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Il “grande dubbio” sulla pensione di reversibilità

Tra le “grandi” attese del 2016 vi è certamente il pronunciamento delle Sezioni Unite chiamate a “stabilire se, in base all'ordinamento italiano, all'ambito del danno patrimoniale risarcibile a seguito di fatto illecito appartenga o meno la prestazione previdenziale indennitaria, erogata a seguito dell'evento dannoso e in funzione di sostentamento della vittima del sinistro o dei suoi aventi causa” (Corte di Cassazione, sez. III Civile, ord. 5 marzo 2015, n. 4447).

La questione, infatti, potrebbe avere delle apprezzabili ricadute sulle casse pubbliche, in quanto, ove si riconoscesse che le prestazioni erogate “in funzione di sostentamento della vittima del sinistro o dei suoi aventi causa” ristorino almeno parte del danno patrimoniale da questi subito, non solo quelle prestazioni dovrebbero essere “scorporate” dal risarcimento ma, a quel punto, bisognerebbe riconoscere all’assicuratore sociale la possibilità di surrogarsi nei diritti che il danneggiato vanta nei confronti del terzo responsabile e, dunque, di recuperare presso quest’ultimo quanto erogato alla vittima.

Per dovere di cronaca, rileviamo come il quesito oggi posto alle Sezioni Unite origini da un contrasto giurisprudenziale apertosi a seguito di una decisione, la n. 13537 del 2014, in cui la Terza Sezione della Cassazione ha per la prima volta riconosciuto alla pensione di reversibilità una funzione indennitaria (in particolare, quella di ristorare il pregiudizio patrimoniale patito dai congiunti del de cuius per non poter più contare sull’apporto economico di quest’ultimo) e, conseguentemente, ha statuito che quella prestazione deve essere scorporata dal risarcimento del danno. Diversamente (si legge espressamente nella sentenza) “si perverrebbe alla assurda conseguenza che il patrimonio complessivo del nucleo familiare della vittima sarebbe paradossalmente accresciuto in conseguenza del decesso”.

Ora, per quanto suggestivo, tale argomento non convince del tutto, in quanto l’erogazione della reversibilità presuppone che la vittima dell’illecito, al momento del decesso, sia già pensionata o comunque abbia contribuito al sistema previdenziale nei limiti minimi previsti dalla legge. In altri termini, il superstite non conseguirebbe alcun arricchimento indebito ma, piuttosto, beneficerebbe di un trattamento previdenziale già “remunerato”, di fatto, dall’avvenuta contribuzione del de cuius all’assicurazione generale obbligatoria (c.d. IVS). Del resto, l’ammontare stesso della prestazione di reversibilità è ancorato non al danno patrimoniale patito dai familiari/congiunti ma all’importo della pensione già percepita dal de cuius (o al montante contributivo da questi maturato fino al momento della morte).

Alla luce di quanto sopra, pertanto, sussisterebbero numerosi argomenti per asserire che il trattamento di reversibilità assolva ad una funzione non indennitaria ma previdenziale e che, conseguentemente, tale prestazione possa essere cumulata dal superstite con l’eventuale risarcimento del danno (al pari di un capitale erogato in favore dei beneficiari di un’assicurazione sulla vita per il caso morte). Ciò, salvo ritenere che qualsiasi dazione erogata dagli assicuratori sociali a seguito di fatto illecito assolva ad una funzione indennitaria e, dunque, anche quelle prestazioni di natura assistenziale che addirittura prescindono da un rapporto assicurativo tra beneficiario ed ente erogatore (si pensi, ad esempio, le c.d. invalidità civili - si veda il precedente intervento su questo blog http://www.insurancetrade.it/insurance/contenuti/blog/4748/invalidita-civili-chi-le-paga).

Ed in effetti, è proprio in tale direzione che sembra muovere la sentenza citata nella parte in cui è scritto che “l'orientamento tradizionale - privando l'ente previdenziale o l'assicuratore sociale dell'azione di surrogazione - addossa alla fiscalità generale, e quindi alla collettività, un onere il cui peso economico serve non a ristorare la vittima, ma ad arricchirla: così posponendo di fatto l'interesse generale a quello individuale”.

A ben vedere, le ragioni di “cassa” qui rievocate esorbitano dallo stretto diritto, attenendo, piuttosto, a scelte di scelte politica legislativa che, se del caso, competerebbero al potere legislativo e non a quello giudiziario.

L’auspicio è dunque che il pronunciamento delle Sezioni Unite costituisca occasione per dirimere il “grande dubbio” sulla natura non solo della pensione di reversibilità ma anche delle altre prestazioni economiche riconosciute a vario titolo dallo Stato. Perché una corretta comprensione degli attuali assetti del welfare pubblico costituisce premessa ineludibile per una riforma in chiave sostenibile dello stesso e, prospetticamente, per la costruzione di un welfare eventualmente integrato.


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