Al congresso Sna, fiducia a sorpresa per Demozzi
Disordini e dimissioni all'appuntamento di Bussolengo. Segnato da colpi di scena e un'inaspettata richiesta di fiducia del presidente, che ha diviso l'assemblea. Una due giorni in cui si sono mescolate agitazione e bisogno di prospettive
03/06/2013
Un inizio tranquillo quello del 46° congresso Sna, a Bussolengo, tra colpi di teatro e dimissioni annunciate. Nella tavola rotonda inaugurale tra governo, Ania , Antitrust, il presidente di Cgpa Europa, due professori universitari esperti del settore e il Bipar , abbiamo assistito a un dibattito pieno di contenuti e aspettative, in un clima di generale collaborazione e confronto: un grande passo in avanti se rapportato all'apparente indifferenza dell'ultimo quinquennio. Ma chiusa questa parentesi, iniziano i problemi. Prende avvio il vero congresso, presieduto da Paolo Bullegas unitamente ai due vice presidenti, Eugenia D'Angelo e Emanuele Bardini. Un congresso ordinario e non elettivo, oggetto di critiche per la sua organizzazione: poco tempo a disposizione, troppo scomodo da raggiungere, senza dire che i bene informati, solidali con i malpensanti, hanno invaso di email centinaia di computer, creando, ad arte, presunte opposizioni, che nessuno ha notato, ma che sono state sufficienti per fomentare un clima di tensione.
I sedici mesi di Demozzi
Si apre in quest'atmosfera la relazione del presidente nazionale, Claudio Demozzi, che spiega ai congressisti i sedici mesi del suo operato. L'espressione tirata e il viso stanco lasciano trasparire come il breve tempo trascorso dalla sua elezione, gli abbia sciupato il sorriso, smorzato lo smalto da vincitore e tagliato un po' le ali. Un'impressione in evidente contrasto con la grande slide alle sue spalle che recita volare alto! Mentre parla, stringe tra le mani il programma che lo ha visto diventare presidente; con puntigliosa diligenza chiarisce i risultati ottenuti finora, molti dei quali con un buon consenso della base - uno per tutti, la collaborazione tra intermediari (A con A) - anticipando che altri punti vedranno prossimamente la luce.
È un Demozzi stanco, forse demotivato quello che parla: sorride raramente, è cupo e solo alla fine si fa più incisivo. Precisa che continua a inseguire il suo sogno con il medesimo entusiasmo che aveva all'inizio del suo mandato, ma appare poco convincente. Ammette forti tensioni all'interno del suo esecutivo, che di recente ha registrato le dimissioni del vice presidente vicario, Giancarlo Guidolin , lasciando l'amaro in bocca agli iscritti, tante domande in sospeso considerata la levatura professionale e culturale dell'uomo e l'età, e preoccupazione per l'evidente spaccatura in quella che era stata definita la squadra perfetta in una casa di cristallo.
Bisogno di conferme
Demozzi non entra nel merito dei perché di questa situazione, sorvola un po' su tutto ed evita accuratamente i particolari. Schernendosi, si chiede quale sia la sua peggior colpa: troppo democratico o troppo autoritario? Da politico consumato, accenna a un'espressione contrita e chiede all'assemblea di essere confortato: vuole conferme sul suo operato e la certezza di essere ancora il presidente di tutti. I quasi quattrocento presenti in sala percepiscono bene il suo stress e il bisogno di sostegno. Ci credono e scatta, come per magia, un fragoroso e lungo applauso, con oltre due terzi dei delegati in piedi: una vera standing ovation che ha lo scopo di rassicurarlo da presunti, quanto apparentemente inesistenti, attacchi alla sua presidenza. Ma non è sufficiente. Con un colpo da teatro, Demozzi chiede gli venga formalmente rinnovata la fiducia. E a questo punto succede di tutto.
Un'assemblea divisa
In modo scomposto, i congressisti, convinti di aver confortato a sufficienza il presidente, si dividono tra sostenitori della nuova inaspettata richiesta e perplessi, anche sul piano meramente statutario. Si ritiene possa venire esautorato il confronto democratico, procrastinando all'infinito la possibilità di conoscere il pensiero dei congressisti: il dibattito sulla relazione dovrebbe avvenire prima di un possibile voto di fiducia al presidente in carica, ma solo se richiesto dai congressisti, non certo dall'interessato. Dopo, che significato avrebbe?
A questo punto, il presidente del congresso, Paolo Bullegas, tenta di arginare il caos, ma con poco successo. Chiama a supporto i due sindaci presenti, Carfagna e Risolo, i quali, senza molto riflettere, consentono al presidente di auto sfiduciarsi, in piena antitesi con il dettato dello statuto (art. 21 e 31), mentre da più parti si tenta di spiegare che la strada maestra sarebbero state le dimissioni, per poi procedere alla prova di una nuova investitura. I problemi di Bullegas si aggravano quando, presa per buona la decisione dei sindaci, si vede rassegnare le dimissioni, per protesta, dai suoi due vice presidenti che, a questo punto, devono essere sostituiti. Si cercano due volontari e al ruolo si offrono Tiziana Belotti e Antonio Camani. Ricomposto l'ufficio di presidenza del congresso, viene presentata una mozione per chiedere all'assemblea di esprimersi se votare la fiducia prima o dopo il dibattito. A stragrande maggioranza passa la decisione sul voto immediato, con buona pace della coerenza. Dopo questo iter scomposto, che ruba al dibattito dei delegati oltre due ore, si va al voto: il conforto al presidente nazionale viene misurato con i seguenti numeri: 226 si; 30 no ; 57 astenuti . All'appello mancano oltre settanta persone, uscite dalla sala inferocite.
Imperversano le dimissioni
Finita la bagarre, prende corpo il dibattito che inizia di mala voglia, ma poi la passione riaccende gli animi. Molti gli interventi positivi a sostegno di un presidente ritenuto bravo, preparato e infaticabile, anche se con qualche difetto. Altri, pur riconoscendogli dei meriti, si incanalano su interventi aspri, critici e poco costruttivi. Infine, la parola passa a due componenti dell'esecutivo nazionale, che rassegnano pubblicamente le dimissioni, mentre un terzo le consegna nelle mani del presidente Demozzi. Salgono, quindi, a quattro i componenti dell' Esecutivo Nazionale che lasciano l'incarico (un dato che fa riflettere): Claudio Prandi, lucido, amareggiato e durissimo, che denuncia fatti e misfatti, da nessuno smentiti; Giorgia Pellegrini, vice presidente nazionale, la cui amarezza e delusione trapela da un'espressione stravolta e da un tono fermo e drammatico, che spiega dettagliatamente i molti perché della sofferta decisione di lasciare il suo incarico, decisione che ha tentato invano di portare a termine per ben tre volte, ma sempre respinta. In coda a questo baillame , cerca di darne giustificazione un maldestro componente di esecutivo, Soravia, facendo indispettire la sala, che rumoreggia, peggiorando la situazione. Mala tempora currunt.
In definitiva, quindi, una cronaca non idilliaca, nonostante gli interventi di grande spessore. Alle 13 di sabato primo giugno si cala il sipario sul 46° congresso. Si spengono le luci e si accendono le speranze: occupare i nuovi spazi, le quattro poltrone lasciate libere dai dimissionari.
L'amarezza del presidente
La palla passa nuovamente al presidente Sna, Claudio Demozzi che, a congresso chiuso, dichiara: soddisfazione per la categoria che ha espresso attraverso il voto di fiducia largamente maggioritario piena condivisione alla nostra linea politica, ma amarezza per alcune posizioni personali che hanno oltrepassato il confine della critica costruttiva, per invadere quello del discredito nei confronti dei singoli esponenti sindacali. Non è questo lo spirito con il quale un dirigente deve avvicinarsi all'appuntamento congressuale di medio termine. Tuttavia, lo spirito costruttivo, di appartenenza, di confronto, ha avuto comunque il sopravvento e credo che questa rinnovata fiducia della base, nei confronti della squadra dell'Esecutivo Nazionale e della mia presidenza, ci permetterà di affrontare con determinazione e con maggiore forza i prossimi appuntamenti, fondamentali per il nostro futuro. Ringrazio tutti i delegati e i presidenti provinciali che hanno partecipato ai lavori, nonché l'impeccabile macchina organizzativa Sna".
I sedici mesi di Demozzi
Si apre in quest'atmosfera la relazione del presidente nazionale, Claudio Demozzi, che spiega ai congressisti i sedici mesi del suo operato. L'espressione tirata e il viso stanco lasciano trasparire come il breve tempo trascorso dalla sua elezione, gli abbia sciupato il sorriso, smorzato lo smalto da vincitore e tagliato un po' le ali. Un'impressione in evidente contrasto con la grande slide alle sue spalle che recita volare alto! Mentre parla, stringe tra le mani il programma che lo ha visto diventare presidente; con puntigliosa diligenza chiarisce i risultati ottenuti finora, molti dei quali con un buon consenso della base - uno per tutti, la collaborazione tra intermediari (A con A) - anticipando che altri punti vedranno prossimamente la luce.
È un Demozzi stanco, forse demotivato quello che parla: sorride raramente, è cupo e solo alla fine si fa più incisivo. Precisa che continua a inseguire il suo sogno con il medesimo entusiasmo che aveva all'inizio del suo mandato, ma appare poco convincente. Ammette forti tensioni all'interno del suo esecutivo, che di recente ha registrato le dimissioni del vice presidente vicario, Giancarlo Guidolin , lasciando l'amaro in bocca agli iscritti, tante domande in sospeso considerata la levatura professionale e culturale dell'uomo e l'età, e preoccupazione per l'evidente spaccatura in quella che era stata definita la squadra perfetta in una casa di cristallo.
Bisogno di conferme
Demozzi non entra nel merito dei perché di questa situazione, sorvola un po' su tutto ed evita accuratamente i particolari. Schernendosi, si chiede quale sia la sua peggior colpa: troppo democratico o troppo autoritario? Da politico consumato, accenna a un'espressione contrita e chiede all'assemblea di essere confortato: vuole conferme sul suo operato e la certezza di essere ancora il presidente di tutti. I quasi quattrocento presenti in sala percepiscono bene il suo stress e il bisogno di sostegno. Ci credono e scatta, come per magia, un fragoroso e lungo applauso, con oltre due terzi dei delegati in piedi: una vera standing ovation che ha lo scopo di rassicurarlo da presunti, quanto apparentemente inesistenti, attacchi alla sua presidenza. Ma non è sufficiente. Con un colpo da teatro, Demozzi chiede gli venga formalmente rinnovata la fiducia. E a questo punto succede di tutto.
Un'assemblea divisa
In modo scomposto, i congressisti, convinti di aver confortato a sufficienza il presidente, si dividono tra sostenitori della nuova inaspettata richiesta e perplessi, anche sul piano meramente statutario. Si ritiene possa venire esautorato il confronto democratico, procrastinando all'infinito la possibilità di conoscere il pensiero dei congressisti: il dibattito sulla relazione dovrebbe avvenire prima di un possibile voto di fiducia al presidente in carica, ma solo se richiesto dai congressisti, non certo dall'interessato. Dopo, che significato avrebbe?
A questo punto, il presidente del congresso, Paolo Bullegas, tenta di arginare il caos, ma con poco successo. Chiama a supporto i due sindaci presenti, Carfagna e Risolo, i quali, senza molto riflettere, consentono al presidente di auto sfiduciarsi, in piena antitesi con il dettato dello statuto (art. 21 e 31), mentre da più parti si tenta di spiegare che la strada maestra sarebbero state le dimissioni, per poi procedere alla prova di una nuova investitura. I problemi di Bullegas si aggravano quando, presa per buona la decisione dei sindaci, si vede rassegnare le dimissioni, per protesta, dai suoi due vice presidenti che, a questo punto, devono essere sostituiti. Si cercano due volontari e al ruolo si offrono Tiziana Belotti e Antonio Camani. Ricomposto l'ufficio di presidenza del congresso, viene presentata una mozione per chiedere all'assemblea di esprimersi se votare la fiducia prima o dopo il dibattito. A stragrande maggioranza passa la decisione sul voto immediato, con buona pace della coerenza. Dopo questo iter scomposto, che ruba al dibattito dei delegati oltre due ore, si va al voto: il conforto al presidente nazionale viene misurato con i seguenti numeri: 226 si; 30 no ; 57 astenuti . All'appello mancano oltre settanta persone, uscite dalla sala inferocite.
Imperversano le dimissioni
Finita la bagarre, prende corpo il dibattito che inizia di mala voglia, ma poi la passione riaccende gli animi. Molti gli interventi positivi a sostegno di un presidente ritenuto bravo, preparato e infaticabile, anche se con qualche difetto. Altri, pur riconoscendogli dei meriti, si incanalano su interventi aspri, critici e poco costruttivi. Infine, la parola passa a due componenti dell'esecutivo nazionale, che rassegnano pubblicamente le dimissioni, mentre un terzo le consegna nelle mani del presidente Demozzi. Salgono, quindi, a quattro i componenti dell' Esecutivo Nazionale che lasciano l'incarico (un dato che fa riflettere): Claudio Prandi, lucido, amareggiato e durissimo, che denuncia fatti e misfatti, da nessuno smentiti; Giorgia Pellegrini, vice presidente nazionale, la cui amarezza e delusione trapela da un'espressione stravolta e da un tono fermo e drammatico, che spiega dettagliatamente i molti perché della sofferta decisione di lasciare il suo incarico, decisione che ha tentato invano di portare a termine per ben tre volte, ma sempre respinta. In coda a questo baillame , cerca di darne giustificazione un maldestro componente di esecutivo, Soravia, facendo indispettire la sala, che rumoreggia, peggiorando la situazione. Mala tempora currunt.
In definitiva, quindi, una cronaca non idilliaca, nonostante gli interventi di grande spessore. Alle 13 di sabato primo giugno si cala il sipario sul 46° congresso. Si spengono le luci e si accendono le speranze: occupare i nuovi spazi, le quattro poltrone lasciate libere dai dimissionari.
L'amarezza del presidente
La palla passa nuovamente al presidente Sna, Claudio Demozzi che, a congresso chiuso, dichiara: soddisfazione per la categoria che ha espresso attraverso il voto di fiducia largamente maggioritario piena condivisione alla nostra linea politica, ma amarezza per alcune posizioni personali che hanno oltrepassato il confine della critica costruttiva, per invadere quello del discredito nei confronti dei singoli esponenti sindacali. Non è questo lo spirito con il quale un dirigente deve avvicinarsi all'appuntamento congressuale di medio termine. Tuttavia, lo spirito costruttivo, di appartenenza, di confronto, ha avuto comunque il sopravvento e credo che questa rinnovata fiducia della base, nei confronti della squadra dell'Esecutivo Nazionale e della mia presidenza, ci permetterà di affrontare con determinazione e con maggiore forza i prossimi appuntamenti, fondamentali per il nostro futuro. Ringrazio tutti i delegati e i presidenti provinciali che hanno partecipato ai lavori, nonché l'impeccabile macchina organizzativa Sna".
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