Il tempo della lealtà, della chiarezza e della sintesi
Nell’ultimo workshop di Ivass sui contratti emerge chiaramente come per il settore dei rischi sia irrinunciabile “scrivere bene e scrivere chiaro”, così anche gli assicurati potranno comprendere al meglio gli interessi della mutualità assicurata di cui fanno parte
28/07/2023
“Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve”. Così scriveva Blaise Pascal (Lettres Provinciales) evidenziando, con garbato sarcasmo, gli inconvenienti di una prosa prolissa rispetto ai pregi di un faticoso sforzo di sintesi. A distanza di qualche secolo tali considerazioni non perdono di attualità, anzi: i tempi accelerati della moderna società digitale impongono il consapevole abbandono di alcune vecchie liturgie comunicative, spesso pesanti e complesse, specie nelle relazioni professionali, a favore di un linguaggio più snello, comprensibile ed efficace. La regola della chiarezza, della semplicità e della trasparenza (e dunque della lealtà) nella gestione delle relazioni contrattuali è del resto da tempo diventata un elemento di trasversale tutela preventiva dei diritti, specie nell’ambito consumeristico o dei servizi finanziari. Non altrettanto è accaduto nelle aule dei tribunali: al di là delle difficoltà tecniche delle materie trattate, è frequente imbattersi in atti farraginosi e inutilmente lunghi e complessi, che complicano, anziché agevolare, il lavoro del giudice (le cui sentenze, peraltro, scontano talvolta i medesimi difetti). Proprio per tali ragioni il processo civile è diventato, specie dopo la cosiddetta riforma Cartabia (dlgs 149/2022), terreno di sviluppo di una più agile dialettica giuridica, funzionale a quegli obiettivi di semplificazione razionale, sintesi e speditezza che dovrebbero garantire la “ragionevole durata del processo” (articolo 111 della Costituzione).
UN CAMBIAMENTO EFFETTIVO DEL LINGUAGGIO
Da qualunque angolatura lo si guardi, dunque, il nostro ordinamento fornisce indicazioni di principio non trascurabili, in cui il confine tra forma e sostanza si assottiglia. In cui il sacro valore della buona fede nelle relazioni giuridiche (siano esse contrattuali o processuali) pare presupporre, anzitutto, approcci dialogici etici e trasparenti, senza più nascondersi dietro il paravento di troppe parole, con l’obiettivo di provare a convincere efficacemente senza dilungarsi e, soprattutto, senza confondere.
D’altra parte, la stessa riforma Cartabia spinge affinché la macchina della giustizia sia alleggerita dai pesi impostile da una litigiosità eccessiva e spesso evitabile. È questo il tempo della mediazione dei conflitti e, prima ancora, della loro prevenzione: anche in tal senso un cambio di passo nello stile, nel modo e nel tempo della comunicazione sembra imprescindibile, aderendo alla regola di buon senso secondo la quale là dove ci sono patti chiari ci sarà amicizia lunga.
In questo contesto, tornando ai temi assicurativi che più da vicino ci riguardano, ben può comprendersi come tutto quello che in questi ultimi lustri si è detto e scritto a proposito della necessità di semplificare il lessico dei testi di polizza ritorni prepotentemente in auge, rivelando la necessità di uscire dalle secche di mere declinazioni di principio per dar corso ad un cambiamento effettivo del linguaggio contrattuale, da troppo tempo incagliato in eccessivi tecnicismi e grovigli redazionali spesso poco comprensibili anche per gli addetti ai lavori.
CREARE FIDUCIA, FARSI CAPIRE
D’altra parte, la funzione sociale della moderna assicurazione, votata anzitutto a sostenere la mutualità assicurata davanti al proliferare di situazioni di rischio non sempre conosciute e comunque spesso non adeguatamente apprezzate, impone agli operatori un cambio di passo nei tempi e nei modi della comunicazione con la propria clientela; cambio di passo indispensabile a creare fiducia, a farsi capire e a contribuire utilmente alla (a tutt’oggi carente) educazione assicurativa dei consociati. Per questo le regole di trasparenza, chiarezza e buona fede nel collocamento delle soluzioni di garanzia sono andate, nel corso degli anni, irrobustendosi e dando luogo a un sistema ordinamentale ramificato e (anche forse troppo) complesso. Ma è anche sul versante della disciplina della costruzione dei prodotti assicurativi che, come diremo tra breve, la normativa assicurativa, primaria e secondaria, ha stressato quelle stesse esigenze di trasparenza e chiarezza lessicale indispensabile per consentire alla clientela di comprendere esattamente l’oggetto e il perimetro delle garanzie, favorendo un acquisto adeguatamente informato e, soprattutto, la capacità di avvalersi effettivamente delle tutele assicurative garantite in polizza: tutele che talvolta il cliente meno evoluto non è in grado di comprendere pienamente e di correttamente azionare in caso di sinistro.
Tutto, dunque, pare ruotare anzitutto attorno alla necessità di adeguare la comunicazione (precontrattuale e contrattuale) all’esigenza di rappresentare i contenuti e le tecnicalità, spesso delicate e complesse, di un dato prodotto assicurativo a una clientela che normalmente non dispone degli strumenti necessari a comprenderli.
SUPERARE LE ASIMMETRIE INFORMATIVE
In questo contesto si cala l’importante workshop tenutosi il 26 giugno scorso presso la prestigiosa sede dell’Ivass; workshop che ha segnato un momento di utilissimo e allargato confronto sullo stato dell’arte.
La necessità di accelerare il cambio di passo era già stata fortemente sottolineata nella relazione sull’attività svolta dall’istituto nel 2022, nell’ambito della quale il presidente Luigi Federico Signorini ha nuovamente ribadito l’importanza della chiarezza e della trasparenza dell’informazione e la necessità che le imprese di assicurazione facciano la loro parte, anche nel proprio interesse. E invero: “Devono essere gli stessi assicuratori a convincersi che trasparenza riconosciuta e fiducia acquistata sono le migliori armi competitive. L’obbligo di stabilire un buon processo di governo e controllo dei prodotti offerti non è una vessazione burocratica, bensì uno strumento chiave per una crescita sana” (Relazione sull’attività di Ivass – Considerazioni del presidente Luigi Federico Signorini, pag. 7).
Nel corso del workshop tali esigenze sono state ribadite a più voci, tutte consonanti, dal consigliere Riccardo Cesari, dalla dr.ssa Elena Bellizzi e dal segretario generale, Stefano De Polis, che ha concluso i lavori mettendo in rilievo gli effetti virtuosi di una diversa e più lineare comunicazione contrattuale, indispensabile a superare le asimmetrie informative e, prima ancora, a creare una relazione di fiducia utile a ridurre i conflitti e contribuire a una miglior diffusione della cultura assicurativa.
I CONTRATTI DIFFICILI SEMBRANO INUTILI
E sebbene negli ultimi anni qualche passo in avanti sia stato registrato, l’ambito contrattualistico è ancora fortemente permeato da un linguaggio formale, di stampo pressoché unicamente giuridico-legale, che ostacola inevitabilmente la comprensione dei contenuti delle polizze da parte dei contraenti e degli assicurati (circostanza, quest’ultima, attestata da un’ancora troppo alta percentuale di reclami che denunciano la carenza di una comunicazione chiara da parte delle imprese). Il fatto poi che la penetrazione delle coperture danni in Italia sia ancora inferiore rispetto a quella degli altri paesi europei (il rapporto premi/Pil nel 2021 è stato pari all’1,9%, contro al 4,9% della media Ocse) riflette la poca consapevolezza tra i consociati del bisogno di protezione dai rischi e l’immaturità di un sistema distributivo non adeguatamente proattivo e stimolato (anche perché forse troppo appiattito sulla comodità della vendita dell’assicurazione obbligatoria della Rca); ma attesta anche, per altro verso, la scarsa percezione tra i consumatori dell’utilità degli strumenti assicurativi, in larga parte dovuta alla difficile leggibilità dei testi contrattuali e a una certa opacità della comunicazione precontrattuale.
Occorre dunque parlare chiaro, tenendo in adeguato conto il livello di alfabetizzazione (non solo) assicurativa della clientela e quindi il grado di comprensione, per un cliente medio, del gergo tecnico-giuridico che a tutt’oggi infiltra in modo prevalente le condizioni contrattuali.
MANCA LA LEGGIBILITÀ
Di assoluto interesse, a tal riguardo, sono gli esiti di una ricerca presentata durante il workshop da Lpc Research e definita da De Polis come un “lavoro innovativo e pionieristico... che già oggi ci consente di aiutare le compagnie di assicurazioni a compiere una revisione guidata dei loro contratti per migliorarne la leggibilità” (cfr. Un’analisi quali-quantitativa della chiarezza dei contratti assicurativi: risultati e suggerimenti, pag. 1).
L’indagine ha confrontato diversi campioni contrattuali selezionati per verificare, mediante un approccio scientifico/quantitativo, il livello di chiarezza, le eventuali oscurità lessicali e sintattiche e gli strumenti idonei a superarle. Nello specifico, sono state esaminate 30 garanzie infortuni (stand alone o multirischio) di 30 imprese di assicurazioni (che corrispondono circa all’80% in termini di raccolta premi per ramo). Tra queste, alcune prevedono la sola garanzia infortuni, altre anche la garanzia per malattia e altre ancora più di due garanzie (ad es. infortuni, malattia, assistenza).
Le valutazioni quantitative, aventi lo scopo primario di riprodurre fedelmente eventuali problematiche di scrittura dei testi mediante l’esame delle singole clausole, sono state accompagnate da valutazioni qualitative, volte invece a considerare i contratti nel loro insieme al fine di valutarne elementi di struttura, orientamento al cliente e grafica.
Lo studio ha confermato che, sebbene il settore abbia in questi ultimi anni lavorato per rendere più comprensibili i documenti, l’obiettivo non può dirsi ancora raggiunto. In particolare, sotto l’aspetto quantitativo, sono stati classificati i contratti esaminati in base a un indice di leggibilità che ha rivelato che la maggior parte delle polizze presenti complessità di lettura anche per persone con istruzione superiore (il che la dice lunga sulle difficoltà di comprensione che potrebbero incontrare persone meno istruite...).
DAL 2018 SOLO MODESTI INTERVENTI GRAFICI
Le principali ragioni di tali criticità risiederebbero, secondo lo studio di Lpc, nell’eccessiva lunghezza media dei periodi di testo, nell’elevato numero di proposizioni per periodo, nell’alta percentuale di subordinate nell’albero sintattico e, infine, nell’utilizzo di parole non appartenenti al nostro vocabolario di base. L’analisi qualitativa ha poi evidenziato che rispetto alle linee guida di settore sui Contratti semplici e chiari (Ivass, lettera al mercato del marzo 2018), alcune imprese hanno mantenuto le strutture originarie dei prodotti, apportando solo modesti interventi grafici; altre hanno suddiviso i contenuti delle garanzie in rubriche ma senza evidenza di una revisione sintattico-lessicale delle stesse. È stata poi riscontrata in alcuni contratti la non corrispondenza tra la terminologia utilizzata nelle condizioni di assicurazioni e le definizioni riportate nel glossario, ovvero la scelta di organizzare le informazioni per elenchi puntati, ma senza innovare le relative spiegazioni, ancora troppo farraginose; è stata poi sottolineato un eccessivo ricorso a termini stranieri o a termini ormai anacronistici che enfatizzano diversità di genere o sociale (es. portatori di handicap).
La relazione di Lpc Research, e più in generale il workshop (che ha visto anche la partecipazione dell’Ania), ha dunque avuto il pregio di porre un marcato accento sulla necessità di imprimere una svolta concreta ed effettiva sul versante della fluidità, chiarezza e trasparenza redazionale dei contratti, con la finalità di meglio qualificare il mercato assicurativo e, anche, di favorire un gioco concorrenziale che si svolga anche sul piano della capacità di comunicare al meglio con la clientela.
LE RICADUTE GIURIDICHE DELLE OPACITÀ CONTRATTUALI
Ma non si tratta soltanto di un esercizio stilistico. Lungi dal limitarsi a inseguire una nuova cosmetica di polizza, funzionale a un miglior posizionamento commerciale, la chiarezza dei testi contrattuali (e la correttezza nel collocamento dei prodotti) pare oggi un’esigenza imprescindibile per arginare il rischio di alimentare conflitti il più delle volte perdenti per le imprese assicurative. Un contratto mal distribuito e mal scritto può infatti dar luogo a conseguenze sanzionatorie, reputazionali e civilistiche. Gli assetti ordinamentali non ammettono incertezze al riguardo. Si pensi, quanto alla normativa eurounitaria, all’art. 5 del Regolamento Ue 2017/1469 che disciplina la redazione del documento informativo relativo al prodotto assicurativo (da redigersi “in un linguaggio semplice che faciliti al cliente la comprensione del contenuto e si concentra sulle informazioni fondamentali di cui il cliente ha bisogno per prendere una decisione informata. Sono evitati termini ed espressioni gergali”).
O si considerino, quanto alla regolamentazione di rango secondario, gli art. 4 e 33 del Regolamento 41/2018, che offrono una tassonomia dei criteri di redazione e comunicazione dei testi e delle informazioni, prevedendo che tutta la documentazione debba essere scritta “in un linguaggio e uno stile chiaro e sintetico, così da facilitare la comprensione delle informazioni in essa contenute”; che la stessa debba essere strutturata e presentata ai clienti in modo da essere “chiara e di facile lettura, con caratteri di dimensione leggibile”.
LE “WAY OUT” NON HANNO PIÙ SENSO
Ma è forse più interessante osservare come la giurisprudenza di questi ultimi anni si sia spesso cimentata in esercizi di riqualificazione dei contratti, sulla base dell’analisi della loro causa in concreto o, più semplicemente, di un’interpretazione delle clausole dubbie in senso (sempre) favorevole all’assicurato (e contrario alla compagnia).
Talune vecchie (e cattive) abitudini, incentrate sull’utilizzo malizioso di una tecnica scrittoria o redazionale confusa, per trovar poi una way out (ci sia perdonato l’inglesismo) utile a negare la prestazione in caso di sinistro, non hanno più oggi alcuna ragione d’essere, proprio perché foriere di rischi di censura (in sede di vigilanza, assicurativa o consumeristica), di danni di immagine e, comunque, di superamento, in sede di vaglio giudiziale, degli assetti contrattuali ipotizzati in fase assuntiva (con la conseguenza di vedersi addossare rischi superiori a quelli inizialmente quotati).
DAL CODICE DELLE ASSICURAZIONI ALLE SENTENZE
Non si tratta di assolute novità, ma di principi che soltanto in questi ultimi anni hanno conosciuto una più concreta ed effettiva applicazione. Si pensi al disposto dell’art. 166 del Codice delle assicurazioni (Cap), che sin dal 2005 imponeva che il contratto e ogni altro documento consegnato dall’impresa al contraente fosse redatto in modo chiaro ed esauriente, prescrivendo inoltre che “le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente o dell’assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare evidenza”.
Tale norma, pur eloquente nella sua portata, è per lungo tempo rimasta muta, in quanto sostanzialmente mai utilizzata nell’ambito del contenzioso assicurativo. Sino a quando, pochi anni orsono, la Suprema Corte (Cass. 15598, 11 giugno 2019) ha chiarito che la violazione del requisito formale (di evidenziazione delle clausole più onerose) previsto dall’articolo 166, comma 2, del Cap incidesse sulla opponibilità di quelle clausole agli assicurati, dal momento che in mancanza del prescritto rilievo grafico le stesse dovessero, fino a prova contraria, ritenersi non conosciute dall’assicurato (ai sensi dell’articolo 1341 del Codice civile, comma 1).
CLAUSOLE POLISENSO
A far tempo dal 2016 la Cassazione (sentenza 668 del 18 gennaio 2016) ha avuto poi modo di rimarcare come entrambe le parti di un contratto siano soggette all’obbligo di uberrima bona fides (di cui costituiscono espressione gli articoli 1175 e 1375 c.c., al momento della stipula e il citato l’articolo 166 del Cap). Il che ha spinto la Corte ad affermare, con intento velatamente canzonatorio, che nel caso di “soluzioni lessicali incerte o ambigue” resta “fermissimamente escluso che possano ricadere sull’assicurato le conseguenze della modestia letteraria o dell’insipienza scrittoria dell’assicuratore”. Sulla scorta di tale principio, in presenza di clausole polisenso è quindi precluso al giudice attribuire alle stesse un significato che, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, non sia passato al filtro dei criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss c.c. e, specificatamente, di quello di cui all’art. 1370 c.c. in tema di interpretazione contro l’autore della clausola.
Il che ci riporta al tema, emerso nel corso del workshop, dell’eccessivo ricorso nei testi di polizza a periodi eccessivamente lungi e suddivisi in proposizioni subordinate diffuse e non sempre coordinate, in quanto tali foriere di dubbi ermeneutici invariabilmente sciolti a sfavore della compagnia. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma non è questa la sede per diffondersi nel dettaglio sull’argomento.
SCRIVERE BENE: UN VANTAGGIO COMPETITIVO
Scrivere bene e scrivere chiaro costituisce oggi, per concludere, un impegno irrinunciabile.
Un miglior maneggio del lessico consentirà alle compagnie di distinguersi sul mercato, di rafforzare la relazione di fiducia con il cliente, di chiarire le regole del gioco, prevenire i conflitti e, soprattutto evitare gli incerti di una scrittura di polizza claudicante, equivocabile e rivedibile.
Non solo: un intelligente governo dei testi contrattuali, lungi dal risolversi in un mero adempimento burocratico, potrebbe consentire di spiegare agli assicurati le ragioni di determinate scelte o certe cautele da parte della compagnia, richiamando l’importanza del rapporto di assoluta e reciproca fiducia che deve esser alla base di ogni relazione assicurativa, per sua natura reciprocamente asimmetrica e tale da richiedere lealtà e cooperazione tra le parti, specie al momento del sinistro. Sì, perché se è vero che i distributori sono chiamati a sempre maggiori impegni di trasparenza e lealtà verso gli assicurati, parti deboli del rapporto, è altrettanto verso che gli stessi assicurati devono esser a loro volta collaborativi e corretti, nel rispetto non solo delle loro controparti professionali, ma della sostenibilità dell’operazione assicurativa e, dunque, degli interessi della mutualità assicurata di cui fanno parte.
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