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Cat nat: in extremis, la proroga

Lo scorso venerdì il governo ha licenziato un nuovo decreto che introduce, tra le altre cose, uno scaglionamento dell’obbligo di sottoscrizione della polizza obbligatoria in base a dimensione, patrimonio e fatturato della singola impresa: ecco cosa cambia

Cat nat: in extremis, la proroga hp_vert_img
E proroga fu. Come in un romanzo a puntate, dal finale forse ancora in parte da scrivere, l’obbligo di assicurazione dei rischi catastrofali si arricchisce di una nuova puntata, non del tutto scontata: a un passo dal via, la proroga del termine di decorrenza inizialmente stabilito (primo aprile 2025), da più parti invocata con forza, stante il poco tempo concesso alle imprese per adeguarsi a una normativa complessa e completatasi appena un mese fa, è stata deliberata dal Consiglio dei ministri, nella seduta del 28 marzo, approvando uno schema di decreto legge che dovrebbe vedere subito la luce.
Non si tratterà, peraltro, di un rinvio secco e uniforme di qualche mese ma di un differimento dei termini diversamente graduato in relazione alla dimensione delle imprese soggette all’obbligo di assicurarsi. E così il termine del primo aprile è stato spostato di ben nove mesi (al primo gennaio 2026) per le piccole e micro imprese e di sei mesi per le medie imprese (al primo ottobre 2025). Nessuna proroga invece per le grandi imprese, che dovranno essere in regola già al primo aprile, potendo però beneficiare di un periodo di tolleranza di 90 giorni durante il quale non saranno esposte alle sanzioni previste dalla legge 213 (il cui articolo 1 comma 102 collega all’inadempimento dell’obbligo la potenziale perdita di contributi, agevolazione e altri incentivi finanziari pubblici).
Entriamo dunque nel vivo del testo dello schema del dl, che fornisce qualche interessante elemento di riflessione, anzitutto per ciò che attiene alle ragioni, chiaramente esplicitate nella premessa dell’articolato, che hanno indotto a questo intervento in extremis.

I motivi del differimento
Il decreto prende (e dà) atto del fatto che la regolamentazione attuativa, che ha specificato con maggiore dettaglio il contenuto dell’obbligo bilaterale (di assicurarsi, per le imprese, e di assicurare, per le compagnie) fissato dalla legge 213/2023, si è fatta attendere molto, trovando la sua disciplina soltanto con il dm 30 gennaio 2025, n. 18, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 febbraio scorso. A mente di quel dm, l’adeguamento alle previsioni di legge dei testi di polizza, da parte delle compagnie di assicurazione, avrebbe dovuto compiersi entro 30 giorni dalla data di sua pubblicazione (29 marzo), mentre il primo aprile era, come detto, il termine ultimo imposto alle imprese assicurate per conformarsi agli obblighi di legge. Per tale ragione, così si legge nello schema di dl, in assenza di proroga dei termini, “il tempo a disposizione delle imprese per la stipula del contratto assicurativo obbligatorio… sarebbe esiguo e tale da non consentire una ponderata comparazione delle offerte presenti sul mercato”. 
Il fatto che si sia andati lunghi nel chiudere la decretazione attuativa non deve comunque stupire: per quanto fosse da anni sul tavolo l’esigenza di sostenere i rischi catastrofali con la previsione di un obbligo assicurativo, la loro copertura assicurativa implica evidenti difficoltà tecniche e svariate complessità operative, in buona parte emerse, e non tutte risolte, durante il lungo lavoro di stesura del dm 18/2025 (completato, peraltro, dopo aver accolto alcune indicazioni rese da Consiglio di Stato nel proprio parere del 19 novembre 2024).

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© Vilve Roosioks - pixabay

Le critiche delle associazioni 
Rimane il fatto che, effettivamente, il regolamento attuativo ha posto nuovi dubbi interpretativi e alcune non trascurabili difficoltà applicative, che hanno messo in qualche imbarazzo operativo tanto le compagnie quanto gli intermediari chiamati a dare non sempre facili risposte alla propria potenziale clientela (dubbi e difficoltà di cui in parte si è già avuto modo di discutere su questa testata: Alla scoperta del decreto cat nat; Insurance Daily del 4 marzo 2025). Per tali motivi le più importanti associazioni interessate (tra cui, in primis, Confindustria e Confcommercio) hanno sollevato marcate critiche, invocando un differimento dei termini utile, da un lato, a sviluppare un mercato maturo e concorrenziale e, dall’altro, di consentire alle imprese di disporre di maggior tempo per provare a risolvere le complessità operative che la realtà del mondo imprenditoriale ha da più parti evidenziato, mettendo a nudo alcuni nodi pratici più complicati di quel che il legislatore aveva immaginato (si pensi al tema dell’obbligo di assicurare beni in locazione e di proprietà di terzi diversi dall’imprenditore). 
La questione toccava piuttosto marginalmente le imprese di più grandi dimensioni, che già prima della legge 213/2023 erano inclini a coprirsi dai rischi catastrofali, ricorrendo al mercato assicurativo attraverso formule di garanzia spesso parziali e completate da un robusto ricorso alla cosiddetta autoassicurazione (reso possibile da una capacità patrimoniale tale da consentire loro di tenere a proprio carico importanti quote di rischio). Erano invece, e sono tuttora, le imprese di media e soprattutto piccola dimensione a farsi trovare un po’ impreparate, di fronte a esigenze assicurative in passato il più delle volte trascurate e ora diventate addirittura fonte di un vero e proprio obbligo (reso di ancor più complessa attuazione nei frequenti casi in cui i loro asset aziendali comprendono beni condotti in locazione).  Sono loro a necessitare di più tempo per adeguarsi e reperire una copertura che possa essere, oltre che conforme alle recentissime indicazioni del dm 18, davvero coerente con le loro specifiche esigenze di garanzia e disponibilità economiche. Per molte di loro, peraltro, l’imposizione di nuovi oneri assicurativi suona un po’ come una specie di tributo, imposto per coinvolgerle nel gioco di una mutualità il più possibile estesa, indispensabile per sostenere tecnicamente l’assicurazione delle catastrofi evitando fenomeni di antiselezione del rischio. 

Le controindicazioni per le piccole imprese
Qui entra in gioco il delicato rapporto di correlazione tra i principi di solidarietà sociale e di proporzionalità (delle tariffe ai rischi) che stanno, entrambi, alla base della nuova disciplina e che, in particolare, le imprese minori collocate in territori esposti a rischi statisticamente irrilevanti faticano a comprendere di fronte alle loro (talvolta invero minime) esigenze effettive di copertura. Sennonché sono proprio le realtà più piccole a costituire la quasi totalità dei soggetti coinvolti dall’obbligo, come non casualmente ricordato dallo stesso schema del dl di proroga, che nella sua premessa conferma che all’interno dell’elevatissimo numero delle imprese tenute a stipulare le polizze ben il 95% è costituito proprio dalle microimprese.
È sulla base di tali argomenti, dunque, che si è pensato di distinguere e separare le sorti delle imprese assoggettate all’obbligo in funzione delle loro diverse dimensioni, accordando più tempo alle micro e alle piccole imprese, concedendone di meno alle medie e lasciando fermo il termine del primo aprile per le realtà maggiori (come meglio diremo tra breve). È tuttavia appena il caso di osservare come tale scelta, pur comprensibile alla luce di quanto si è detto, sconti qualche controindicazione proprio in considerazione del fatto che la stragrande maggioranza delle imprese più piccole sono quelle maggiormente esposte ai rischi calamitosi (pur essendo notoriamente in larga parte sprovviste di copertura). 
Per tale ragione il differimento del termine non deve essere irresponsabilmente letto come un semplice spostamento di un onere sgradito: al contrario, va inteso come un’opportunità per mettersi tempestivamente al riparo dai rischi senza però l’affanno di incorrere negli effetti indirettamente sanzionatori previsti dall’articolo 1 comma 102 della legge 213.

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© tasukaran - pixabay

Il contenuto della proroga
Come sopra accennato, il dl di proroga prevede termini diversi in relazione alle differenti dimensioni delle imprese tenute all’obbligo di assicurarsi. E così:
  • per le piccole e micro imprese, come definite ai sensi della direttiva (Ue) 2023/2775, il termine per mettersi in regola slitta al primo gennaio 2026;
  • per quelle di medie dimensioni, come definite ai sensi della direttiva (Ue) 2023/2775, al primo ottobre 2025;
  • per le grandi imprese, invece, resta fermo il termine del primo aprile 2025, già previsto dalla legge 213 e dal dl Milleproroghe. Ma rispetto a quanto inizialmente stabilito, è loro concesso un periodo di tolleranza di 90 giorni (sino al primo luglio 2025) durante il quale le sanzioni di legge non saranno applicate (periodo di tolleranza che invece non sarà concesso alle altre realtà, che avranno avuto più tempo per mettersi in pari). 

Il rinvio alla disciplina unionale riprende una classificazione in categorie dimensionali individuate attraverso i seguenti parametri: 
a) totale dello stato patrimoniale; 
b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni; 
c) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio. 
Il superamento di almeno due dei tre predetti parametri, come sotto definiti, comporta il passaggio dell’impresa nella categoria dimensionale superiore:

Microimprese:
- Totale dello stato patrimoniale: 450mila euro 
- Ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 900mila euro 
- Numero medio dei dipendenti durante l’esercizio: fino a 10.

Piccole imprese:
- Totale dello stato patrimoniale: 5 milioni di euro 
- Ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 10 milioni di euro  
- Numero medio dei dipendenti durante l’esercizio: fino a 50. 

Medie imprese:  
- Totale dello stato patrimoniale: 25 milioni di euro  
- Ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 50 milioni di euro  
- Numero medio dei dipendenti durante l’esercizio: fino a 250.

Grandi imprese (superando almeno due dei tre criteri sotto):
- Totale dello stato patrimoniale: oltre 25 milioni di euro  
- Ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: oltre 50 milioni di euro  
- Numero medio dei dipendenti durante l’esercizio: oltre 250.

Che cos’è una “grande impresa”
È appena il caso di osservare come il concetto di grande impresa non coincida affatto con quello stabilito dall’art. 1 lettera O del dm 18, che le definisce invece come “le imprese che alla data di chiusura del bilancio presentano, congiuntamente, i seguenti elementi: fatturato maggiore di 150 milioni di euro; numero di dipendenti pari o superiore a 500”.
Può dunque affermarsi che, quando definibili come grandi imprese ai sensi del dm, le imprese siano tali (e dunque grandi) anche a sensi del dl di proroga ma non necessariamente viceversa. Una grande impresa ai sensi della direttiva Ue 2023/2775 potrebbe non avere i maggiori requisiti dimensionali previsti dal dm. È peraltro interessante osservare come tra le realtà a cui la proroga non si applicherà rientreranno molte tra le imprese a cui il dm 18 consente ampi spazi di negoziazione e di deroga ai limiti di scoperto e di indennizzo (anche se non classificate come grandi imprese ai sensi del dm). 

La possibilità dell’autoritenzione
Ci riferiamo al fatto che il regolamento attuativo ha, un po’ sorprendentemente (art. 6 e 7), introdotto una assai ampia possibilità di autoritenzione del rischio, non prevista dalla legge 213/2023, consentendo (art. 6) alle imprese le cui somme assicurate, avuto riguardo al totale complessivo delle ubicazioni assicurate, superano i 30 milioni di euro (e alle grandi imprese secondo la definizione del dm) da un lato di liberamente negoziare la “percentuale di danno indennizzabile che rimane a loro carico”; dall’altro (art. 7)  di concordare con le compagnie i massimali o limiti di indennizzo liberamente stabiliti. Non si tratta di un vero e proprio diritto di (integralmente) autoassicurarsi, posto che entrambe le disposizioni affermano che in ambedue le ipotesi rimane comunque “fermo l’obbligo di copertura assicurativa”: ma quale sia la misura minima di trasferimento del rischio al mercato assicurativo idonea ad assolvere l’obbligo rimane un mistero.  Il fatto però che le imprese dimensionalmente e patrimonialmente più strutturate siano ritenute in grado di tenere a proprio carico buona parte dei propri rischi cat nat (essendo anche di grado di conoscerli e valutarli meglio) può rendere più agevolmente comprensibile perché, almeno per una parte di loro, l’obbligo possa essere immediatamente cogente (in quanto temperato proprio dalla possibilità di contenerne gli effetti assorbendo in proprio buona parte del rischio).

Alle microimprese nessuna negoziazione
Discorso completamente diverso va fatto per le imprese dimensionalmente minori, in relazione alle quali la percentuale di scoperto non può eccedere, ai sensi di legge e dell’art. 6 del dm, il 15% del danno indennizzabile; i limiti di indennizzo non possono invece essere inferiori al 70% della somma assicurata per la fascia da un milione a 30 milioni di euro di somma assicurata. Lo stabilisce l’art. 7 del dm 18, che prevede anche che “per la fascia fino a un milione di euro di somma assicurata trovi applicazione un limite di indennizzo pari alla somma assicurata”. E dunque le microimprese, che non hanno spazi di negoziazione, devono certamente conformarsi pienamente all’obbligo assicurativo alle condizioni di garanzia previste dal dm. Anche sotto questo punto di vista può trovare dunque giustificazione il fatto che a loro sia concesso più tempo per adeguarsi.

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© Michal Jarmoluk - pixabay

Per le compagnie, di fatto, la proroga non c’è 
L’intervento del dl di proroga si limita a differire, nel modo sopra analizzato, i termini di adeguamento all’obbligo per le imprese tenute ad assicurarsi. Tutta la restante disciplina di legge rimane immutata, ivi compresa quella transitoria prevista dall’art. 11 del dm 18. 
Il fatto, dunque, che il termine massimo di adempimento per le imprese sia stato differito di qualche mese per la stragrande parte delle realtà interessate non incide, in alcun modo, sull’obbligo a contrarre delle compagnie assicurative e sul tempo loro concesso per adeguare i loro prodotti alle indicazioni di legge e del dm attuativo.
Come già segnalato, la proroga dà più agio alle imprese per adeguarsi, ma non impedisce certamente loro di assicurarsi sin da oggi con una polizza conforme a legge.
Il che equivale a dire che le compagnie attive nel settore (in aderenza a quanto stabilito dal dm nei limiti della loro capacità sottoscrittiva, ai sensi dell’art. 5 del regolamento attuativo) dovranno comunque ossequiare le proposte assicurative loro presentate offrendo soluzioni assicurative che, una volta decorsi i termini previsti dal citato art. 11 del dm, saranno in linea con i requisiti di garanzia normativamente stabiliti.

Cosa fare con le polizze già sottoscritte
Eventuali polizze già collocate prima della proroga e della scadenza dei termini concessi agli assicuratori per adeguare i loro prodotti, saranno perfettamente valide, se conformi alle disposizioni di legge e di regolamento. Diversamente dovranno essere allineate al modello normativo di riferimento, in ottemperanza a quanto previsto dal citato art. 11 del dm secondo il quale “1. L’adeguamento alle previsioni di legge dei testi di polizza deve avvenire entro e non oltre trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto. 2. Per le polizze già in essere, l’adeguamento alle previsioni di legge decorre a partire dal primo rinnovo o quietanzamento utile delle stesse”.
La disciplina prevista dal secondo comma pone peraltro qualche dubbio interpretativo in relazione a ciò che potrà avvenire durante il periodo di proroga concesso alle imprese per adempiere ai loro obblighi. 
Se il primo quietanzamento dovesse cadere prima della scadenza del termine di proroga (primo ottobre per le medie imprese, primo gennaio per le piccole e microimprese) non crediamo che una polizza precedentemente acquistata debba essere necessariamente adeguata a norma, ben potendo l’impresa decidere di rimandare a data successiva, nel rispetto del termine di proroga, la propria definitiva scelta del contratto con cui adempiere l’obbligo (presso la stessa o diversa compagnia). Il primo quietanzamento utile dovrebbe dunque essere considerato (ma il condizionale è d’obbligo) quello successivo alla scadenza della proroga di cui l’impresa interessata ha diritto (così, ad esempio, una polizza non a norma con quattro scadenze trimestrali stipulata da una media impresa il primo gennaio 2025 dovrebbe essere adeguata non alla scadenza rateale del primo aprile, né a quella di luglio ma a quella del primo ottobre). Altri e diversi problemi sembrano porsi, invece, per i rinnovi. 

E in caso di rinnovo?
Se è vero che alla prima scadenza annuale di polizza l’impresa assicurata (immaginiamo una media impresa con polizza stipulata il primo giugno 2024) potrebbe non volere ancora acquistare un prodotto conforme a legge, riservandosi di prendersi tutto il tempo concesso dalla proroga per ponderare al meglio la propria scelta, è altrettanto vero che l’eventuale richiesta di rinnovare il contratto precedente (e non adeguato) non dovrebbe essere accolta dalla compagnia. Si tratterebbe, invero, di una soluzione di garanzia che, non conforme, scavallerebbe il termine ultimo concesso all’impresa (primo ottobre) per mettersi in regola.  E non crediamo che, anche in relazione a quanto stabilito dalla legge (art. 119 bis del Codice delle assicurazioni) e dal regolamento 40 di Ivass (art. 58) la vendita di una polizza destinata a esporre la cliente alle sanzioni di legge (dopo il primo ottobre) possa ritenersi davvero adeguata alle esigenze della stessa. A meno che sia chiaro, nell’ambito della negoziazione tra le parti, che quella polizza oggetto di rinnovo (da ritenersi comunque facoltativa e non obbligatoria) debba poi essere affiancata, a tempo debito, da altra soluzione di garanzia conforme a legge, acquistabile anche presso una diversa compagnia. 
E fatta salva, in ogni caso, la necessaria verifica di coerenza della polizza di rinnovo con le esigenze della cliente, anche in considerazione di eventuali situazioni di coassicurazione indiretta.

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La tripartizione degli assetti di garanzia
La questione dell’adeguatezza della garanzia di legge rispetto alle esigenze concrete dell’impresa cliente è tema delicato anche sotto altro punto di vista, che qui conviene solo accennare. Quello della coerenza della tripartizione degli assetti di garanzia (sismi, alluvioni e frane) rispetto all’effettività del rischio in concreto sopportato dall’impresa assicurata (che potrebbe trovarsi in territori per nulla toccati da uno o più di quei rischi specifici). Si pensi al rischio di esondazione in area desertica o comunque molto distante da corsi o bacini d’acqua. O ancora al rischio di frane in pianure prive di qualsiasi possibilità di accadimento del fenomeno, per come descritto dal dm (secondo il quale è frana il movimento, scivolamento o distacco rapido di roccia, detrito o terra lungo un versante o un intero rilievo sotto l’azione della gravità o lo scoscendimento di terre e rocce anche non derivate da infiltrazioni d’acqua). In tal caso (ri)entra in linea di conto il difficile rapporto di correlazione tra il principio di mutualità, che tende a far partecipare l’intera collettività assicurata a rischi anche remotissimi, e quello di determinazione proporzionale del premio in funzione del rischio, tenendo conto dell’ubicazione del rischio sul territorio e della vulnerabilità dei beni assicurati (art. 4 dm 18). E qui si pone il problema della (giusta) aspettativa della clientela di reperire una copertura che sia comunque calzante alla sua effettiva dimensione e qualità di rischio (al netto delle già ricordate ipotesi, concesse solo alle imprese di più grande entità, di negoziare limiti di indennizzo anche stabiliti in relazione alla diversa qualità dei rischi assunti in copertura).
 
Cosa potrebbe accadere nelle more della proroga
Ovviamente c’è chi da più parti auspica che il tempo di proroga possa consentire di meglio chiarire molti dei dubbi interpretativi e applicativi emersi in questa fase di prima lettura del dm. Va al riguardo osservato come il testo del dl di proroga superi, definitivamente, ogni incertezza in ordine al fatto che tutte le imprese, e anche le più piccole, rientrino nel perimetro soggettivo della legge 213/2023, anche se iscritte in sezioni speciali del registro. 
Ma al netto di ciò, altri temi rimangono aperti, in ordine ai contenuti oggettivi della copertura obbligatoria e alla loro tariffazione. È comunque auspicabile che, nelle more di questo rinvio, veda la luce il dm del Mimit che, su proposta dell’Ivass, dovrà dare vita al sistema di comparazione previsto dall’art. 1 comma 105 bis della legge 213/20123. 
A mente di tale norma, l’Ivass dovrà gestire “anche attraverso la piattaforma informatica già disponibile per la comparazione delle offerte di contratti di assicurazione per la responsabilità civile connessa alla circolazione degli autoveicoli, un portale informatico che consente di comparare in modo trasparente i contratti assicurativi offerti dalle imprese di assicurazione”. Su quel portale ciascuna compagnia di assicurazione assoggettata all’obbligo a contrarre dovrà immettere “il contratto assicurativo, conforme alle prescrizioni di cui ai commi da 101 a 107, indicando le condizioni generali, l’estensione delle coperture e le eventuali esclusioni e limitazioni”. Tale strumento dovrebbe dunque agevolare la scelta d’acquisto delle imprese, specie di quelle di minore dimensione, in relazione alle quali l’assunzione iniziale del rischio potrà avvenire attraverso la raccolta di informazioni standardizzate da comunicare rispondendo a questionari compilabili online. Non altrettanto, ovviamente, potrà dirsi per le grandi imprese, che, come detto, potranno liberamente trattare le condizioni della loro copertura, nell’ambito di un percorso negoziale che, certamente, le stesse compagnie assicurative affronteranno con una minuziosa analisi di ogni informazione utile a rappresentare adeguatamente il rischio da assicurare. 

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