La prescrizione del risarcimento per danno ingiusto
Nel caso di una menomazione avvenuta in tempi non recenti ma di cui non si poteva inizialmente conoscere l’origine nella malpractice, i termini per far valere il proprio diritto decorrono dal momento in cui può essere possibile riconoscere la causa
14/12/2022
Con la pronuncia 30380 del 17 ottobre 2022, la Suprema Corte di Cassazione ribadisce quali siano i principi di diritto da applicare in materia di prescrizione del risarcimento derivante da fatto colposo da malpractice medica.
Il caso di specie concerne la pretesa risarcitoria avanzata da un soggetto per tutti i danni patiti in conseguenza della ipoacusia neurosensoriale di cui era affetto a causa di un trauma da parto, che aveva comportato ipossia fetale al momento della nascita in data 7 maggio 1979 e del quale assumeva essere responsabile la struttura sanitaria convenuta.
Rigettata la domanda in primo grado, poi appellata, anche la corte d’appello rigettava il gravame dichiarando estinto per prescrizione il diritto al risarcimento dei danni, assumendo che l’accertamento della sordità bilaterale del ricorrente risaliva “al tempo in cui lo stesso, nato nel 1979, aveva compiuto sei anni” e che non erano “riportati ulteriori successivi accertamenti oltre tale epoca”. La corte aggiungeva che, essendo stati i familiari avvisati dell’infermità del proprio figlio e posto che dalla cartella clinica emergevano “segni inequivocabili di un parto non fisiologico e della sofferenza fetale, subita dal neonato in fase di disimpegno podalico”, l’ordinaria e normale prudenza avrebbe dovuto indurre i genitori, per di più in ragione della loro qualifica professionale” (la madre farmacista e il padre medico) a ripetere gli esami a breve e, quanto meno, nel decorso degli anni successivi fino al raggiungimento della maggiore età in ragione dei progressi della scienza e degli ulteriori mezzi di indagine dalla stessa apprestati.
ALL’EPOCA DEL DANNO MANCAVANO GLI STRUMENTI PER RICONOSCERLO
Ricorre avverso la decisione il danneggiato, assumendo che soltanto nel 2006, in occasione dell’effettuazione di una risonanza magnetica, veniva accertato che la sordità trovava la sua causa nell’ipossia intrauterina del feto e che tale risonanza, di recente acquisizione, invasiva e potenzialmente pericolosa, non rientrava nella prassi ordinaria di tutti gli audiolesi e che egli vi si era sottoposto da adulto nella prospettiva di migliorare la propria funzione uditiva con impianto cocleare. Inoltre all’epoca della nascita (1979), la risonanza non era utilizzata, secondo il livello di conoscenze scientifiche, al fine di diagnosticare la causa neonatale della sordità.
Gli Ermellini ritengono fondato il ricorso, richiamando il consolidato principio secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità (tra cui Cass. 18176, 5 luglio 2019).
L’ESPERIENZA DELLE MALATTIE DA TRASFUSIONI DI SANGUE INFETTO
È dunque la percezione della malattia, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo che fa scattare il risarcimento e decorrere la percezione (in proposito la Corte richiama le pronunce in tema di responsabilità per danni alla salute conseguenti a emotrasfusioni di sangue infetto da virus Hbv, Hiv e Hcv, in cui ha affermato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, Codice civile, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto, da ultimo Cass. 25887 del 2 settembre 2022).
La sentenza riformata viene dunque tacciata di non aver indagato circa la oggettiva conoscibilità della causa della malattia a carico dell’attore, da valutarsi in correlazione alla diffusione delle conoscenze scientifiche, ma di avere semplicemente sul profilo della carente diligenza della parte istante nell’accertamento della etiopatogenesi della malattia in ragione di elementi che, tuttavia, non forniscono il dato oggettivo su cui avrebbe dovuto fare leva la condotta diligente, ossia lo stato delle acquisizioni della scienza medica che avrebbero potuto consentire di conoscere, già in epoca precedente al 2006, l’esistenza del nesso eziologico tra sordità bilaterale e ipossia fetale.
Stando così le cose, la corte d’appello è incorsa in un vizio di sussunzione in virtù del mancato accertamento del dato oggettivo della diffusione delle conoscenze scientifiche in relazione all’esistenza del nesso causale tra la sordità bilaterale di cui era affetto il ricorrente e la ipossia fetale che si assume patita dallo stesso in occasione della nascita.
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