche sino a oggi previste), non parte da una valutazione del punto variabile che trova fonte nella consuetudine dei precedenti giurisprudenziali, bensì prende le mosse da un indice economico endogenerato.
Inoltre, la stessa tabella romana (inevitabile approdo di una sentenza che renda non più percorribile la strada del sistema milanese) appare meccanismo assai rigido con poco margine alla discrezionalità del giudice anche nella stessa determinazione dei soggetti legittimati attivi in via presuntiva (includendo tra i beneficiari una serie di parenti di gradi secondari, ammessi al risarcimento nella tabella milanese solo nell’ipotesi di comprovato legame affettivo).
Rimane il fatto che la costruzione artificiale voluta dal collegio della Corte appare preordinata a disalberare il sistema milanese, questa volta sul piano del danno parentale e non della lesione della salute, con tutte le conseguenze a cui abbiamo fatto cenno in ordine alla nuova incertezza che sarà generata e al possibile incremento di contenzioso.
Il che potrebbe anche condurre l’Osservatorio alla Giustizia Civile del Tribunale di Milano (organismo preposto alla elaborazione e al successivo monitoraggio applicativo della tabella del danno da lesione del rapporto parentale) a prendere atto dell’odierna svolta di legittimità e a valutare un’eventuale conversione dei meccanismi di conto del proprio strumento pretorio; conversione che, partendo dallo stesso range economico, assecondi una nuova elaborazione a punto variabile come suggerito nella decisione segnalata.
(La prima parte dell’articolo è stata pubblicata su Insurance Daily di martedì 4 maggio)
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