Danno non patrimoniale
Definisce le lesioni fisiche alla salute, ma comprende anche il peggioramento della qualità della vita, del diritto alla serenità e tranquillità familiare, la compromissione della reputazione, dell’immagine, del proprio nome e della riservatezza
19/04/2023
Per danno non patrimoniale s’intende quella categoria del danno alla persona che delinea il pregiudizio conseguente alla lesione di quegli interessi dell’individuo che non sono connotati da rilevanza economica e si distingue perciò dal danno patrimoniale. In pratica, esso riguarda la vita affettiva, la salute, l’onore e il prestigio della persona e non rileva sulla sua capacità di produrre reddito.
Com’è intuibile, questa categoria di danno è assai più complessa da valutare, perché concerne i pregiudizi subiti dall’integrità dell’individuo in tutti quegli aspetti definiti come dinamico-relazionali, insomma, nel modo di essere dell’individuo stesso all’interno dell’ambiente in cui vive e opera.
Comprende il danno fisico alla salute (sancito dall’articolo 32 della Costituzione) come pure il danno dovuto al peggioramento della qualità della vita, alla lesione del diritto alla serenità e tranquillità familiare (anche questi sanciti dagli articoli 2, 29 e 30 della nostra carta costituzionale), alla reputazione, all’immagine, al nome e anche alla riservatezza.
Si tratta, insomma, dei diritti inviolabili garantiti costituzionalmente e, per questo, tale categoria di danno è tanto rilevante sul piano giuridico, perché il diritto all’integrità psicofisica della persona costituisce per noi un diritto primario e inviolabile.
UN RISARCIMENTO ASSAI COMPLESSO
Le caratteristiche del danno non patrimoniale comportano quindi che il relativo risarcimento sia assai complesso da stabilire e si rende pertanto necessario un tipo di valutazione equitativa da parte della magistratura, ovvero un giudizio operato quando non è possibile applicare precise norme del diritto, allo scopo di ottenere una “compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio” che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa”, condotta “con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione” (Cassazione n. 1361/2014), nella necessità di “ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre” (Cassazione Sezioni Unite n. 26972/2008).
All’interno del danno non patrimoniale distinguiamo diverse voci di danno, delle quali riportiamo di seguito gli esempi più comuni, esclusivamente per esigenze descrittive e per meglio comprenderne le caratteristiche complessive. La Corte di Cassazione è tornata a più riprese sull’argomento, definendo il danno patrimoniale come un “unicum: una singola e inscindibile categoria di danno”.
IL DANNO BIOLOGICO: MICRO E MACRO
Distingueremo quindi il danno biologico, che è la lesione dell’integrità fisica e psichica del soggetto, accertabile a livello medico e, come si è accennato, considerata risarcibile a prescindere dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato.
Al momento, la legge fornisce criteri certi di liquidazione del danno biologico solo nel caso delle cosiddette micropermanenti, ovvero le lesioni che non superano i nove punti d’invalidità. Questo criterio, ad esempio, si applica nell’ambito della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli e nella responsabilità medica.
Per i danni che superano i nove punti di invalidità, definiti macropermanenti, valgono i criteri equitativi cui si è accennato ed è necessario fare riferimento alle tabelle elaborate dai vari tribunali. Tra queste, le più utilizzate per il calcolo del danno biologico sono le tabelle di Milano e quelle di Roma.
IL NODO DELLE TABELLE LIQUIDATIVE
La difficoltà a definire l’ampio numero di elementi che possono contraddistinguere il danno non patrimoniale determinava un forte disallineamento nelle somme da liquidare, attraverso l’intera penisola. La mancanza di certezze sulle cifre da apporre a riserva causava perciò gravi difficoltà, oltre che per i magistrati, anche per i liquidatori e gli esperti sinistri delle compagnie di assicurazione.
Grazie al lavoro svolto dai magistrati e giuristi dell’Osservatorio Giuridico di Milano, al quale si sono allineati molti tribunali in tutta Italia e che ha avuto una funzione d’ispirazione per gli altri tipi di tabelle liquidative (o barème) proposte altrove, oggi è possibile ricorrere a diversi strumenti (esistono anche semplici fogli di calcolo messi a disposizione da istituti specializzati) che permettono di conteggiare l’ammontare da liquidare per questa voce di danno. Ciò rende assai più semplice il lavoro svolto all’interno degli uffici sinistri delle compagnie, ma consente soprattutto di apporre riserve assai più credibili al fine del mantenimento di quel margine di solvibilità che garantisce la sopravvivenza di ogni compagnia assicurativa.
IL DANNO MORALE: OLTRE IL “PATEMA D’ANIMO”
Altra voce di danno riconoscibile all’interno della categoria del danno non patrimoniale è il danno morale. Esso consiste nella sofferenza subita dal soggetto a causa delle lesioni fisiche subite e comprende ansie, sofferenze psichiche, angoscia, stati di afflizione e patemi d’animo in genere.
Questa è la ragione per cui una simile categoria di danno alla persona è riconoscibile nel sistema giuridico statunitense (e in genere in tutti quelli che fanno capo al sistema della common law) sotto il nome di pain and suffering. Con il termine di danno morale (anche detto pretium doloris) si intende risarcire il dolore (non soltanto quello fisico), lo spavento, l’emozione.
Questo tipo di danno non ha a che fare con la lesione del patrimonio della vittima, ma non rientra neppure nel concetto del danno biologico. La Corte di Cassazione ha definito il danno morale quale “patema d’animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico, di natura meramente emotiva e interiore (danno morale soggettivo)”, escludendo che tale formula possa individuare un’autonoma sottocategoria di danno. Tale sofferenza non è “necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo, superando pertanto la tesi che restringeva o limitava la categoria del danno non patrimoniale alla mera figura del cosiddetto danno morale soggettivo transeunte”.
Tornando ancora sulla definizione di danno morale, la Suprema Corte ha sottolineato come esso superi il concetto di mero patema d’animo, ma riguardi anche la “lesione della dignità o integrità morale, massima espressione della dignità umana, assumendo specifico e autonomo rilievo nell’ambito della composita categoria del danno non patrimoniale, anche laddove la sofferenza interiore non degeneri in danno biologico o in danno esistenziale” (Cass. n.1361/2014).
IL DANNO ESISTENZIALE: L’ALTERAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA
Il danno esistenziale trova la propria fonte nella distinzione operata all’articolo 612-bis del codice penale, nel quale vengono distinti due momenti della sofferenza: il dolore interiore (che rientra nel danno morale) e quella significativa alterazione della vita quotidiana, che è appunto definita quale danno esistenziale. Quest’ultimo consiste nella lesione di diritti o interessi dell’individuo diversi dalla salute e riguarda la rinuncia a svolgere attività che non sono economicamente remunerative, ma sono però in grado di fornire alla vittima del fatto dannoso un certo piacere (sono perciò anche dette attività realizzatrici).
Possiamo considerare tali tutte quelle attività attraverso le quali l’individuo realizza la propria felicità, come ad esempio la sua capacità di suonare uno strumento per diletto o di praticare una qualsiasi attività sportiva o di svago. Questa voce di danno è spesso tradotta in inglese come loss of enjoyement of life, il che rende molto l’idea di un danno che colpisca la qualità della vita del danneggiato.
Facciamo l’esempio di una persona che perda l’uso di un braccio. Essa sarà risarcita per il danno patrimoniale che tale perdita rappresenterà per la sua capacità di produrre reddito. Ma come risarcire anche il dispiacere causato dal fatto che, a causa della perdita dell’arto, la stessa non potrà mai più suonare il violino, il che le procurava grande piacere nei momenti liberi? Questa voce di danno, che è anch’essa parte della categoria del danno non patrimoniale, è pensata proprio per tenere conto di tale sconvolgimento occorso nella sua vita, anche se suonare il violino non costituiva per tale persona una fonte di reddito.
È interessante notare come la Cassazione abbia fatto rientrare all’interno di questa voce di danno anche il pregiudizio derivante dalla lesione dei diritti inviolabili dell’uomo provocata dal demansionamento del lavoratore subordinato (Cass. S.U. n. 6572/2006), in quanto forzosa rinuncia allo svolgimento dell’attività praticata e conseguente causa del peggioramento della sfera personale del danneggiato.
LA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE E IL DANNO TANATOLOGICO
Altra voce rientrante nell’ambito del danno non patrimoniale è quella relativa alla perdita del rapporto parentale.
È questo un tipo di danno che sconvolge la sfera degli affetti della vittima, colpendo l’inviolabilità delle attività dell’individuo all’interno della sua famiglia.
Tale diritto è ricollegabile al disposto degli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione ed è proprio questo aspetto che ci permette di collocare anche il danno da perdita del rapporto parentale nell’ampia categoria del danno non patrimoniale. Secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità (ovvero, della Corte di Cassazione), questa voce di danno serve a ristorare il familiare dalla sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare per l’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare: uno sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita.
All’interno del danno non patrimoniale vi è anche il danno da perdita della vita, detto danno tanatologico (dal greco thanatos, cioè morte). Esso si verifica quando la vittima vive con consapevolezza l’imminente fine della propria vita e viene riconosciuto in giurisprudenza solo quando si è potuto accertare che la stessa abbia effettivamente sofferto tale dolore a livello psichico. Se la vittima dovesse invece decedere immediatamente o rimanesse in stato di incoscienza fino alla morte, si presume che essa non riesca ad avvertire questo particolare tipo di sofferenza.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno dapprima stabilito che la sofferenza patita dalla vittima dovesse essere risarcita sotto il profilo del danno morale (sentenza n. 26972/08). In seguito, la Suprema Corte ha riconosciuto il danno da perdita della vita quale bene supremo dell’individuo tutelato dall’art. 2 della Costituzione e voce di danno specifica (sentenza n. 1361/2014).
IL DANNO NON PATRIMONIALE ALLE PERSONE GIURIDICHE
Una menzione a parte merita il danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche (soggetto di diritto costituito da persone fisiche e da beni), inteso come pregiudizio di natura non economica derivante da lesioni di valori inerenti alla persona, riconosciuto però a un soggetto collettivo.
Questo tipo di danno si configura ogni volta che un determinato comportamento incida sulla reputazione e sull’immagine della persona giuridica in esame. L’uniformità della tutela risarcitoria relativa alle lesioni di tipo non patrimoniale fra persone fisiche e giuridiche si riconduce alla sentenza n. 12929/2007 della Suprema Corte di Cassazione.
La Corte Costituzionale ha in seguito stabilito che il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione abbia valenza non patrimoniale e trovi la sua fonte di disciplina nell’art. 2059 del codice civile, in correlazione al disposto dell’articolo 97 della Costituzione stessa.
È dunque previsto anche il danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche, che comprende quei diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, che risultino compatibili con l’assenza di fisicità (come l’esistenza, i diritti all’immagine, alla reputazione, all’identità storica, culturale e politica).
Anche per il danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche, l’onere probatorio grava sul danneggiato, che è tenuto a fornire la prova specifica dei pregiudizi subiti, anche su base presuntiva.
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