Le resistenze del diritto vivente: torna il dibattito sulle lesioni micro-permanenti
Una sentenza della Cassazione del 19 gennaio scorso, farraginosa e un po’ contraddittoria, rimette al centro il tema della risarcibilità dei colpi di frusta. Il commento dell’avvocato Maurizio Hazan
Non credevamo davvero che dopo il recente intervento del legislatore sul tema (legge annuale sulla concorrenza 124 del 2017) potessero residuare ancora spazi per nuove e libere interpretazioni dell’articolo 139 del Codice delle assicurazioni.
Per quanto il diritto positivo possa talvolta distorcersi tra le mani di chi è chiamato ad applicarlo, non ci pareva possibile che la regola del necessario accertamento clinico strumentale obiettivo, quale presupposto di risarcibilità del danno biologico permanente da lesioni di lieve entità, potesse esser nuovamente messa in discussione.
Ben al contrario pensavamo (e per la per verità continuiamo a pensare) che l’ultima e così chiara rimodulazione della norma (nell’ambito di una più generale rivisitazione del blocco dispositivo dedicato al danno biologico nella Rc auto) avesse posto davvero la parola fine al dibattito alimentato dai sostenitori della teoria della natura non autenticamente precettiva di quella regola: regola che, secondo tali voci dissonanti, non avrebbe affatto imposto un nuovo filtro probatorio (leggasi: l’accertamento strumentale della lesioni) ma, tutt’al contrario, si sarebbe limitata a richiamare in modo “esortativo o raccomandativo” il rispetto delle leges artis nella valutazione del singolo caso. Si trattava di una teoria ovviamente caldeggiata da tutti i (numerosissimi ed eterogenei) portatori di un preciso interesse al salvataggio dell’industria del colpo di frusta, obiettivamente messa in crisi a far tempo della riforma introdotta con la legge 27 del 2012.
UN RITORNO AL PASSATO (RECENTE)
Ora, l’idea che un precetto di legge vada inteso come mera raccomandazione (e non invece in senso tautologicamente precettivo) risulta, intuitivamente, non convincente; ciò non di meno la legge 124 del 2017 ha comunque voluto fugare ogni dubbio al riguardo, quasi a rispondere expressis verbis alle tendenze eversive espresse da una certa giurisprudenza, troppo spesso incline a disapplicare tout court la legge (anziché interpretarla in modo utile ed evolutivamente orientato al continuo rimodularsi dei contesti sociali entro cui si cala).
Né si dimentichi il fatto che la legge sulla concorrenza trovava terreno fertile, potendosi appoggiare sulla inequivocabile presa di posizione assunta dalla Consulta sul tema (ordinanza 242 del 21 ottobre 2015). Insomma, vi erano tutti i presupposti affinché il diritto positivo, nella sua interpretazione letterale e razionale, si affermasse senza ulteriori tentennamenti.
E invece eccoci innanzi ad un’altra pagina grigia scritta da una Suprema Corte, che sembra dimostrare una allergica refrattarietà alle indicazioni legislative, quasi a voler riaffermare una sorta di (dubitevole) supremazia del diritto vivente su quello vigente. Sull’onda di tale pronuncia, naturalmente, si rialzano gli scudi dei fautori del ritorno al passato, o meglio, a quel passato in cui il colpo di frusta rappresentava una sorta d’indennizzo sociale obbligatorio e automatico.
LA NUOVA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Stiamo dunque parlando della sentenza 1272 del 19 gennaio 2018, con cui la Cassazione riaffronta la questione fornendo un’interpretazione dell’articolo 139 del tutto asistematica e anzi antitetica rispetto alle chiare indicazioni testuali offerte dal legislatore, a maggior ragione dopo l’ultima riforma settoriale della materia. Non ci troviamo, mi sia concesso dirlo, innanzi a una pronuncia memorabile, già sul piano della sua fattura testuale, un poco farraginosa e spesso contraddittoria.
Ebbene, secondo la sentenza in commento, la regola dell’accertamento clinico strumentale obiettivo, a dispetto della sua eloquenza, non potrebbe essere intesa “nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”. Al contrario, sarebbe soltanto l’accertamento medico legale, da svolgersi nel rispetto delle leges artis, a dover presiedere ogni valutazione accertativa senza, peraltro dover essere “imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza”.
E dunque la norma positiva (leggasi, l’articolo 139 nella parte in cui prescrive quelle regole strumentali) non andrebbe interpretata in modo stringente, “bensì nel senso, come detto, di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede. Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta”. E di fronte a un consimile caso (distorsione del rachide) il Ctu non potrebbe limitarsi ad accertare la lesione “sulla base del dato puro e semplice, e in sostanza non verificabile, del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al Ctu, fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell'esperienza clinica dello specialista…” .
CAPOVOLGIMENTO DELLA LEGGE
In sostanza, l’accertamento strumentale non costituirebbe di per sé condizione di risarcibilità del danno biologico permanente di lieve entità (in assenza del quale il medico legale potrebbe soltanto occuparsi del danno temporaneo) ma rimarrebbe uno strumento di cui il medico legale dovrebbe valersi laddove l’applicazione delle semplici leges artis si rivelassero insufficienti e dunque non bastevoli a fornire la prova rigorosa della lesione. Ci troviamo, in ultima analisi, a fronte di un singolare capovolgimento dell’impianto normativo di riferimento; impianto che disegna invece, specie dopo l’intervento chiarificatore della legge sulla concorrenza, uno schema operativo del tutto diverso: gli accertamenti strumentali costituiscono, secondo l’articolo 139, il filtro necessario di risarcibilità del danno biologico permanente di lieve entità; di un danno cioè che assume una rilevanza meritevole di trovar ristoro (nel sistema della Rc auto) in quanto si fondi su di un’inequivocabile evidenza strumentale, difettando la quale il caso potrà tutt’al più rilevare sul piano della (libera) valutazione dell’invalidità temporanea. Unica deroga a tale principio si pone in relazione ai così detti casi autoeloquenti, quali la cicatrice, rispetto ai quali l’accertamento strumentale potrebbe rivelarsi superfluo, perché non aggiungerebbe nulla rispetto a quanto visivamente verificabile. Insomma, la sentenza 1272 del 2018 inverte la proposizione di legge, trasformando la regola (quella del necessario accertamento strumentale) in eccezione, laddove invece il nuovo 139 pone come eccezione proprio l’accertamento visivo e non strumentale.
Il principio di diritto con cui la pronuncia si chiude è, dunque il seguente: “In materia di risarcimento del danno da cosiddetto micropermanente, l’articolo 139, comma 2, del decreto legislativo del 7 settembre 2005, numero 209, nel testo modificato dall’articolo 32, comma 3 ter, del decreto legge del 24 gennaio 2012, numero 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, numero 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psicofisica deve avvenire con rigorosi e oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”. Per comprendere quanto tale approccio sia criticabile, riteniamo opportuno calare la vicenda entro il suo contesto storico evolutivo di riferimento.
ALLE ORIGINI DI TUTTO
Come detto, la legge 124 del 2017 (articolo 1, comma 19) ha riformato con animo chiarificatore la disciplina della materia, con l’intenzione di risolvere ogni dubbio correlate al non facile coordinamento degli articoli 32, commi 3 ter e 3 quater, della legge 27 del 2012. Un minimo recap della questione può dunque, anche per comodità di lettura, rivelarsi opportuno.
Le disposizioni perseguivano (entrambe e in origine) finalità piuttosto esplicite: da un lato rieducare il mercato al rispetto della sana e prudente gestione della fase liquidativa; al rispetto, cioè, di tecniche liquidative rigorose, obiettive e svincolate dalle convenienze economiche di breve periodo e dalla tendenza a privilegiare logiche transattive rispetto ai costi indotti da un più severo approccio istruttorio; dall’altro sanare, o almeno mitigare, i nefasti effetti indotti da una certa industria del sinistro, soprattutto in relazione alla fenomenologia dei traumi minori del collo.
Così l’articolo 32, comma 3 ter completava la definizione di danno biologico contenuta nell’articolo 139 del Cap con la precisazione che “in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. Il comma 3 quater, invece, disponeva che “il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, numero 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.
Pur nell’evidente difficoltà di coordinamento tra le due disposizioni (probabilmente concepite, in origine, sotto forma di emendamenti autonomi e autosufficienti all’originaria versione del dl numero 1 del 2012) una ricerca di coerenza sistematica condusse a sostenere che in nessun caso un danno lieve alla persona, anche se apprezzato in sede di successiva visita medico legale, avrebbe potuto dar luogo al risarcimento per postumi permanenti in mancanza di reperti documentali/strumentali in grado di obiettivare la lesione al momento del sinistro. Viceversa, anche in mancanza di evidenze strumentali, il medico legale avrebbe potuto, nell’ambito dei suoi necessari accertamenti pre-liquidativi e applicando l’usuale criteriologia valutativa, affermare la sussistenza di postumi invalidanti temporanei.
GLI INTERVENTI (STORICI) DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ora, come ben noto a chi pratichi il settore, un’innovazione di tale portata incontrò soverchie critiche, specie tra coloro i quali ritenevano che la nuova normativa esasperasse in modo inaccettabile i già ampi limiti connaturati all’originaria disciplina del 139 del Cap. Di qui, dunque, diversi tentativi di disinnescare la riforma, sia attraverso una sua interpretazione demolitiva, sia mediante l’affermazione della sua illegittimità costituzionale. In particolare, fu invocata la contrarietà alla Carta Costituzionale con specifico riferimento alla pretesa violazione degli articoli 3, 24 e 32, e in relazione al sostanziale annichilimento del diritto al risarcimento di danni lievi che, pur ordinariamente valorizzabili in forza di criteri di accertamento non necessariamente strumentali, non incontrerebbero (immotivatamente) tutela, nel settore della Rc auto, laddove non supportati da riscontri diagnostici strumentali.
Intervenendo sul punto, la Corte Costituzionale ha dato vita a due storici provvedimenti, la sentenza 235 del 2014 e l’ordinanza 242 del 2015, destinati a divenire pietre angolari dell’intera disciplina della Rc auto per la forza, e la massima autorevolezza, con cui trovava consacrazione un principio che fino a qualche anno prima risultava difficile soltanto enunciare: quello secondo cui il sistema obbligatoriamente assicurato della Rca, posto a tutela della collettività e anche degli interessi dei terzi danneggiati, costituisce espressione di un equilibrio solidale in qualche modo presidiato dall’articolo 2 della Costituzione. E in quest’ottica, il contenimento convenzionale dei risarcimenti può essere giustificato proprio in funzione dell’esigenza di mantenere i premi assicurativi entro un livello tale da consentire a tutti i consociati di utilmente assicurarsi.
Rileva soprattutto l’ordinanza 235 del 21 ottobre 2015, esplicita tanto nell’escludere che la necessità del riscontro strumentale sia riferibile al danno temporaneo quanto nel ritenere “non censurabile la prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno ‘permanente’ alle microlesioni di che trattasi”.
UN SUPERIORE BILANCIAMENTO DI INTERESSI
Con tale presa di posizione la Consulta, pur prendendo atto dell’evidente limitazione risarcitoria indotta dalla nuova disciplina, finiva per espressamente giustificarla (sul piano della tenuta costituzionale) in funzione del superiore bilanciamento degli interessi (solidaristici e propri del sistema assicurativo della Rc auto) che la presidia. Sennonché, pur a fronte di cotanta autorevolezza, i tentativi di obnubilare il limite degli accertamenti strumentali (tanto pervasivi per la florida industria dei colpi di frusta) continuavano a cercare appigli attorno ai quali ancorarsi. E a tal proposito va ricordato il rigurgito conflittuale alimentato da una pronuncia della Cassazione (29 settembre 2016, numero 18773) assurta a una insospettabile ribalta, a dispetto del suo davvero modesto contenuto sostanziale e litigioso.
Entrando più nel dettaglio, è su di uno sbrigativo passo della sentenza, steso in forma di obiter, che ha ritrovato linfa, la teoria del “nulla di fatto”, secondo la quale entrambe le disposizioni (commi 3 ter e 3 quater) non avrebbero comportato alcuna novità né imposto alcun barrage istruttorio, essendosi invece limitate ad affermare una regola, quella dell’obiettività nell’accertamento della lesione, già immanente al sistema e niente affatto vincolata dall’esistenza di adeguati presidi strumentali.
Di qui l’avvertita e comprensibile necessità di chiudere il cerchio e rimuovere ogni dubbio. E in questo contesto si colloca la citata riforma della legge sulla concorrenza, che modifica l’articolo 139 e contestualmente abroga l’articolo 32, comma 3 quater del dl 1 del 2012.
Oggi, l’articolo 139 comma 2 del Cap si esprime in termini piuttosto perentori: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.
L'AUTOEVIDENZA NON LASCIA DUBBI
La legge di riforma ribadisce così a chiare lettere il barrage risarcitorio costituito dagli accertamenti clinico strumentali obiettivi, avendo cura di escludere qualsiasi tentativo di parificar loro i diversi accertamenti visivi. Accertamenti che sono invece riportati entro il loro alveo, naturale e piuttosto scontato, di appartenenza: quello in cui l’autoevidenza della lesione (ad esempio la perdita di una falange, una cicatrice, il distacco di un dente) renda del tutto superfluo l’accertamento strumentale, che nulla aggiungerebbe alla ricostruzione clinica e medico legale del caso.
Rimane certamente sullo sfondo il dubbio circa un diverso profilo di tenuta costituzionale della norma, e della riforma del 2012, nella parte in cui potrebbe riguardare lesioni di una certa gravità, pur contenute nella soglia del 9%, e ciò nonostante non obiettivabili strumentalmente. Si tratta di una questione da affrontarsi e risolversi anzitutto sul piano medico legale: laddove consimili ipotesi si ponessero in concreto, e innanzi a lesioni di sicura consistenza e rilevanza eppur non accertabili strumentalmente, il principio di tolleranza espresso dall’articolo 2 della Costituzione, fatto proprio dalle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, non potrebbe più trovar applicazione, né giustificare il vincolo di legge.
UN PROBLEMA DIGESTIVO…
Una volta ripercorso lo stato dell’arte potranno dunque meglio comprendersi le ragioni della serrata critica che può muoversi alla sentenza 1272 del 2018.
Se per torpore può intendersi, secondo il dizionario, il “temporaneo rallentamento delle normali attività dell’organismo e la diminuzione della prontezza dei movimenti in corrispondenza di digestioni laboriose” o ancora una “pigrizia fisica o intellettuale”, ebbene la Suprema Corte ha dimostrato, nel caso di specie, un reale stato d’intorpidimento, faticando “a digerire” il nuovo corso e a comprendere i nuovi assetti sistematici della responsabilità civile automobilistica.
Ciò che stupisce è la disinvoltura con la quale, nell’affrontare il tema, la pronuncia in esame, pur menzionando la legge sulla concorrenza, non si sia minimamente curata di verificarne l’autentica portata e, soprattutto, l’impatto (fondamentale) sul dibattito teorico che per troppo tempo ha coinvolto la ricostruzione semantica dell’articolo 139 del Cap.
E del pari non è facile capire perché, nel citare l’ordinanza 242 della Consulta, la Cassazione non ne rimarchi il passaggio più saliente: quello in cui gli accertamenti strumentali sono qualificati come ulteriori e necessari, ai fini della stessa liquidabilità del danno permanente.
…O UNA CONTRAPPOSIZIONE IDEOLOGICA?
Va peraltro osservato come, in concreto, la motivazione sostenuta dalla Suprema Corte non valga a sostenere la tesi dei fautori della immutata risarcibilità del colpo di frusta. Ben al contrario, è proprio per questa tipologia di danni che l’assoluta labilità della valutazione (soggettiva) medico legale rivelerebbe, secondo la Corte, tutta la sua insufficienza, postulando il necessario accesso a una diagnostica strumentale ulteriore, in assenza della quale l’accertamento del danno permanente non sarebbe possibile.
Sul piano dei risultati pratici, dunque, la sentenza 1272 del 2018 comprende, e alla fine condivide almeno parzialmente, l’obiettivo della legge. Ma il percorso argomentativo pare inquinato da una latente volontà di contrapposizione, financo ideologica, alle più recenti impostazioni legislative dei moderni sistemi delle responsabilità obbligatoriamente assicurate.
Il tempo per un cambio di passo ci pare, in qualche modo, obbligato, a fronte del continuo avanzare, cangiante e versatile, della moderna società del rischio. Una società in cui la rinuncia a qualche possibile, ma ben poco significativa, ragione di ristoro risulta certamente predicabile, nell’ambito di una visione allargata e solidale di una tutela effettiva e garantita anche in via assicurativa, di interessi più rilevanti. Tra questi, non quelli al risarcimento dei traumi minori del collo.
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