Un riconoscimento implicito alla Tabella di Milano
Un caso di risarcimento presso la Corte di Palermo è stato rivisto dalla Cassazione che ha ritenuto non accettabile il criterio dei parametri economici locali, a favore di uno strumento ormai riconosciuto
10/11/2015
Una bella e recentissima sentenza della terza sezione civile della suprema Corte di Cassazione (sentenza 15 ottobre 2015 n. 20895 - Pres. Salmé, rel. Rubino) ci consente di ribadire la oramai pacifica rilevanza, nel sistema di risarcimento del danno alla persona, della tabella elaborata anni orsono dal tribunale di Milano, quale strumento di congruità e di equità a livello nazionale.
La sentenza di cui si parla ribadisce che la tabella milanese costituisce altresì argine alla discrezionalità pura e all’arbitrio dell’interprete e del magistrato.
Il fatto
Il danneggiato, in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore, conveniva in giudizio i responsabili di un gravissimo sinistro stradale, nel corso del quale perdevano la vita due dei tre figli minori dell’attore.
La Corte di Appello di Palermo (demandata della questione) riteneva, dopo anni di giudizio, di dover liquidare il danno conformemente ai parametri economici territoriali del Foro ove era stata radicata la controversia, ben inferiori all’epoca a quelli adottati poi dalla tabella milanese.
La vittima (in proprio e quale esercente la patria potestà sul figlio superstite, fratello dei due bimbi deceduti nel sinistro) agiva chiedendo invece la maggior somma derivante dall’impiego della tabella milanese nel frattempo divenuta, come noto, parametro di liquidazione equitativa nazionale, in forza delle importanti decisioni della Corte di Cassazione del 2011 (le sentenza n.12408 e n.14402).
La decisione
La Cassazione accoglie la lamentela della vittima evidenziando che “la corte d'appello nel quantificare i danni non patrimoniali riportati dal padre e dalla sorella per la perdita dei due giovanissimi congiunti utilizza il criterio equitativo puro, ovvero non fa riferimento a nessuna delle tabelle in uso presso i tribunali né àncora la propria liquidazione ad altri criteri obiettivi”.
Così facendo, però, “la sentenza impugnata viola l'art. 2056 C.C. e al contempo si traduce in una motivazione sulla liquidazione del danno contraddittoria e che non consente al lettore e all'interprete di comprendere la logica e ripercorrere lo sviluppo motivazionale che ha portato a determinate scelte”.
Ricordano i giudici del supremo Collegio che “il percorso seguito da questa Corte negli ultimi anni in tema di liquidazione del danno non patrimoniale è stato teso a garantire una sempre più adeguata personalizzazione del danno, che necessariamente deve passare attraverso l'abbandono di logiche di liquidazione meramente assertive di un risultato e l'ancoraggio della quantificazione, che è pur sempre, necessariamente, affidata alla valutazione equitativa del giudice di merito, a parametri obiettivi quali le tabelle in uso presso i vari tribunali”.
In buona sostanza, la tabella di Milano occupa nel panorama nazionale un criterio liquidativo uniforme e congruo, dal quale il giudice può sì discostarsi, a condizione che motivi le ragioni di una diversa compensazione e in ogni caso personalizzi il quantum al caso concreto, pur entro margini di oscillazione inclusi nella stessa tabella.
Di fatto la Corte rammenta ai giudici di merito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 Cod. Civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente a equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziali.
Allo scopo di garantire tale uniformità di trattamento, la Corte ha indicato l'opportunità di fare riferimento non soltanto a un criterio di quantificazione obiettivo ma a un criterio in assoluto preferibile, ovvero al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, prescelto come preferibile per una vasta gamma di considerazioni tra le quali l'essere già ampiamente diffuso sul territorio nazionale, ben al di fuori dai confini del singolo distretto.
In conclusione
Ne discende così la seguente importante massima: “Nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto.
Per garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 Cod. Civ., salvo che non sussistano in concreto circostante idonee a giustificarne l'abbandono”.
La sentenza di cui si parla ribadisce che la tabella milanese costituisce altresì argine alla discrezionalità pura e all’arbitrio dell’interprete e del magistrato.
Il fatto
Il danneggiato, in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore, conveniva in giudizio i responsabili di un gravissimo sinistro stradale, nel corso del quale perdevano la vita due dei tre figli minori dell’attore.
La Corte di Appello di Palermo (demandata della questione) riteneva, dopo anni di giudizio, di dover liquidare il danno conformemente ai parametri economici territoriali del Foro ove era stata radicata la controversia, ben inferiori all’epoca a quelli adottati poi dalla tabella milanese.
La vittima (in proprio e quale esercente la patria potestà sul figlio superstite, fratello dei due bimbi deceduti nel sinistro) agiva chiedendo invece la maggior somma derivante dall’impiego della tabella milanese nel frattempo divenuta, come noto, parametro di liquidazione equitativa nazionale, in forza delle importanti decisioni della Corte di Cassazione del 2011 (le sentenza n.12408 e n.14402).
La decisione
La Cassazione accoglie la lamentela della vittima evidenziando che “la corte d'appello nel quantificare i danni non patrimoniali riportati dal padre e dalla sorella per la perdita dei due giovanissimi congiunti utilizza il criterio equitativo puro, ovvero non fa riferimento a nessuna delle tabelle in uso presso i tribunali né àncora la propria liquidazione ad altri criteri obiettivi”.
Così facendo, però, “la sentenza impugnata viola l'art. 2056 C.C. e al contempo si traduce in una motivazione sulla liquidazione del danno contraddittoria e che non consente al lettore e all'interprete di comprendere la logica e ripercorrere lo sviluppo motivazionale che ha portato a determinate scelte”.
Ricordano i giudici del supremo Collegio che “il percorso seguito da questa Corte negli ultimi anni in tema di liquidazione del danno non patrimoniale è stato teso a garantire una sempre più adeguata personalizzazione del danno, che necessariamente deve passare attraverso l'abbandono di logiche di liquidazione meramente assertive di un risultato e l'ancoraggio della quantificazione, che è pur sempre, necessariamente, affidata alla valutazione equitativa del giudice di merito, a parametri obiettivi quali le tabelle in uso presso i vari tribunali”.
In buona sostanza, la tabella di Milano occupa nel panorama nazionale un criterio liquidativo uniforme e congruo, dal quale il giudice può sì discostarsi, a condizione che motivi le ragioni di una diversa compensazione e in ogni caso personalizzi il quantum al caso concreto, pur entro margini di oscillazione inclusi nella stessa tabella.
Di fatto la Corte rammenta ai giudici di merito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 Cod. Civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente a equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziali.
Allo scopo di garantire tale uniformità di trattamento, la Corte ha indicato l'opportunità di fare riferimento non soltanto a un criterio di quantificazione obiettivo ma a un criterio in assoluto preferibile, ovvero al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, prescelto come preferibile per una vasta gamma di considerazioni tra le quali l'essere già ampiamente diffuso sul territorio nazionale, ben al di fuori dai confini del singolo distretto.
In conclusione
Ne discende così la seguente importante massima: “Nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto.
Per garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 Cod. Civ., salvo che non sussistano in concreto circostante idonee a giustificarne l'abbandono”.
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