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Cat nat: i problemi dell’obbligo a contrarre senza il decreto

In assenza del dm attuativo della legge 213/2023, le compagnie, dal primo gennaio 2025, dovranno fare riferimento solo alla norma primaria per adempiere al loro dovere di prestazione della copertura per le imprese: una situazione complessa e incerta che va chiarita al più presto

Cat nat: i problemi dell’obbligo a contrarre senza il decreto hp_vert_img
La drammatica alluvione che ha colpito Valencia e dintorni conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, il severo aumento della frequenza delle catastrofi naturali in Europa. Catastrofi la cui straordinaria intensità continua a trovarci impreparati, dando luogo a tragiche ricadute socioeconomiche e ponendo con urgenza la necessità di allestire, senza ulteriori indugi, adeguati programmi di prevenzione, sicurezza e sostegno ai bisogni delle popolazioni colpite. Le assicurazioni private, in questo contesto, sono chiamate ad assumere un ruolo fondamentale, a fronte di rischi che sino a oggi non sono stati percepiti come meritevoli di particolare allarme, e dunque di copertura individuale, da parte di una comunità in qualche modo convinta che i danni da catastrofi naturali debbano rientrare tra gli impegni di indennizzo gravanti sullo stato e sulla fiscalità generale. 
I mutati scenari naturali inducono dunque a diverse considerazioni, anche da parte dei governi, nella consapevolezza che l’intensità e la portata di quei rischi non possa essere sostenuta se non attraverso uno sforzo mutualistico che sappia coniugare i gravosi impegni dei sistemi di protezione pubblica con la rinnovata funzione economico-sociale della moderna assicurazione danni. 

LE COORDINATE DEL PROVVEDIMENTO

Ed è in questo senso che ha visto la luce la brillante iniziativa del nostro legislatore che ha introdotto l’obbligo assicurativo per le imprese di copertura delle catastrofi naturali introdotto dall’articolo 1 (commi 101 e seguenti) della legge 213 del 30 dicembre 2023. Si tratta di un primo importante esempio di compartecipazione tra pubblico e privato che ben potrebbe essere replicato in altri settori (si pensi al campo della non autosufficienza) caratterizzati da rischi tanto nevralgici, profondi e centrali per il sistema paese da non poter più esser fatti ricadere soltanto sullo Stato, o sulla libera iniziativa dei cittadini e del mercato assicurativo.
Il nuovo obbligo, di cui da tempo si discute e su cui non entreremo nel dettaglio, riguarda soltanto gli immobili e i beni delle imprese produttive, quali destinatarie iniziali di un programma di protezione in qualche modo sperimentale, in attesa che lo stesso possa essere, in tempi ragionevolmente brevi, esteso alle abitazioni private. Le coordinate di massima di tali nuovi obblighi assicurativi, che la norma prevede debbano essere cogenti a far tempo dal primo gennaio 2025, sono descritti nei 12 commi che ne compongono la disciplina (da 101 a 112), nei quali si chiarisce anzitutto che la copertura riguarderà soltanto alcuni eventi naturali (sismi, alluvioni, frane, inondazioni e esondazioni) e solo determinati tipi di danni (causati direttamente agli immobili e specificamente descritti dalla disposizione, con esclusione dei danni non patrimoniali e dei danni da lucro cessante, quale la cosiddetta business interruption).

UN OBBLIGO A CONTRARRE DIFFICILE DA SOSTENERE

Ma il vero trademark della riforma sta, da un lato, nella previsione della bilateralità dell’obbligo assicurativo, imposto non soltanto alle imprese produttive tenute a garantirsi (in quanto iscritte nel registro di cui all’art. 2188 del codice civile) ma anche alle compagnie assicurative che sono attive in quel tipo di garanzie (ramo 8 art. 2 del Codice delle assicurazioni private). Si tratta di un vero e proprio obbligo a contrarre, soltanto apparentemente analogo a quello già previsto a carico del mercato assicurativo nel campo della Rc auto. E invero in questo settore la possibilità di sostenere, da parte delle compagnie, l’obbligo incondizionato di accettare le proposte assicurative di chiunque si rivolga loro per adempiere al proprio impegno ex lege di assicurarsi, si scontra con le particolarità dei rischi catastrofali, che non presentano affatto, specie se riferiti alle imprese produttive, quelle caratteristiche di omogeneità e prevedibilità tipiche dei rischi della circolazione stradale. Non pare qui affatto facile, da un lato, costruire una platea di clienti in grado di garantire un funzionale sviluppo del gioco mutualistico su cui si basa ogni operazione assicurativa; dall’altro la magnitudo di quei rischi pone di per sé dei problemi di tenuta, a fronte di danni la cui diffusione contestuale e a pioggia li rende difficilmente compensabili all’interno di un medesimo portafoglio assicurato.
Non è un caso, del resto, se il nostro codice civile, sia pure più di 80 anni fa, quando i fenomeni erano certamente meno indagati dal punto di vista statistico, ha escluso (art. 1912 cc) i rischi catastrofali dall’ordinario perimetro di copertura di una assicurazione danni (salvo una compagnia decida liberamente di inserirli nel paradigma di garanzia di una data polizza).

IL RUOLO DI SACE

Ben si comprendono le difficoltà di coniugare tale sfavore codicistico per l’assicurazione degli eventi catastrofali con il nuovo obbligo a contrarre imposto alle imprese: un obbligo che pone a carico delle compagnie uno sforzo obbligatorio di copertura che il legislatore del 1942 aveva invece di default escluso (e la cui violazione o elusione conduce addirittura a una sanzione pecuniaria tra 100 e 500mila euro).
Anche per tali ragioni la novità dello scorso dicembre si caratterizza per l’introduzione di un sistema di sostegno pubblico alle imprese assicurative private: sostegno offerto dalla garanzia riassicurativa che Sace (non superiore a 5.000 milioni di euro per l’anno 2024 e per ciascuno degli anni 2025 e 2026) è “autorizzata a concedere a condizioni di mercato, in favore degli assicuratori e riassicuratori del mercato privato, mediante apposita convenzione approvata con il decreto di cui al comma 105”.

L’ATTESA DEL DECRETO

Il decreto in questione è quello di cui si sta discutendo da mesi e di cui il mercato e il mondo delle imprese assicurative è in fremente attesa, rimesso alla concertazione del ministro dell’Economia e delle Finanze e del ministro delle Imprese e del Made in Italy.
E con tale provvedimento attuativo, secondo le testuali (e invero opache) previsioni di legge “possono (e non devono, nda) essere stabilite ulteriori modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione di cui ai commi da 101 a 107, ivi incluse le modalità di individuazione degli eventi calamitosi e catastrofali suscettibili di indennizzo nonché di determinazione e adeguamento periodico dei premi anche tenuto conto del principio di mutualità e, sentito l’Ivass, le modalità di coordinamento rispetto ai vigenti atti di regolazione e vigilanza prudenziale in materia assicurativa anche con riferimento ai limiti della capacità di assunzione del rischio da parte delle imprese o del consorzio di cui al comma 103, e possono essere aggiornati i valori di cui al comma 104.”

UN DIBATTITO ARTICOLATO

Si tratta, evidentemente, di un regolamento attuativo importante, anche perché destinato a risolvere tecnicamente le difficoltà di coniugare un obbligo a contrarre (altrimenti incondizionato) con la particolarità dei rischi in questione e, soprattutto, con la capacità di sottoscrizione delle imprese (o del pool consortile che le stesse potranno costituire per integrare più vaste platee di assicurati), in funzione del loro appetito di rischio e, prima ancora, della loro solvibilità. È lecito attendersi un temperamento dell’obbligo a contrarre, in funzione delle peculiarità del settore in questione.
Proprio per questo l’elaborazione del decreto attuativo ha chiesto tempo e sforzi di razionalizzazione non indifferenti: sino a oggi alcune bozze sono state rese pubbliche, evidenziando, ciascuna, determinati problemi applicativi che, in sincrono con alcune evidenti debolezze della norma primaria, sono parsi agli occhi di una certa critica di non facilissima soluzione. E forse anche per questo, e per evitare ulteriori dibattiti critici generalizzati, che nell’incontro di presentazione dell’ultimo schema del decreto, tenutosi il 23 settembre scorso presso il MiMit, il testo dell’elaborato non è stato reso pubblico, ma soltanto illustrato nei suoi contenuti (in parte modificativi rispetto alle bozze precedentemente circolate).
Rimane il fatto che tale decreto, a più riprese annunciato, non ha ancor visto la luce: sembra davvero prossimo, e anche la spinta mediatica a far sì che il cerchio si chiuda in fretta, alla luce degli eventi degli ultimi mesi, fa deporre per una uscita ormai imminente. 

I TIMORI PER UN RITARDO

Ma nel frattempo il mercato assicurativo si interroga su come affrontare questa nuova sfida, allo stesso tempo impegnativa e foriera di potenziali importanti sviluppi di business. Quali sono le condizioni minime effettive di polizza dei nuovi obblighi di copertura? Quale il reale perimetro dell’obbligo di ciascuna impresa, rispetto al proprio target market di riferimento e alla propria capacità di sottoscrizione?
Ci si chiede, inoltre, se nell’eventuale e perdurante mancanza deI decreto attuativo, il primo gennaio 2025, che è ormai alle porte, sia un termine indifferibile, alla scadenza del quale l’obbligo debba intendersi comunque operativo alle generali condizioni desumibili dalla norma primaria (tanto per le compagnie assicurative, soggette a sanzioni in caso di violazione dell’obbligo a contrarre, quanto per le imprese produttive, che potrebbero perdere determinati sostegni pubblici laddove, dopo tale data, non si fossero conformate al dovere di assicurarsi). Al riguardo la sciatteria normativa (absit inuria verbis) del legislatore pone severi dubbi interpretativi, che ben avrebbero potuto essere evitati attraverso una migliore e più chiara indicazione testuale.

SENZA IL DECRETO SALTA L’OBBLIGO?

Buon senso vorrebbe che, stante l’importanza del dm attuativo, gli obblighi slittino al tempo della sua emissione, tenuto poi conto della disciplina transitoria che tale decreto certamente prevederà per consentire alle imprese assicurative di adeguare i propri prodotti (di prossima commercializzazione e già in portafoglio) alle condizioni di dettaglio ivi previste. 
D’altra parte, e nel medesimo senso, si pone il fatto che il funzionamento del partenariato pubblico/privato (elemento indefettibile della nuova disciplina) rimane affidato alla regolamentazione degli impegni riassicurativi di Sace e della convenzione che sarà dalla stessa stipulata con le singole imprese o con il pool: convenzione che, ai sensi del comma 108, deve essere “approvata” proprio con il dm attuativo, in assenza del quale, pertanto, non potrà darsi vita al sostegno pubblico su cui in parte si fonda il nuovo obbligo a contrarre delle assicurazioni private.

UN’INTEGRAZIONE REGOLAMENTARE FONDAMENTALE

Se quanto sopra corrisponde a buon senso, e dunque alla conclusione che in assenza di decreto non vi sia alcun obbligo davvero cogente e operativo, altri elementi possono far deporre per il contrario. Si tratta di considerazioni di stretto diritto, desunte dal fragile testo della norma primaria e in particolare dalla letterale disposizione del comma 101 della legge 213/2023 in cui si legge che “le imprese con sede legale in Italia e le imprese aventi sede legale all’estero con una stabile organizzazione in Italia, tenute all’iscrizione nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2188 del codice civile, sono tenute a stipulare, entro il 31 dicembre 2024”. 
L’utilizzo dell’indicativo (quasi imperativo) parrebbe non lasciare dubbi, ove correlato al successivo comma 105, che testualmente prevede che “con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze e del ministro delle Imprese e del Made in Italy possono essere stabilite ulteriori modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione di cui ai commi da 101 a 107”. 
E dunque la fonte normativa secondaria “può” ma non “deve” stabilire “ulteriori” modalità attuative. In altre parole, la decretazione attuativa non solo sarebbe eventuale ma, stando alla lettera della legge, se emanata, avrebbe il compito di definire solo ulteriori modalità attuative, con ciò presupponendo che le regole fondamentali siano già stabilite dalla normativa primaria. Insomma, si tratterebbe di una decretazione attuativa soltanto eventualmente integrativa, quanto ai requisiti e contenuti di attuazione e operatività degli obblighi assicurativi, a fronte di una normativa di base che parrebbe dotata di un certo grado di autosufficienza. Le ragioni sopra indicate ci dicono che le cose non stanno affatto così e che, per funzionare, i nuovi obblighi abbisognano davvero di una integrazione regolamentare fondamentale e di un tempo tecnico per andare a regime. 

DIFFERENZE CON LA LEGGE GELLI

Ma il dubbio normativo rimane, tanto più che qui il legislatore, diversamente da altri sistemi di responsabilità obbligatoriamente assicurata (il riferimento è alla legge Gelli, dove l’obbligo è però unilaterale), non ha previsto espressamente, come ben avrebbe potuto, una postergazione della disciplina alla data di entrata in vigore della decretazione attuativa (il riferimento è all’azione diretta e a quanto specificatamente previsto dall’art. 12, comma 6, legge 24/2017).
Non crediamo, ragionevolmente, che nessuna impresa assicurativa che, tenendo conto delle considerazioni sopra svolte, abbia fatto prevalere il buon senso e strutturato un processo di ingresso nel mercato successivo all’entrata in vigore del dm attuativo, potrà un domani sentirsi sanzionata dall’Ivass (qualora, successivamente al primo gennaio 2025, non avrà adempiuto all’obbligo assicurativo, in assenza di un decreto che specifichi le condizioni minime di copertura). Né sembra forse conveniente, da un punto di vista economico, dar corso a prodotti che, dopo la pubblicazione del dm, potrebbero dover esser soggetti a una revisione per conformarsi alla disciplina regolamentare.

GUARDARE AL TARGET MARKET E ALLA CAPACITÀ SOTTOSCRITTIVA

Ma rimangono, ovviamente, le perplessità espresse dal mondo delle imprese produttive che si interroga, giustamente, sulle conseguenze di un’eventuale scopertura a fronte di eventi che potrebbero accadere dopo il primo gennaio 2025, data che pone a loro carico, in modo apparentemente incondizionato, il dovere di assicurarsi dal rischio degli eventi e dei danni descritti dalla legge 213/2023 (a pena di perdere sovvenzioni statali).
Sarà forse auspicabile che, medio tempore, le imprese più proattive si pongano già, e comunque, nella condizione di rispondere alle esigenze della propria clientela, almeno nei limiti del target market che ciascuna compagnia avrà definito in relazione alla propria capacità sottoscrittiva e al proprio appetito di rischio (seguendo in questo senso le chiare indicazioni desumibili tanto dalla norma primaria quanto dalle bozze di dm sin qui circolate). Poco importa, e anzi meglio, se le soluzioni prospettate siano anche eccedenti rispetto alle condizioni di base che il dm avrà fissato: per quanto l’obbligo a contrarre sia incompatibile con abbinamenti forzosi, la previsione di un set di coperture più esteso e più adeguato alle effettive esigenze di garanzia delle imprese (anche in termine di business continuity) merita, e meriterà comunque, di esser proposta, nell’interesse della clientela più attenta ed evoluta.
L’uscita del dm, ora più che mai attesa, dovrebbe comunque chiudere in concreto ogni discussione, al netto delle complicazioni tecnico-giuridiche poste dalla norma primaria.

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