Insurance Trade

Valutazioni operative sul decreto attuativo della legge Gelli

Dopo ben sette anni dalla promulgazione della legge di riferimento, è stato pubblicato il Decreto 232 che definisce i requisiti minimi obbligatori per l’assicurazione (o la ritenzione) della responsabilità medica

Valutazioni operative sul decreto attuativo della legge Gelli hp_vert_img
Il Decreto n. 232 del 15 dicembre 2023 è uno dei provvedimenti legislativi più lungamente attesi, dal momento che la legge 24/2017 (più nota come legge Gelli) ne prevedeva l’implementazione entro 90 giorni dalla sua emissione. Sono invece passati sette anni ed ecco finalmente pubblicate le regole che contengono i meccanismi di garanzia obbligatori, predisposti agli articoli 10, 11 e 12 della norma e specificatamente dedicati alla disciplina assicurativa.
Il decreto è entrato in vigore con effetto dal 16 marzo 2024 ed entro 24 mesi da tale data le compagnie dovranno adeguare i contratti di assicurazione, in conformità alle regole ivi previste. 

I TEMPI PER METTERSI IN REGOLA

Le compagnie assicurative hanno quindi fino a due anni di tempo per mettersi in regola, ma la questione è controversa, perché gli assicuratori sanno bene che una cosa è sostituire le polizze in corso con altre recanti la nuova normativa, assai diverso è invece emettere contratti a nuovo. 
Per le prime sarà necessario attendere la scadenza, onde procedere con le necessarie variazioni; per i secondi è lecito pensare che una preparazione di due anni sia eccessiva.
E dunque, a partire da quando gli assicuratori dovranno allinearsi effettivamente alle nuove condizioni? 
L’articolo 18 del decreto, intitolato Norme transitorie e di rinvio, prevede testualmente che vengano concessi 24 mesi, a partire dal 16 marzo 2024, per adeguare i wording. 
Si parla poi di come aggiornare le polizze pluriennali in corso e della necessità, per le strutture sanitarie, di conformarsi alle nuove regole di gestione del rischio, previste dalla legge e dallo stesso decreto. Infine, saranno i competenti Ministeri a vegliare sull’applicazione delle disposizioni emanate, in particolare per quanto attiene alla diffusione delle polizze assicurative, prevedendo controlli a cadenza periodica
Per chi dovesse emettere un contratto per un nuovo cliente, quindi, la legge non prevede indicazioni precise: e dunque quanto tempo hanno le compagnie per preparare i nuovi testi, tenendo conto che le poche imprese che ancora operano in questo ramo potrebbero essere pesantemente riassicurate e saranno quindi costrette a pattuire nuove condizioni e nuove tariffe con il proprio riassicuratore?
Per quanto attiene alle polizze emesse a nuovo, è logico pensare che i nuovi testi non debbano essere semplicemente aggiornati entro due anni dall’entrata in vigore del decreto, ma piuttosto che debbano essere adeguati al più presto, rappresentando la data del 16 marzo 2026 il massimo limite temporale concesso, allo scopo di rispettare le tempistiche necessarie per i contratti già in vigore
Non dimentichiamoci, infatti, che l’obbligo a contrarre per i professionisti sanitari data almeno dal 2017: la stragrande maggioranza dei contratti che operano su questo ramo sono quindi già in corso.
Non si tratta di una questione di lana caprina: se dovesse succedere un sinistro per il quale dovessero risultare discriminanti le nuove regole previste dal decreto, come si comporteranno i magistrati? 
Concederanno alla compagnia assicuratrice l’intero periodo previsto per adeguarsi o considereranno che – essendo il decreto entrato in vigore dal 16 marzo 2024 – sia lecito aspettarsi che l’assicuratore abbia fatto il possibile per aggiornare i nuovi contratti nel più breve tempo, non dovendo per forza attendere la scadenza delle polizze esistenti?
Dando un’occhiata a quanto pubblicato sui siti web dei più noti intermediari specializzati del mercato, c’è da notare che molti informano i propri clienti di avere già reperito i sottoscrittori in grado di emettere polizze conformi o di essere comunque alla loro ricerca. E dunque, se un dato assicuratore disponesse già di contratti conformi al decreto, come si comporterà la magistratura nei confronti di coloro che tardassero ad adeguarsi?
Le novità previste dal decreto sono infatti complesse, al punto da apparire in taluni casi difficili da digerire per molte compagnie. Ci vorrà quindi del tempo per discuterne con i pochi riassicuratori ancora inclini ad accettare questo tipo di copertura.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la cosiddetta “crisi della RC medica italiana”, che ha colpito negli ultimi decenni il nostro mercato, ha determinato l’abbandono di molti carriers e sono davvero poche le compagnie che ancora si cimentano nella sottoscrizione di queste polizze, per quanto gli effetti positivi dell’applicazione della legge Gelli abbiano iniziato a mostrarsi, soprattutto per quanto attiene alcuni tipi di coperture. Ma vediamo nel dettaglio in cosa consistono le tanto attese regole d’ingaggio, previste dalla nuova norma.

NUOVE DEFINIZIONI

Il regolamento si compone di 19 articoli, suddivisi in quattro titoli: Disposizioni generali, Requisiti minimi ed uniformi per l’idoneità dei contratti di assicurazione, Requisiti minimi di garanzia e condizioni di operatività delle misure analoghe e Disposizioni finali.
Il primo articolo è dedicato alle definizioni, con una riformulazione del glossario di riferimento, nel tentativo di colmare alcuni punti lacunosi della legge di riferimento, e a questo proposito vi sono alcune novità.
Risulta ad esempio utile la nuova formulazione prevista per “l’esercente l’attività libero professionale: attività svolta dall’esercente la professione sanitaria, anche in convenzione con  il Servizio Sanitario Nazionale, al di fuori della struttura o all’interno della stessa o di cui si avvale in  adempimento della propria obbligazione contrattualmente  assunta con il  paziente, indipendentemente dalla tipologia di rapporto intercorrente con la struttura o dal ruolo ricoperto”.
Come sappiamo, la legge Gelli ha assimilato le strutture pubbliche alle private. A questo punto, però, si è reso necessario creare una sorta di parallelismo anche sul piano dei professionisti sanitari. 
A partire dalla sua promulgazione, infatti, la magistratura si è interrogata sulla differenza esistente tra i professionisti dipendenti dalle strutture e coloro che invece esercitano la professione privata, perché diverso è l’atteggiamento della legge, nei confronti degli uni e degli altri. 
La responsabilità dei dipendenti di struttura risulta in qualche modo alleviata da quella prestata dall’ente per il quale lavorano: l’ospedale, cioè, sia esso pubblico o privato, risponde sempre in prima battuta, salvo avere diritto di rivalsa verso il dipendente, limitatamente ai casi di colpa grave. 
La responsabilità del medico dipendente beneficerà quindi di due limiti ben precisi: il primo, consiste nell’essere circoscritta alla rivalsa dell’ente o del suo assicuratore (ed esclusivamente per colpa grave accertata), il secondo, dal fatto di rispondere entro una soglia pari a tre volte il suo stipendio medio annuo. 
In pratica, il massimo importo che una struttura potrà recuperare dal proprio dipendente, sempre che sia in grado di provare la colpa grave di quest’ultimo, saranno poche centinaia di migliaia di euro, a fronte di un possibile esborso di svariate centinaia di migliaia di euro, se non di milioni, a seconda della specialità trattata.
Il professionista privato, invece, non ha alcun paracadute che lo protegga e risponderà direttamente, come se fosse un’azienda egli stesso. 
Tuttavia, la responsabilità che incomberà su un chirurgo che operi come freelance presso una struttura, non sarà equiparabile a quella di uno specialista che lavori esclusivamente nel proprio studio privato. 
L’articolo 10 della legge 24/2017 si limitava a definire il medico libero professionista come “l’esercente la professione sanitaria che svolga la propria attività al di fuori di una delle strutture (omissis), o che presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale, ovvero che  si  avvalga  della  stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente...”.
La Corte di Cassazione, però, si è espressa a più riprese di fronte al tentativo di molte strutture di liberarsi dal peso dei propri obblighi nei confronti dei pazienti, riparandosi dietro alle polizze dei loro collaboratori. 
Sarà infatti necessario che il giudice stabilisca una suddivisione del peso delle responsabilità ricadenti sulla struttura e sul medico, in base alla situazione realmente riscontrata.
Se è vero che il libero professionista è legato al paziente da un rapporto contrattuale e che lo stesso ha bisogno di ricorrere alla struttura per operare, dall’altra parte avremo un’azienda che necessita del medico per condurre la propria attività. Inoltre, l’ospedale resta sempre legato al paziente da un contratto per la fornitura dei propri servizi. L’errore può quindi ricadere in tutto in parte su ciascun soggetto: un’infezione nosocomiale dipenderà quasi esclusivamente dalla struttura, un errore manuale o una decisione errata del chirurgo durante l’operazione, sarà in genere colpa di quest’ultimo. 
La definizione proposta dal decreto, indipendentemente dal tipo di relazione che lega il professionista alla struttura, sembra quindi voler sottolineare il peso di ciascun rapporto, in linea con le decisioni prese fino ad ora dalla magistratura. Sarà quindi il giudice a determinare la suddivisione del titolo di responsabilità, e dunque il grado di coassicurazione tra polizza della struttura e polizza del professionista medico, in base ai fatti riscontrati. 

LA QUESTIONE DELLA CLAIMS MADE

Un altro aspetto che risulta interessante, per quanto attiene al possibile appetito alla sottoscrizione, riguarda la definizione di sinistro, poiché nella stessa e all’articolo 5 del decreto viene ribadita la validità temporale della polizza su base claims made, con un periodo di retroattività di 10 anni e uno di ultrattività (la cosiddetta postuma per cessazione dell’attività, o sunset) di altri 10 anni.
Per gli assicuratori, ciò implica l’obbligo di coprire un arco temporale di almeno 20 anni: partendo dal fatto generatore, per arrivare alla denuncia di sinistro (che nell’ambito della responsabilità contrattuale concede alla vittima dell’illecito fino a 10 anni di tempo), fino agli ulteriori 10 anni che potrebbero frapporsi dall’ultimo possibile illecito compiuto dal professionista prima di abbandonare l’attività, alla data in cui la relativa denuncia di sinistro potrebbe raggiungerlo. 
Senza la sunset, una volta cessata l’attività (e quindi l’obbligo di contrarre polizza) eventuali richieste di risarcimento che dovessero presentarsi non sarebbero più assicurate: cessata la polizza su claims made, il professionista si troverebbe scoperto da qualunque tipo di protezione assicurativa. 
Da qui la necessità di prevedere una postuma decennale, a partire dal momento dell’abbandono dell’attività stessa.
È questo uno dei punti nodali che riguardano le incessanti polemiche che hanno caratterizzato l’applicazione della clausola claims made in Italia. 
La magistratura ha a lungo avversato l’utilizzo di questa formula assicurativa, che non è ancora del tutto sdoganato: l’ultima decisione della Corte di Cassazione, la n.3123, risale infatti al 2 febbraio di quest’anno. 
La questione dipende dal fatto che il principio della claims made non obbedisce al disposto dell’articolo 1917 del Codice civile, che stabilisce il funzionamento delle polizze di assicurazione della responsabilità civile, in base alla data di accadimento del fatto dannoso (loss occurring). Secondo tale articolo del Codice, infatti, sono coperti tutti gli eventi accaduti nel periodo di validità del contratto.
La claims made cambia però la definizione di sinistro, spostandola dalla data dell’evento dannoso a quella della sua denuncia (claims made). 
Non rispondendo alle indicazioni previste dal Codice, la magistratura italiana ha sempre trovato ostico accettare questo meccanismo di assicurazione ed è intervenuta a più riprese, modificando la portata della clausola stessa, perché risultasse in linea con le disposizioni codicistiche. 
Tuttavia, la legge Gelli e il decreto appena promulgato dispongono chiaramente che le polizze che assicurano la responsabilità medica debbano funzionare su base claims made e ciò dovrebbe tagliare la testa al toro. 
L’applicazione di questa clausola implica però un grosso problema tecnico-assicurativo, perché una più ampia finestra temporale comporterà per forza di cose una certa maggiorazione del premio che l’assicuratore pretenderà dall’assicurato. 
Per le specialità mediche più esposte alle lunghe code che caratterizzano i sinistri da Rc medica, ciò vuol dire doversi sobbarcare di un premio assicurativo assai cospicuo: un ostetrico può dover pagare importi superiori a 20mila euro, tanto per fare un esempio. 
Alcune compagnie hanno a lungo approfittato della mancata promulgazione del decreto attuativo, per offrire polizze a premi scontati, a fronte dell’accettazione, da parte del professionista, di periodi di retroattività e postuma estremamente limitati. D’ora in avanti, però, il decreto prevede chiaramente una validità temporale minima che copre 10 anni di retroattività e altri 10 di sunset. 
Resta un problema di fondo: se da una parte il professionista ha l’obbligo di contrarre polizza, l’assicuratore può sempre rifiutare di coprire il suo rischio. 
Inoltre, di fronte a un allargamento così netto dell’orizzonte temporale coperto, ormai non più aggirabile da parte delle compagnie di assicurazione, è lecito aspettarsi un incremento dei premi medi che potrebbe risultare assai difficili da sostenere per alcune categorie di professionisti sanitari e staremo a vedere come il mercato affronterà questa sfida.

GLI INTERROGATIVI ANCORA APERTI

Vi sono comunque altre disposizioni del decreto che potrebbero essere foriere di ulteriori irrigidimenti da parte degli assicuratori. 
A norma dell’articolo 6, ad esempio, non sarà più previsto invocare disdetta per sinistro. 
Questo punto non sarebbe troppo grave sul piano pratico, dal momento che la maggior parte delle polizze di Rc medica non prevede il tacito rinnovo e le tempistiche legate all’apertura dei sinistri da long tail che caratterizzano questo ramo, non comportano tempi brevi per l’istruzione degli stessi. 
Insomma, una polizza non rinnovabile automaticamente pone già l’assicuratore in una situazione abbastanza serena, riguardo alla sua possibile uscita dal contratto in tempi accettabili.
Ma l’impossibilità di rescindere dalla polizza opera anche per tutto il periodo della sunset e il diritto alla disdetta in seguito a un sinistro o a un aggravamento del rischio, previsto dal Codice civile, è sempre stato visto come una salvaguardia irrinunciabile, da parte delle compagnie. 
È quindi lecito prevedere una levata di scudi al riguardo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti