La debolezza delle azioni collettive
L'introduzione delle class action nel nostro Paese non sembra aver avuto le conseguenze tanto temute dagli imprenditori e dai loro assicuratori
04/06/2012
Il fenomeno delle azioni collettive di risarcimento, impropriamente definite class action, ha assunto grande rilevanza negli ultimi anni, imponendosi attraverso una vera e propria escalation mediatica all'attenzione di tutti.
Nonostante siano molte e diverse le forme che compongono il contenzioso di massa nel mondo, nella memoria collettiva si impone come riferimento l'analogo fenomeno che ha avuto particolare sviluppo negli Stati Uniti d'America e pertanto chiamiamo in modo generico "class action" tutte le forme di azioni collettive di risarcimento che conosciamo, per quanto esse abbiano origine e struttura assai diversa le une dalle altre.
Pochi rammentano, ad esempio, che nel nostro sistema giuridico questo tipo di contenzioso affonda le sue radici nel tempo. Già nel diritto romano, infatti, si distinguevano le actiones privatae, dalle actiones populares , queste ultime intese come concesse al singolo individuo "non già considerato come privato titolare di un diritto, ma come partecipe del pubblico interesse e, per questo, difensore di un interesse pubblico" (1).
Le azioni collettive si propongono di eliminare le disparità di risarcimento tra le vittime di eventuali comportamenti abusivi da parte delle imprese, aumentandone il potere contrattuale e riducendo i costi giudiziari, altrimenti insostenibili. Costituendo idealmente uno strumento in difesa degli interessi del consumatore, è naturale che le iniziative volte alla loro introduzione nei vari ordinamenti locali si muovano prevalentemente nell'ambito delle leggi per la tutela del consumatore stesso.
Nonostante siano molte e diverse le forme che compongono il contenzioso di massa nel mondo, nella memoria collettiva si impone come riferimento l'analogo fenomeno che ha avuto particolare sviluppo negli Stati Uniti d'America e pertanto chiamiamo in modo generico "class action" tutte le forme di azioni collettive di risarcimento che conosciamo, per quanto esse abbiano origine e struttura assai diversa le une dalle altre.
Pochi rammentano, ad esempio, che nel nostro sistema giuridico questo tipo di contenzioso affonda le sue radici nel tempo. Già nel diritto romano, infatti, si distinguevano le actiones privatae, dalle actiones populares , queste ultime intese come concesse al singolo individuo "non già considerato come privato titolare di un diritto, ma come partecipe del pubblico interesse e, per questo, difensore di un interesse pubblico" (1).
Le azioni collettive si propongono di eliminare le disparità di risarcimento tra le vittime di eventuali comportamenti abusivi da parte delle imprese, aumentandone il potere contrattuale e riducendo i costi giudiziari, altrimenti insostenibili. Costituendo idealmente uno strumento in difesa degli interessi del consumatore, è naturale che le iniziative volte alla loro introduzione nei vari ordinamenti locali si muovano prevalentemente nell'ambito delle leggi per la tutela del consumatore stesso.
Nel nostro Paese, a seguito della forte spinta impressa, tra il 2007 ed il 2008, dalla Commissione Europea per i diritti dei consumatori, il governo Prodi allora in
carica aveva presentato un primo disegno di legge per l'introduzione di una vera e propria forma di class action. Tale istituto, analogamente a quanto si stava
verificando in altri Paesi membri, prevedeva che solo le associazioni dei consumatori, dei professionisti o le Camere di Commercio potessero accedere all'azione collettiva di risarcimento. L'iniziativa destò molta preoccupazione e una vera e propria levata di scudi da parte del mondo imprenditoriale e assicurativo, nel timore che le class action assumessero nel nostro Paese la stessa drammatica connotazione assunta oltre oceano, trasformandosi in una sorta di randello giuridico per azioni esemplari nei confronti delle imprese.
Ne derivò una serie di proroghe ed emendamenti, che hanno ritardato molto l'iter del provvedimento. Dopo lunghe e alterne vicende, comunque, l'azione di classe è stata introdotta in Italia con la Legge n. 99 del 24.07.2009 n. 99, che prevedeva l'applicabilità di questo istituto agli illeciti commessi dopo il 15 agosto 2009 e la proponibilità dell'azione a partire dal 1° gennaio 2010, ed è oggi operante ai sensi del Dlgs n. 1 del 24 gennaio 2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza).
Tuttavia, privata del supporto offerto negli Stati Uniti dall'istituto dei punitive damage e dall'incentivo ivi costituito dalle elevate contingency fees (spese legali), essa non sembra aver causato fino ad ora particolari grattacapi alle imprese e, conseguentemente, ai loro assicuratori. Per contro, forse anche a causa della sfavorevole congiuntura economica, non pare nemmeno che abbia avuto luogo l'auspicata spinta verso il miglioramento della corporate governante e della gestione del rischio, che l'introduzione dell'azione di classe avrebbe dovuto favorire.
carica aveva presentato un primo disegno di legge per l'introduzione di una vera e propria forma di class action. Tale istituto, analogamente a quanto si stava
verificando in altri Paesi membri, prevedeva che solo le associazioni dei consumatori, dei professionisti o le Camere di Commercio potessero accedere all'azione collettiva di risarcimento. L'iniziativa destò molta preoccupazione e una vera e propria levata di scudi da parte del mondo imprenditoriale e assicurativo, nel timore che le class action assumessero nel nostro Paese la stessa drammatica connotazione assunta oltre oceano, trasformandosi in una sorta di randello giuridico per azioni esemplari nei confronti delle imprese.
Ne derivò una serie di proroghe ed emendamenti, che hanno ritardato molto l'iter del provvedimento. Dopo lunghe e alterne vicende, comunque, l'azione di classe è stata introdotta in Italia con la Legge n. 99 del 24.07.2009 n. 99, che prevedeva l'applicabilità di questo istituto agli illeciti commessi dopo il 15 agosto 2009 e la proponibilità dell'azione a partire dal 1° gennaio 2010, ed è oggi operante ai sensi del Dlgs n. 1 del 24 gennaio 2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza).
Tuttavia, privata del supporto offerto negli Stati Uniti dall'istituto dei punitive damage e dall'incentivo ivi costituito dalle elevate contingency fees (spese legali), essa non sembra aver causato fino ad ora particolari grattacapi alle imprese e, conseguentemente, ai loro assicuratori. Per contro, forse anche a causa della sfavorevole congiuntura economica, non pare nemmeno che abbia avuto luogo l'auspicata spinta verso il miglioramento della corporate governante e della gestione del rischio, che l'introduzione dell'azione di classe avrebbe dovuto favorire.
L'ESPERIENZA NEGLI USA
Questo fenomeno sembra non essere limitato al nostro Paese. Forme di azioni collettive di risarcimento sono oggi ammesse in ben 21 nazioni europee, dall'Austria alla Bulgaria, dall'Estonia al Portogallo, dall'Olanda alla Grecia. Tuttavia sono assai rari i casi che per la loro importanza sono riusciti ad assurgere agli onori delle cronache.
Negli Stati Uniti d'America, invece, prosegue inesorabile la conta dei "giant settlements" favoriti dalla presenza di questo istituto giuridico: Wal-Mart, risarcito per 170 milioni di dollari nel 2008, Fen-Phen Diet Drugs, risarcito per 6,4 miliardi di dollari nel 2009, Novartis, ammontante a 253 milioni di dollari nel 2010, Puricelli contro la Repubblica Argentina, pari a 2 miliardi di dollari, ancora nel 2010.
Sembra proprio che i tanto temuti effetti dell'avvento delle class action negli ordinamenti europei non riescano a dispiegarsi nella misura in cui possiamo osservarli oltre oceano ed è interessante notare come gli stessi soggetti legittimati ad accedere all'azione di classe sembrino in qualche modo coscienti di questa sorta di limite. E' recente la notizia che il Codacons e altre associazioni di consumatori hanno preferito aderire all'azione collettiva intentata in Florida contro la Carnival, per il naufragio della Costa Concordia, piuttosto che insistere sulla via del procedimento locale. La richiesta di risarcimento per centinaia di milioni di dollari, guidata in Usa dallo studio Ribbeck Law Chartered di Chicago, infatti, non può che esercitare un irresistibile appeal, di fronte all'ammontare di alcune migliaia di euro offerto, e ragionevolmente ottenibile, in Italia per i passeggeri coinvolti nel disastro.
Negli Stati Uniti d'America, invece, prosegue inesorabile la conta dei "giant settlements" favoriti dalla presenza di questo istituto giuridico: Wal-Mart, risarcito per 170 milioni di dollari nel 2008, Fen-Phen Diet Drugs, risarcito per 6,4 miliardi di dollari nel 2009, Novartis, ammontante a 253 milioni di dollari nel 2010, Puricelli contro la Repubblica Argentina, pari a 2 miliardi di dollari, ancora nel 2010.
Sembra proprio che i tanto temuti effetti dell'avvento delle class action negli ordinamenti europei non riescano a dispiegarsi nella misura in cui possiamo osservarli oltre oceano ed è interessante notare come gli stessi soggetti legittimati ad accedere all'azione di classe sembrino in qualche modo coscienti di questa sorta di limite. E' recente la notizia che il Codacons e altre associazioni di consumatori hanno preferito aderire all'azione collettiva intentata in Florida contro la Carnival, per il naufragio della Costa Concordia, piuttosto che insistere sulla via del procedimento locale. La richiesta di risarcimento per centinaia di milioni di dollari, guidata in Usa dallo studio Ribbeck Law Chartered di Chicago, infatti, non può che esercitare un irresistibile appeal, di fronte all'ammontare di alcune migliaia di euro offerto, e ragionevolmente ottenibile, in Italia per i passeggeri coinvolti nel disastro.
(1) Assandro Giorgetti e Valerio Vallefuoco: Il contenzioso di massa in Italia, in Europa e nel Mondo - Giuffrè Editore
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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