Welfare complementare, una chance che l'Italia deve cogliere
Pensioni e salute sono due voci che rappresentano una situazione esplosiva per i conti dello Stato. In che modo le forme integrative possono aiutare a salvare il sistema? Se ne è parlato ieri a Milano, in un convegno organizzato da Itinerari previdenziali e Liuc - Università Cattaneo
18/07/2013
Pensioni e sanità. Il più delle volte, quando in Italia si citano queste due parole è sempre per accostarle a vocaboli come preoccupazione, allarme, collasso, condite da una raffica di dati poco rassicuranti sulla sostenibilità del sistema come attualmente è delineato. Praticamente unanime è la convinzione in merito alla necessità di una riforma urgente del sistema del welfare pubblico. Per questo motivo è sempre più forte la consapevolezza che l'assistenza complementare possa (e debba) venire in soccorso di una realtà sempre più prossima al collasso. Di più: può rappresentare un vantaggio competitivo per l'Italia. È nel segno di questa prospettiva che ha preso le mosse il convegno Welfare complementare: una risorsa per il Paese, svoltosi ieri pomeriggio a Milano e organizzato da Itinerari Previdenziali e da Liuc - Università Cattaneo di Castellanza.
In Italia si spende quanto altrove, ma peggio
Uno dei primi problemi da affrontare è quello di rimuovere un ostacolo culturale tutto italiano, che riguarda l'informazione su un tema che, per sua rilevanza, dovrebbe essere tra le priorità di uno Stato, come sottolinea il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, che conferma ancora una volta l'invio a breve, da parte dell'istituto, della cosiddetta busta arancione (strumento già sperimentato nel corso dell'ultima edizione della Giornata nazionale della previdenza), informativa con all'interno le posizioni previdenziali degli iscritti. La necessità di un'adeguata informazione, non solo sulle proprie posizioni, ma nel complesso del tema del welfare, si fa ancora più forte nell'attuale situazione di pesante crisi, che sembra creare una notevole confusione tra gli attori politici, al punto che qualcuno mette addirittura in discussione il pilastro privatistico, collettivo o individuale, dei sistemi pensionistici, sanitari e assistenziali. Proprio per questo diviene indispensabile discuterne con il Governo, le rappresentanze sociali e i responsabili delle forme integrative e complementari", sottolinea il professor Alberto Brambilla, direttore del master M.a.p.a (giunto ormai all'undicesima edizione) e presidente del comitato tecnico di Itinerari previdenziali. "Nel 2011 - ricorda Brambilla - la spesa relativa al welfare pubblico è costata allo Stato circa 801 miliardi di euro, pesando per il 52,76% sulla spesa complessiva. Si può fare spending review su una voce che rappresenta la metà della spesa della collettività?", chiede Brambilla, sottolineando come "il problema deve essere affrontato attraverso una riorganizzazione dello Stato". La complessità del problema, legato alla specificità italiana, è ulteriormente rimarcata da Laura Crescentini, attuario e coordinatore tecnico di Assoprevidenza, che evidenzia come la spesa sanitaria in Italia non sia più elevata di tanti altri Paesi europei. "Il problema non è la spesa in sé, ma la sua organizzazione. Esiste una rilevante spesa privata, non organizzata - ricorda - e in questo il ruolo dei fondi sanitari potrebbe diventare importantissimo perché andrebbe a organicità a questo dispendio di risorse". Per questo è necessario "un completamento del quadro normativo, che promuova la creazione di un welfare integrato, superando la logica dei comparti separati attraverso la collaborazione pubblico/privato".
Una migliore sinergia pubblico/privato, mossa su binari paralleli
Del resto, anche se in forma minore rispetto al passato, la previdenza complementare continua a crescere: nel primo trimestre del 2013 ha registrato un avanzamento, facendo registrare l'1,4% di iscritti in più. Un dato che, osserva Rino Tarelli, commissario Covip, "ci fa sfiorare i sei milioni di iscritti". Secondo Tarelli, per arrivare a un vero welfare complementare, "serve un progetto sottostante, che si muova attraverso l'informazione presso i cittadini, e che mostri come il sistema sia ormai profondamente cambiato negli ultimi anni: pubblico e privato devono viaggiare su due binari paralleli". Delle peculiarità della situazione italiana è a conoscenza anche l'Ocse, che ha fornito una lista raccomandazioni, come ricorda Andrea Lesca, direttore del Corso di Alta formazione universitaria in Istituzioni e gestione delle forme di Assistenza sanitaria pubblica e integrativa. Tra queste ci sono quella di "incoraggiare l'adesione ai fondi pensione, aumentare gli incentivi al risparmio previdenziale, promuovere strumenti con costi contenuti, e l'offerta di rendite, olte ad assicurare un'informazione e una comunicazione efficiente e appropriata", spiega Lesca. In questo contesto emerge con forza anche il ruolo delle assicurazioni, come sottolinea l'avvocato Maurizio Hazan, direttore del corso in Diritto e Tecnica delle Assicurazioni. "Bisogna ripensare l'assicurazione in funzione delle sue nuove potenzialità, ripartendo dalla sua originale funzione, che è quella della protezione", ricorda Hazan, secondo il quale "occorre educare, oltre che i cittadini, anche
gli stessi intermediari, che devono diventare dei profondi conoscitori della materia, che per le sue specificità è molto complessa".
L'insostenibile spesa pubblica per la salute
Quello di dover aumentare il livello di copertura è una necessità molto urgente anche secondo il direttore dell'Ania, Dario Focarelli, che osserva come "fino a ora si è cercato di risolvere il problema riducendo la prestazione. Ma quella della sanità è una vera bomba che minaccia di esplodere, travolgendo i conti pubblici. Il problema - spiega Focarelli - si può risolvere segmentando la copertura pubblica e privata, magari ispirandoci a un modello di successo come quello francese". La pesantezza della spesa sanitaria viene evidenziata ulteriormente dall'intervento dell'on. Mauro Mantovani, vice presidente della Regione Lombardia e assessore regionale alla Salute, che ricorda come "su un totale di spesa pubblica regionale pari a 18 miliardi, l'80% è occupato dalle spese sanitarie; di questa percentuale, il 70% riguarda la cura delle cronicità". Anche Mantovani invita pertanto a riflettere su come vada ripensato il sistema. "Perseguire il tema della questione dell'integrazione previdenziale - ha concluso Mantovani - è fondamentale: bisogna guardare anche a una forma non solo pensionistica, ma integrativa pure sul piano della salute".
In Italia si spende quanto altrove, ma peggio
Uno dei primi problemi da affrontare è quello di rimuovere un ostacolo culturale tutto italiano, che riguarda l'informazione su un tema che, per sua rilevanza, dovrebbe essere tra le priorità di uno Stato, come sottolinea il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori, che conferma ancora una volta l'invio a breve, da parte dell'istituto, della cosiddetta busta arancione (strumento già sperimentato nel corso dell'ultima edizione della Giornata nazionale della previdenza), informativa con all'interno le posizioni previdenziali degli iscritti. La necessità di un'adeguata informazione, non solo sulle proprie posizioni, ma nel complesso del tema del welfare, si fa ancora più forte nell'attuale situazione di pesante crisi, che sembra creare una notevole confusione tra gli attori politici, al punto che qualcuno mette addirittura in discussione il pilastro privatistico, collettivo o individuale, dei sistemi pensionistici, sanitari e assistenziali. Proprio per questo diviene indispensabile discuterne con il Governo, le rappresentanze sociali e i responsabili delle forme integrative e complementari", sottolinea il professor Alberto Brambilla, direttore del master M.a.p.a (giunto ormai all'undicesima edizione) e presidente del comitato tecnico di Itinerari previdenziali. "Nel 2011 - ricorda Brambilla - la spesa relativa al welfare pubblico è costata allo Stato circa 801 miliardi di euro, pesando per il 52,76% sulla spesa complessiva. Si può fare spending review su una voce che rappresenta la metà della spesa della collettività?", chiede Brambilla, sottolineando come "il problema deve essere affrontato attraverso una riorganizzazione dello Stato". La complessità del problema, legato alla specificità italiana, è ulteriormente rimarcata da Laura Crescentini, attuario e coordinatore tecnico di Assoprevidenza, che evidenzia come la spesa sanitaria in Italia non sia più elevata di tanti altri Paesi europei. "Il problema non è la spesa in sé, ma la sua organizzazione. Esiste una rilevante spesa privata, non organizzata - ricorda - e in questo il ruolo dei fondi sanitari potrebbe diventare importantissimo perché andrebbe a organicità a questo dispendio di risorse". Per questo è necessario "un completamento del quadro normativo, che promuova la creazione di un welfare integrato, superando la logica dei comparti separati attraverso la collaborazione pubblico/privato".
Una migliore sinergia pubblico/privato, mossa su binari paralleli
Del resto, anche se in forma minore rispetto al passato, la previdenza complementare continua a crescere: nel primo trimestre del 2013 ha registrato un avanzamento, facendo registrare l'1,4% di iscritti in più. Un dato che, osserva Rino Tarelli, commissario Covip, "ci fa sfiorare i sei milioni di iscritti". Secondo Tarelli, per arrivare a un vero welfare complementare, "serve un progetto sottostante, che si muova attraverso l'informazione presso i cittadini, e che mostri come il sistema sia ormai profondamente cambiato negli ultimi anni: pubblico e privato devono viaggiare su due binari paralleli". Delle peculiarità della situazione italiana è a conoscenza anche l'Ocse, che ha fornito una lista raccomandazioni, come ricorda Andrea Lesca, direttore del Corso di Alta formazione universitaria in Istituzioni e gestione delle forme di Assistenza sanitaria pubblica e integrativa. Tra queste ci sono quella di "incoraggiare l'adesione ai fondi pensione, aumentare gli incentivi al risparmio previdenziale, promuovere strumenti con costi contenuti, e l'offerta di rendite, olte ad assicurare un'informazione e una comunicazione efficiente e appropriata", spiega Lesca. In questo contesto emerge con forza anche il ruolo delle assicurazioni, come sottolinea l'avvocato Maurizio Hazan, direttore del corso in Diritto e Tecnica delle Assicurazioni. "Bisogna ripensare l'assicurazione in funzione delle sue nuove potenzialità, ripartendo dalla sua originale funzione, che è quella della protezione", ricorda Hazan, secondo il quale "occorre educare, oltre che i cittadini, anche
gli stessi intermediari, che devono diventare dei profondi conoscitori della materia, che per le sue specificità è molto complessa".
L'insostenibile spesa pubblica per la salute
Quello di dover aumentare il livello di copertura è una necessità molto urgente anche secondo il direttore dell'Ania, Dario Focarelli, che osserva come "fino a ora si è cercato di risolvere il problema riducendo la prestazione. Ma quella della sanità è una vera bomba che minaccia di esplodere, travolgendo i conti pubblici. Il problema - spiega Focarelli - si può risolvere segmentando la copertura pubblica e privata, magari ispirandoci a un modello di successo come quello francese". La pesantezza della spesa sanitaria viene evidenziata ulteriormente dall'intervento dell'on. Mauro Mantovani, vice presidente della Regione Lombardia e assessore regionale alla Salute, che ricorda come "su un totale di spesa pubblica regionale pari a 18 miliardi, l'80% è occupato dalle spese sanitarie; di questa percentuale, il 70% riguarda la cura delle cronicità". Anche Mantovani invita pertanto a riflettere su come vada ripensato il sistema. "Perseguire il tema della questione dell'integrazione previdenziale - ha concluso Mantovani - è fondamentale: bisogna guardare anche a una forma non solo pensionistica, ma integrativa pure sul piano della salute".
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