L’assicurazione del “danno integrale”: una sfida impossibile?
La recentissima pronuncia delle Sezioni Unite in materia di claims made sollecita alcune riflessioni “di sistema” circa i più adeguati assetti delle assicurazioni obbligatorie.
Qualche giorno fa, proprio su insurancetrade.it, Maurizio Hazan segnalava come le Sezioni Unite, pur “salvando” in termini generali il modello claims made, di fatto ne abbiano mortificato l’utilità proprio nei settori in cui quel modello contrattuale è maggiormente diffuso, e cioè quelli delle responsabilità professionali (http://www.insurancetrade.it/insurance/contenuti/mercato/5690/la-claims-made-resiste-tranne-dove-serve). E in effetti, se l’obbligo assicurativo a carico dei professionisti è stato introdotto nel prevalente interesse del terzo danneggiato (art. 3 comma 5 d.l. 138/2011), quest’ultimo potrebbe risultare non pienamente protetto da una copertura di rc che escluda dal proprio ambito di operatività quei fatti che, per quanto verificatisi in costanza di garanzia, vengano denunciati solo successivamente alla scadenza del contratto.
Ma se il soggetto principalmente protetto dall’assicurazione obbligatoria della rc professionale è, per espressa previsione legislativa, il terzo danneggiato, verrebbe altresì il dubbio che il vulnus risieda non solo o non tanto nello strumento contrattuale impiegato (la formula claims made) quanto nella scelta legislativa a monte di voler “costruire” l’assicurazione obbligatoria di alcuni comparti secondo un modello third party.
Si pensi al settore maggiormente interessato dal dibattito (anche parlamentare) degli ultimi mesi, e cioè quello della responsabilità medica e sanitaria. Sarebbe forse utopistico immaginare, in luogo di un’assicurazione obbligatoria della rc del medico (e/o della struttura), la creazione un Fondo di Garanzia che indennizzi direttamente il paziente danneggiato secondo uno schema non poi dissimile da quello sotteso alla copertura obbligatoria INAIL?
Una simile proposta solleva tre prevedibili obiezioni:
Pertanto, sebbene la tesi di una copertura “diretta” in favore del paziente risulti forse più coerente con le finalità di un’assicurazione obbligatoria che vuol proteggere il potenziale danneggiato, le risorse disponibili non sarebbero in ogni caso sufficienti. Il che potrebbe almeno indurre a ripensare, in quello specifico settore, lo statuto del danno risarcibile. In particolare, si potrebbe forse rivisitare un principio, quello dell’integrale riparazione del danno, che per anni ha animato il settore della rca e che nell’ambito della rc sanitaria potrebbe (dico potrebbe…) conoscere deroghe ben più incisive rispetto a quelle ammesse dalla Corte Costituzionale in materia di micro-permanenti (sentenza 235/2014); ciò proprio per non frustrare, con lo spettro del rischio risarcitorio, un’attività (quale appunto quella medica) istituzionalmente volta alla riparazione, non meramente monetaria, dei danni alla salute.
La questione, in fondo, ha quasi il tenore di un quesito referendario: meglio un risarcimento cospicuo o una chance terapeutica in più?
Qualche giorno fa, proprio su insurancetrade.it, Maurizio Hazan segnalava come le Sezioni Unite, pur “salvando” in termini generali il modello claims made, di fatto ne abbiano mortificato l’utilità proprio nei settori in cui quel modello contrattuale è maggiormente diffuso, e cioè quelli delle responsabilità professionali (http://www.insurancetrade.it/insurance/contenuti/mercato/5690/la-claims-made-resiste-tranne-dove-serve). E in effetti, se l’obbligo assicurativo a carico dei professionisti è stato introdotto nel prevalente interesse del terzo danneggiato (art. 3 comma 5 d.l. 138/2011), quest’ultimo potrebbe risultare non pienamente protetto da una copertura di rc che escluda dal proprio ambito di operatività quei fatti che, per quanto verificatisi in costanza di garanzia, vengano denunciati solo successivamente alla scadenza del contratto.
Ma se il soggetto principalmente protetto dall’assicurazione obbligatoria della rc professionale è, per espressa previsione legislativa, il terzo danneggiato, verrebbe altresì il dubbio che il vulnus risieda non solo o non tanto nello strumento contrattuale impiegato (la formula claims made) quanto nella scelta legislativa a monte di voler “costruire” l’assicurazione obbligatoria di alcuni comparti secondo un modello third party.
Si pensi al settore maggiormente interessato dal dibattito (anche parlamentare) degli ultimi mesi, e cioè quello della responsabilità medica e sanitaria. Sarebbe forse utopistico immaginare, in luogo di un’assicurazione obbligatoria della rc del medico (e/o della struttura), la creazione un Fondo di Garanzia che indennizzi direttamente il paziente danneggiato secondo uno schema non poi dissimile da quello sotteso alla copertura obbligatoria INAIL?
Una simile proposta solleva tre prevedibili obiezioni:
- il medico sarebbe pur sempre esposto alla rivalsa (più tecnicamente una surroga) da parte del Fondo e, dunque, l’annosa questione della medicina difensiva non verrebbe risolta;
- in ogni caso il medico sarebbe esposto per il danno differenziale (cioè la differenza tra il risarcimento dovuto al danneggiato e l’indennizzo erogato a quest’ultimo dal Fondo);
- last but non least, chi finanzia il Fondo?
Pertanto, sebbene la tesi di una copertura “diretta” in favore del paziente risulti forse più coerente con le finalità di un’assicurazione obbligatoria che vuol proteggere il potenziale danneggiato, le risorse disponibili non sarebbero in ogni caso sufficienti. Il che potrebbe almeno indurre a ripensare, in quello specifico settore, lo statuto del danno risarcibile. In particolare, si potrebbe forse rivisitare un principio, quello dell’integrale riparazione del danno, che per anni ha animato il settore della rca e che nell’ambito della rc sanitaria potrebbe (dico potrebbe…) conoscere deroghe ben più incisive rispetto a quelle ammesse dalla Corte Costituzionale in materia di micro-permanenti (sentenza 235/2014); ciò proprio per non frustrare, con lo spettro del rischio risarcitorio, un’attività (quale appunto quella medica) istituzionalmente volta alla riparazione, non meramente monetaria, dei danni alla salute.
La questione, in fondo, ha quasi il tenore di un quesito referendario: meglio un risarcimento cospicuo o una chance terapeutica in più?
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