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La malattia delle agenzie

Lo stato di salute economico delle agenzie d’assicurazione non sembra troppo buono. Dal 1997 a oggi c’è stato un calo nel numero di strutture e intermediari: 19.300 erano le agenzie 20 anni fa contro le 12.500 di oggi; gli agenti erano 23.500 contro i 18.700 di oggi (fonte Mbs Consulting) e non meno di 150 mila i subagenti. La redditività è sempre più scarsa, c’è difficoltà a produrre, e il mercato è asfittico e non dà certezze.
I mandati agenziali, nell’ultimo decennio, con riferimento particolare alle tabelle provvigionali (ma anche al normativo) sono scesi di oltre il 20%. Anche per il normativo, ripeto, le regole sono molto labili e discutibili.
Per alcune compagnie, la deregulation è anche maggiore, in tutte le partite osservate: provvigioni, incasso, acquisto, nonché regole di mandato.
Noto un contesto abbastanza negativo dovuto a fattori esterni, come la crisi economica in perenne stallo, le direttive europee che influiscono un po’ su tutto, anche sulla produttività, i cosiddetto canali alternativi attivati con poca trasparenza, le compagnie che vantano bilanci ottimi ma, contemporaneamente, scarsi incrementi un po’ in tutti i rami. Manca, a mio parere, anche una riforma politica fiscale che vada a incentivare il consumatore, azienda o privato che sia, su tutti i rami: elementari e vita. 
Vanno tenuti presenti i molteplici studi sui conti gestione delle agenzie: le sole provvigioni d’incasso, nonostante si aggirassero mediamente attorno al 12%-13% già allora non erano comunque sufficienti ad affrontare le spese di un’agenzia media, come affitti, dipendenti, utenze, provvigioni passive, previdenze personali, locomozione, imprevisti e costo della vita. Indispensabile, quindi, sarebbe produrre molto, per far si che si bilancino costi e ricavi.

Come accennato prima, in questo volonteroso e agognato slancio produttivo, non va dimenticata la grave crisi che tuttora attanaglia la Nazione: licenziamenti di massa e disoccupazione giovanile, che toccano punte paurose. Malgrado questo contesto, le imprese chiedono che gli intermediari assicurativi, nell’espletamento del loro mandato, siano tutti, in rapporto all’utenza e al mercato, imprenditori audaci, pieni di iniziative, professionisti dotati di preparazione tecnica e gestionale, non di rado superiore ai loro stessi uffici assuntivi; operatori accorti e di grande professionalità. Avviene però, contemporaneamente, che il modello di agente ideale, disegnato a tavolino dalle stesse mandanti, modello al quale tutte le reti “devono (???) adeguarsi”, vorrebbe gli intermediari personaggi ossequiosi, dimentichi del proprio spessore professionale e imprenditoriale, pronti a chiudere un occhio sui propri diritti, siano essi diritti discendenti dagli accordi nazionali e dal contratto d’agenzia, o diritti nascenti dal proprio lavoro. Fatte salve le rare e debite eccezioni, che comunque confermano la regola.
È evidente che qualcosa non quadra, oggi come ieri lo si potrebbe definire un rapporto quasi schizofrenico.
Non risulta facile definire, anche nel 2017, la patologia del rapporto, dal quale nascono tante preoccupazioni per il futuro.
Esso non è ancora chiaro dopo quasi cento anni di collaborazione tra le parti, compresi i precisi contorni nella coscienza di ciascuno.
La crisi di redditività degli intermediari proviene anche dal depauperamento dei portafogli agenziali,  dovuto non solo alla legge Bersani, ma anche alle strategie messe in atto dalle imprese: accettare rischi solo retail o Rca,  creando un vuoto serissimo nelle coperture di molti altri rami. Perché?

Da tutti questi fattori emerge una volontà contraria a perseguire la strada tracciata quasi due secoli fa: cioè gestire i rischi assicurativi. Tutti.
Mi chiedo se quanto accade oggi si possa definire una scelta vincente: l’avanzata della cosiddetta finanza e l’interesse che hanno molte compagnie solo per il business che da essa proviene potrebbe cancellare l’importanza del concetto assicurativo, pilastro portante a tutela anche dell’economia nazionale.

L’agenzia media italiana arriva con fatica ai 400 mila euro di ricavi lordi annuali, quasi sempre gestita da due intermediari. Conti alla mano non restano nel conto gestione, spese detratte, più di 70 mila euro, spesso compresivi di incentivi e rappel (quando raggiunti). È ovvio che questo è un discorso abbastanza generalizzato: tra l’attività e i risultati di un agente e un altro c’è differenza. 
Un’analisi più attenta fa notare che i risultati economici variano grazie anche e soprattutto al modus operandi di ogni singolo intermediario: chi, ad esempio, introita ricavi superiori alla media (non meno del 20% in più di provvigioni), a parità di portafoglio e in base allo spaccato dello stesso, potrebbe anche essere, in una gestione oculata, utile puro. Pur essendo casi davvero rari.
In altre parole, riescono a sopravvivere con meno preoccupazioni coloro che sono maggiormente attrezzati sul piano organizzativo e commerciale. Quindi, le singole capacità, come in tutti i settori merceologici, dipendono dall’operatore, pur tenendo presente quanto questo comparto stia arrancando faticosamente.

Anche le imprese soffrono? Sì.
Ad esempio, in Germania e Francia le assicurazioni sulla casa coprono circa il 90% delle stesse, contro una evidente sotto assicurazione sul territorio della nostra bella Italia.
Perché da noi sono così bassi gli incrementi annuali in tutti i rami, con qualche eccezione per il vita, quest’anno anche lui in discesa? Anche le compagnie dovrebbero riflettere a lungo e forse tornare sui propri passi, agevolando l’intermediazione tradizionale e supportando le reti in crisi, peraltro scelte da loro.
Come risolvere il problema?
Andrebbe allora invitato chi più risente della crisi a una revisione del proprio modo di essere agente, sempre che voglia restare stabilmente su questo mercato, mercato che si trasforma di giorno in giorno e vola verso un futuro pieno di innovazioni, ma anche, seppur velatamente, verso una mal celata disintermediazione dettata dall’alto e dalla voglia di cambiamento.
Potrebbe essere anche interessante, tra le piccole agenzie, riflettere su eventuali accorpamenti tra colleghi, con lo scopo di creare economie di scala, concrete, che possano consentire un decoroso tenore di vita senza troppe ansie.
Oggi come oggi, il perdurare di tagli provvigionali a nuovi e vecchi mandati uniti a una concorrenza sempre meno leale, a volte condotta dallo stesso marchio a prezzi quasi dimezzati, sono cose difficili da spiegare all’assicurato, per quanto fidelizzato.

È una concorrenza con regole sempre più tranchant, con l’aggravante che la subisce solo una parte dei soggetti che operano nella distribuzione, mentre altri (più fortunati, più belli?) no. Politica di figli e figliastri docet… Quasi un’ingiustizia distorsiva, e viene spontanea la domanda: da dove ha origine tutto questo?  Forse da un’intrinseca debolezza degli agenti che, determinando l’assenza di un efficace contrappeso, squilibra il sistema? O forse da un’errata impostazione della politica fin qui perseguita dalla categoria agenziale la quale, ponendo eccessiva attenzione al particolare, ha perso di vista l’importanza degli equilibri di rapporto con le imprese dai quali poi, sempre, deriva tutto? Sia come sia, le imprese che operano sul territorio italiano parrebbero dimostrare sempre maggiore mancanza di rispetto nei confronti delle loro reti: rispetto inteso come proficuo metodo di lavoro.
Ed è un grave errore: distruggere un sistema che ha partecipato a fare grandi molte compagnie, per poi doverlo ricostruire, tra un decennio, in pejus, anche per proteggere da questo bailamme i consumatori, non appare impresa facile.

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