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Sanità, le buone intenzioni non bastano

Sanità, le buone intenzioni non bastano hp_vert_img
In Italia la spesa sanitaria arriva a 2.887 euro a persona: un dato ben lontano dai 5.206 euro della Svezia e dai 5.134 euro della Danimarca. Lo rivelano gli ultimi numeri di Eurostat, a conferma di quel noto gap che ha preso così tanto spazio nei dibattiti istituzionali e nella descrizione dell’insufficienza del welfare del nostro Paese. 
La pandemia ha tragicamente aggravato uno scenario già pesante, e ha messo a nudo debolezze e carenze, emergenze e interrogativi sulla gestione della Fase 2 e sul bisogno di riuscire a occuparsi, in futuro, in modo più sistematico ed efficace della salute degli italiani. 
Nel periodo di emergenza, il settore assicurativo, definito come “essenziale” per la popolazione, ha dimostrato il suo ruolo sociale ed economico attraverso una capacità di reazione che si è tradotta in vicinanza al Paese grazie a investimenti concreti, costruzione di strutture sanitarie, messa a disposizione di network sul territorio, ampliamento del raggio di azione delle coperture, e anche bonus sui pagamenti dell’Rc auto. 
Come guardare ora al futuro? Non ripetere gli errori commessi, che stiamo pagando sulla pelle dei cittadini e con conseguenze economiche enormi, significa per l’Italia essere anche in grado di pensare a un modello di welfare che sappia finalmente investire sulla sanità e le potenzialità della ricerca scientifica. La collaborazione tra pubblico e privato, altro refrain che ci ha accompagnato negli ultimi anni, ha bisogno di trovare percorsi concreti, soluzioni utili a tutti noi.
Ma la crisi economica che stiamo affrontando, e di cui ancora non si conoscono esattamente le conseguenze e ancor meno i rimedi, poco spazio potrà lasciare, si teme, a investimenti sulla salute degli italiani. 
Passata l’emergenza sanitaria, in sostanza, il timore è che altre priorità, tra cui naturalmente la tenuta del sistema Paese e il sostegno economico a famiglie e imprese, ricollocherà la sanità in una posizione di secondo piano. 
Serve allora pensare oggi a un programma di interventi che possa fare tesoro di questi mesi per concepire una serie di partnership tra pubblico e privato (ma non solo) capaci di promuovere e sostenere il welfare integrativo. 
Pensiamo a un potenziamento delle polizze collettive e dei fondi sanitari, a un massiccio utilizzo della telemedicina e del teleconsulto, a più ampi programmi di assistenza sanitaria per cittadini, famiglie, anziani. Senza mai perdere di vista anche il trend demografico che coinvolge l’Italia. 
Il post emergenza lascerà anche, nei prossimi mesi, il bisogno di tutti gli italiani di accedere alla sanità per patologie e visite mediche inevitabilmente trascurate in queste settimane. Che ruolo potranno assumere compagnie e intermediari nel soddisfare questi bisogni? Al di là del concetto di emergenza, quanto sarà possibile concretizzare l’ipotesi di una più stretta collaborazione tra pubblico e privato per affermare il valore della prevenzione, della cura, dell’assistenza domiciliare, della ricerca scientifica?
La realtà è che si tratta di una sinergia che può continuare solo con adeguate misure politiche, economiche, volontà di collaborazione e flessibilità regolamentare. Su questo presupposto si apriranno presto nuovi dibattiti che ci auguriamo non restino, anche per il futuro, solo nella sfera delle buone intenzioni. 

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