L’onere della prova: strumento semplice contro le frodi
La lotta alle false richieste di indennizzo che pesano sulla Rc Auto può essere resa più efficace anche con l’utilizzo di strumenti già previsti dal Codice Civile, utilizzabili a fronte di dichiarazioni che contrastano con i fatti oggettivi
21/01/2014
Si fa un gran parlare - come ci pare giusto - della lotta alle frodi assicurative e ai fenomeni speculativi per arginare il flusso dei costi tariffari del ramo Rc auto, che si riflette nelle tasche degli utenti e impatta sui bilanci delle famiglie.
È ancor più argomento attuale oggi che ci si trova a commentare le proposte del governo contenute nel dl 145 dell'ante-vigilia di Natale, il quale, presentando pure numerosi aspetti critici e rudimentali", ha comunque il pregio di volere affrontare alcuni temi attorno ai quali ruota il problema.
Se l'Esecutivo oggi, e il Parlamento domani in sede di conversione, ritengono degna di massima attenzione la tematica della lotta ai sinistri stradali così detti (eufemisticamente) non "genuini", la lettura delle motivazioni di una bella sentenza appena resa dalla Corte di Cassazione (n. 15881 del 25 giugno 2013) ci fa pensare, come sosteniamo da tempo, che non esiste alcuna disposizione di legge che possa essere efficace come la semplice applicazione dei principi della prova civile che regolano il nostro processo.
La dichiarazione dell'assicurato non sempre è sufficiente
Il caso è talmente emblematico da divenire scolastico.
L'attore, che ricorre in Cassazione, si duole del fatto che la propria richiesta di risarcimento del danno sia stata respinta da entrambe le corti territoriali di merito per la mancanza di prova circa la dinamica del sinistro e la colpa del convenuto, nonostante la produzione della constatazione amichevole di incidente (Cid) sottoscritta da entrambi i conducenti, con assunzione di responsabilità da parte dello stesso convenuto.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso, basandosi sul presupposto che anche la dichiarazione del conducente del veicolo convenuto che si assuma nel modulo la responsabilità del fatto non è sufficiente perché la domanda dell'attore venga accolta, e ciò ogni qual volta le risultanze istruttorie rendano tale dichiarazione incompatibile con la dinamica emersa dalle prove, o da circostanze in fatto che si pongano in contrasto con quanto dichiarato.
Tale incompatibilità logica tra dichiarazione dell'assicurato e accadimento si pone come preclusione di ogni valenza della confessione verso l'assicuratore, specie se, come nel caso, la corte territoriale abbia financo dubitato della esistenza stessa del sinistro.
L'incompatibilità della dinamica descritta
Nel caso specifico, la corte territoriale aveva ritenuto, infatti, incompatibile la dinamica descritta nella Cid con alcune circostanze emerse, quali la posizione dei veicoli sulla carreggiata ed il fatto che l'attore, pur descrivendo il sinistro come violento impatto in moto, non avesse riportato alcuna conseguenza fisica.
L'incongruenza evidente tra confessione e fatti oggettivi emersi in istruttoria, dunque, se ben esaminati dal giudice devono portare alla dichiarazione di inefficacia, verso l'assicuratore convenuto, persino della confessione del proprio assicurato.
Il principio è ben riferito nella massima che si riporta: "ogni valutazione sulla portata confessoria della Cid - la quale sarebbe comunque oggetto di libera valutazione nei confronti dell'assicuratore - è preclusa dall'esistenza di un'accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto nel documento e le conseguenze accertate in sede di merito".
L'importanza dei principi base di diritto civile
La lotta ai fenomeni fraudolenti o anche solo speculativi che generano il noto aggravamento di risultato del ramo Rc auto in termini di costi elevati dei sinistri, può essere combattuto non solo per via legislativa, ma spesso anche più efficacemente con l'applicazione dei principi di base del diritto civile (a cominciare dall'istituto dell'onere della prova) da parte di una magistratura attenta e cosciente del proprio ruolo nell'esercizio del potere decisionale a lei demandato dall'ordinamento, ove le riserve economiche devono trovare destinazione nella compensazione dei danni giustamente risarcibili a discapito di quelli inesistenti o anche solo speculativi.
È ancor più argomento attuale oggi che ci si trova a commentare le proposte del governo contenute nel dl 145 dell'ante-vigilia di Natale, il quale, presentando pure numerosi aspetti critici e rudimentali", ha comunque il pregio di volere affrontare alcuni temi attorno ai quali ruota il problema.
Se l'Esecutivo oggi, e il Parlamento domani in sede di conversione, ritengono degna di massima attenzione la tematica della lotta ai sinistri stradali così detti (eufemisticamente) non "genuini", la lettura delle motivazioni di una bella sentenza appena resa dalla Corte di Cassazione (n. 15881 del 25 giugno 2013) ci fa pensare, come sosteniamo da tempo, che non esiste alcuna disposizione di legge che possa essere efficace come la semplice applicazione dei principi della prova civile che regolano il nostro processo.
La dichiarazione dell'assicurato non sempre è sufficiente
Il caso è talmente emblematico da divenire scolastico.
L'attore, che ricorre in Cassazione, si duole del fatto che la propria richiesta di risarcimento del danno sia stata respinta da entrambe le corti territoriali di merito per la mancanza di prova circa la dinamica del sinistro e la colpa del convenuto, nonostante la produzione della constatazione amichevole di incidente (Cid) sottoscritta da entrambi i conducenti, con assunzione di responsabilità da parte dello stesso convenuto.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso, basandosi sul presupposto che anche la dichiarazione del conducente del veicolo convenuto che si assuma nel modulo la responsabilità del fatto non è sufficiente perché la domanda dell'attore venga accolta, e ciò ogni qual volta le risultanze istruttorie rendano tale dichiarazione incompatibile con la dinamica emersa dalle prove, o da circostanze in fatto che si pongano in contrasto con quanto dichiarato.
Tale incompatibilità logica tra dichiarazione dell'assicurato e accadimento si pone come preclusione di ogni valenza della confessione verso l'assicuratore, specie se, come nel caso, la corte territoriale abbia financo dubitato della esistenza stessa del sinistro.
L'incompatibilità della dinamica descritta
Nel caso specifico, la corte territoriale aveva ritenuto, infatti, incompatibile la dinamica descritta nella Cid con alcune circostanze emerse, quali la posizione dei veicoli sulla carreggiata ed il fatto che l'attore, pur descrivendo il sinistro come violento impatto in moto, non avesse riportato alcuna conseguenza fisica.
L'incongruenza evidente tra confessione e fatti oggettivi emersi in istruttoria, dunque, se ben esaminati dal giudice devono portare alla dichiarazione di inefficacia, verso l'assicuratore convenuto, persino della confessione del proprio assicurato.
Il principio è ben riferito nella massima che si riporta: "ogni valutazione sulla portata confessoria della Cid - la quale sarebbe comunque oggetto di libera valutazione nei confronti dell'assicuratore - è preclusa dall'esistenza di un'accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto nel documento e le conseguenze accertate in sede di merito".
L'importanza dei principi base di diritto civile
La lotta ai fenomeni fraudolenti o anche solo speculativi che generano il noto aggravamento di risultato del ramo Rc auto in termini di costi elevati dei sinistri, può essere combattuto non solo per via legislativa, ma spesso anche più efficacemente con l'applicazione dei principi di base del diritto civile (a cominciare dall'istituto dell'onere della prova) da parte di una magistratura attenta e cosciente del proprio ruolo nell'esercizio del potere decisionale a lei demandato dall'ordinamento, ove le riserve economiche devono trovare destinazione nella compensazione dei danni giustamente risarcibili a discapito di quelli inesistenti o anche solo speculativi.
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