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Responsabilità del medico: una querelle sfaccettata

È difficile venire a capo della corretta interpretazione della legge quando questa lascia aperte troppe interpretazioni. È quanto accade rispetto al tema della natura giuridica del rapporto tra medico e paziente nelle strutture ospedaliere

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Ci è già capitato di dare conto, anche su queste colonne, del dibattito interpretativo che si sta articolando, fra dottrina e giurisprudenza, in ordine alla natura della responsabilità del singolo medico inquadrato in una struttura ospedaliera, in forza (ed in conseguenza) di quanto regolato dalla legge n. 189/2012 (nota come "Legge Balduzzi").
Il punto in discussione (oramai è cosa nota) è quello che si interroga se l'art. 3 comma I della legge in argomento abbia voluto incidere (come per altro si legge nelle relazioni ai lavori parlamentari di conversione del testo proposto sotto forma di decreto legge) sulla natura giuridica del rapporto e della conseguente responsabilità del medico verso il paziente.
Il testo della norma in argomento prevede che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".

Quale interpretazione vige in assenza di contratto
Si vuole comprendere in particolare, se il richiamo esplicito alla disciplina della responsabilità risarcitoria da fatto illecito (art. 2043) sia da considerare come una sorta di "atecnico" rinvio alla responsabilità risarcitoria dell'esercente la professione sanitaria (in tal senso, fra gli altri, Tribunale di Arezzo 14/2/2013, Tribunale di Cremona 19/9/2013 e, da ultimo, tribunale di Brindisi del 18/7/2014), ovvero se (Tribunale di Varese 29/12/2012 e tribunale di Torino 26 febbraio 2013) il Legislatore abbia davvero voluto porre una indicazione legislativa (di portata indirettamente/implicitamente cogente) volta a chiarire che, in assenza di un contratto concluso con il paziente, la responsabilità del medico non andrebbe ricondotta nell'alveo della responsabilità da inadempimento/inesatto adempimento (comunemente detta «contrattuale») bensì in quello della responsabilità da fatto illecito (comunemente detta «extracontrattuale»).
Abbiamo già dato atto anche della novità registrata negli ultimi mesi, con la presa di posizione della prima sezione del Tribunale di Milano (che gestisce oggi l'intero contenzioso "med mal") in ordine alla tesi che sposa l'orientamento favorevole alla riconduzione della disciplina della colpa del sanitario nel contesto aquiliano ex art. 2043.
Quello che di rilevante si aggiunge, a rendere ancora più complessa la diatriba, è la notizia di una sentenza resa dallo stesso tribunale di Milano lo scorso 18 novembre (n. 13574 della sezione V civile, dott. Andrea M. Borrelli) la quale, traendo spunto dai medesimi presupposti, giunge a conclusioni diametralmente opposte a quelle depositate nei giorni scorsi dai giudici della prima sezione.
In particolare si legge nella decisione oggi annotata che "la responsabilità del medico ospedaliero - anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 L. 189/12 - è da qualificarsi come contrattuale".

Se l'interpretazione è opinione

Non troverebbe ingresso quindi l'interpretazione che sostiene la funzione di indirizzo della scelta normativa adottata solamente due anni fa dal Parlamento, che richiama alla colpa extracontrattuale del medico, perché ove il Legislatore "avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero (e figure affini) sotto il (solo) regime della responsabilità extracontrattuale, escludendo l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca anziché il breve inciso in commento".
Ebbene prescindendo da quello che può essere il ragionamento logico che sostiene l'una piuttosto che l'altra tesi, ancora una volta abbiamo testimonianza di come il cattivo legiferare sia foriero di complessità giurisprudenziali ulteriori in un mondo ove, semmai, l'uniformità interpretativa dovrebbe essere quanto più granitica, proprio perché stiamo parlando di una materia che attiene al diritto alla salute.
Così, invece, le carenze sintattiche e dispositive di una norma determinano contrasti applicativi (e quindi soluzioni opposte e tutele diverse) che ci si trovi avanti ad un giudice di un tribunale dello Stato piuttosto che un altro e, addirittura, davanti ad un singolo giudice dello stesso tribunale (quello di Milano), con buona pace dell'antico e desueto assioma che vede la "certezza del diritto" come pilastro cardine di una giustizia efficace e congrua.
A questo punto la querelle - che si arricchirà certamente di altri contributi giurisprudenziali - pone in ogni caso in evidenza l'esigenza di un nuovo intervento normativo chiarificatore, auspicabilmente orientato prima ancora che verso il ritorno alla disciplina extracontrattuale della colpa medica, al ripristino delle regole causali e disciplinari della responsabilità civile professionale, dai quali canoni il settore della colpa medica si è nel tempo affrancato, per costituire un sottosistema oggi non più tollerato dall'ordinamento nei suoi riflessi macroeconomici.

Filippo Martini, Studio Mrv

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