Paure e desideri dei lavoratori
Un’indagine realizzata a livello globale da Zurich con l’Università di Oxford fotografa le ansie e le esigenze degli occupati, tra lavoro flessibile e indebolimento del welfare pubblico
21/06/2019
Quali sono le nuove paure dei lavoratori? Quali le necessità di cui sentono il bisogno? In un periodo storico di profondi cambiamenti, prova a far luce su questi temi un’indagine realizzata dal gruppo Zurich in collaborazione con l’università di Oxford, intitolata 2019 Agile workforce protection. Lo studio ha coinvolto 16mila persone lavorativamente attive (fra i 20 e i 70 anni) in 15 Paesi, facendo emergere alcune conferme e nuove tendenze.
Tecnologia, tra attrazione e timore
La prima evidenza riguarda la tecnologia, che aiuta nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma crea ansia e vulnerabilità per il futuro professionale. Per maggioranza dei lavoratori intervistati (54%), il proprio lavoro è migliore rispetto a 15 anni fa grazie all’impatto della tecnologia. Solo uno su quattro (23%), pensa invece che il progresso tecnologico abbia condotto a un peggioramento. I più ottimisti sono Brasile, Spagna ed Emirati Arabi Uniti. L’Italia è fuori dal coro: il 61% degli intervistati italiani ritiene che la tecnologia abbia impattato sul proprio lavoro in maniera negativa. Su questo risultato hanno probabilmente inciso il peggioramento complessivo del mercato del lavoro degli ultimi anni e la mancanza di prospettive. Inoltre, ben quattro italiani su dieci temono che la tecnologia li sostituirà nei prossimi cinque anni.
La maggior parte dei lavoratori a livello globale ha un solo lavoro (92%), ma aumenta la probabilità di doversi trovare un secondo lavoro, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone.
In Italia, l’8% dei lavoratori dipendenti ha più di un lavoro, valore che sale al 21% tra le partite Iva e al 23% tra i lavoratori occasionali. Il numero dei freelance o dei lavoratori a progetto è ormai in linea con i numeri globali (13%) e aumenterò nei prossimi cinque anni. Si tratta di lavoratori non tradizionali con minore possibilità di accedere alla protezione sociale che dovranno colmare questo gap.
L’Italia, un tempo terra di risparmiatori
Dallo studio, inoltre, emerge una diminuzione della capacità di risparmio e un aumento delle preoccupazioni finanziarie: solo il 60% dei lavoratori globali ha dichiarato di aver risparmiato nel 2018. Il Giappone è il paese più virtuoso (70%), seguito da Germania (69%), Spagna (67%) e Australia (66%). E l’Italia pare non essere più un Paese di risparmiatori: meno della metà (48%) degli intervistati, infatti, ha dichiarato di essere riuscito a mettere da parte qualcosa nell’ultimo anno.
La pensione è la principale preoccupazione per tutte le classi di età dei lavoratori (circa il 44%). Per la fascia più giovane (20-29 anni) l’incapacità di riuscire a pagare le bollette a fine mese è una paura molto forte (34%). Nel nostro Paese, la preoccupazione legata al potersi garantire una certa serenità in età pensionabile è di gran lunga la più sentita: più di un su due avverte questa paura, alla quale si aggiunge quella di dover gravare su amici e familiari (21%).
Long term care, queste sconosciute
La consapevolezza e l’adozione degli strumenti di protezione è ancora bassa. A livello globale, la conoscenza dei prodotti assicurativi di protezione si conferma bassa e, di conseguenza, anche la propensione alla sottoscrizione rimane limitata su tutte le forme di copertura, esclusa la previdenza complementare. Gli italiani si collocano all’interno della media globale con una marcata impreparazione sui prodotti di protezione del reddito, invalidità e Long term care. A livello di sottoscrizione, la penetrazione nel mercato italiano di prodotti di copertura da perdita di reddito, invalidità e malattie gravi inferiore del 10%.
Tre azioni da mettere in campo
La ricerca, infine, suggerisce alcune azioni da mettere in campo. Privati e aziende si dovrebbero muovere su tre assi. In primis servirebbe un intervento cross-generazionale. “I nonni e i genitori, che hanno goduto di un supporto in termini di welfare quasi unico nei principali Paesi europei, potrebbero supportare i lavoratori più giovani con forme di contribuzione compensativa”, si legge nello studio. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare per aumentare la consapevolezza. “Gli italiani iniziano a comprendere di avere un deficit di copertura, ma faticano a passare all’azione con strumenti di protezione adeguati”. Infine, assicurazioni, aziende e privati dovrebbero lavorare insieme in modo sempre più sinergico “per offrire strumenti e servizi che rispondano alle pressanti esigenze di un mondo in rapida trasformazione, soprattutto in una fase di indebolimento dell’intervento pubblico”.
Tecnologia, tra attrazione e timore
La prima evidenza riguarda la tecnologia, che aiuta nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma crea ansia e vulnerabilità per il futuro professionale. Per maggioranza dei lavoratori intervistati (54%), il proprio lavoro è migliore rispetto a 15 anni fa grazie all’impatto della tecnologia. Solo uno su quattro (23%), pensa invece che il progresso tecnologico abbia condotto a un peggioramento. I più ottimisti sono Brasile, Spagna ed Emirati Arabi Uniti. L’Italia è fuori dal coro: il 61% degli intervistati italiani ritiene che la tecnologia abbia impattato sul proprio lavoro in maniera negativa. Su questo risultato hanno probabilmente inciso il peggioramento complessivo del mercato del lavoro degli ultimi anni e la mancanza di prospettive. Inoltre, ben quattro italiani su dieci temono che la tecnologia li sostituirà nei prossimi cinque anni.
La maggior parte dei lavoratori a livello globale ha un solo lavoro (92%), ma aumenta la probabilità di doversi trovare un secondo lavoro, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone.
In Italia, l’8% dei lavoratori dipendenti ha più di un lavoro, valore che sale al 21% tra le partite Iva e al 23% tra i lavoratori occasionali. Il numero dei freelance o dei lavoratori a progetto è ormai in linea con i numeri globali (13%) e aumenterò nei prossimi cinque anni. Si tratta di lavoratori non tradizionali con minore possibilità di accedere alla protezione sociale che dovranno colmare questo gap.
L’Italia, un tempo terra di risparmiatori
Dallo studio, inoltre, emerge una diminuzione della capacità di risparmio e un aumento delle preoccupazioni finanziarie: solo il 60% dei lavoratori globali ha dichiarato di aver risparmiato nel 2018. Il Giappone è il paese più virtuoso (70%), seguito da Germania (69%), Spagna (67%) e Australia (66%). E l’Italia pare non essere più un Paese di risparmiatori: meno della metà (48%) degli intervistati, infatti, ha dichiarato di essere riuscito a mettere da parte qualcosa nell’ultimo anno.
La pensione è la principale preoccupazione per tutte le classi di età dei lavoratori (circa il 44%). Per la fascia più giovane (20-29 anni) l’incapacità di riuscire a pagare le bollette a fine mese è una paura molto forte (34%). Nel nostro Paese, la preoccupazione legata al potersi garantire una certa serenità in età pensionabile è di gran lunga la più sentita: più di un su due avverte questa paura, alla quale si aggiunge quella di dover gravare su amici e familiari (21%).
Long term care, queste sconosciute
La consapevolezza e l’adozione degli strumenti di protezione è ancora bassa. A livello globale, la conoscenza dei prodotti assicurativi di protezione si conferma bassa e, di conseguenza, anche la propensione alla sottoscrizione rimane limitata su tutte le forme di copertura, esclusa la previdenza complementare. Gli italiani si collocano all’interno della media globale con una marcata impreparazione sui prodotti di protezione del reddito, invalidità e Long term care. A livello di sottoscrizione, la penetrazione nel mercato italiano di prodotti di copertura da perdita di reddito, invalidità e malattie gravi inferiore del 10%.
Tre azioni da mettere in campo
La ricerca, infine, suggerisce alcune azioni da mettere in campo. Privati e aziende si dovrebbero muovere su tre assi. In primis servirebbe un intervento cross-generazionale. “I nonni e i genitori, che hanno goduto di un supporto in termini di welfare quasi unico nei principali Paesi europei, potrebbero supportare i lavoratori più giovani con forme di contribuzione compensativa”, si legge nello studio. In secondo luogo, bisognerebbe lavorare per aumentare la consapevolezza. “Gli italiani iniziano a comprendere di avere un deficit di copertura, ma faticano a passare all’azione con strumenti di protezione adeguati”. Infine, assicurazioni, aziende e privati dovrebbero lavorare insieme in modo sempre più sinergico “per offrire strumenti e servizi che rispondano alle pressanti esigenze di un mondo in rapida trasformazione, soprattutto in una fase di indebolimento dell’intervento pubblico”.
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