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Alla ricerca della crescita perduta

In un mondo sempre più aperto, i paesi che non colgono l’opportunità dell’export rischiano un progressivo declino. Tra questi l’Italia. Lo rivela lo studio Sace-Valore D presentato nei giorni scorsi a Roma

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Il nostro Paese, ad oggi, non ha saputo utilizzare la leva dell'internazionalizzazione. Eppure, se lo facesse, potrebbe ristabilire la situazione pre-crisi, come dimostra lo studio Sace - Valore D, Alla ricerca della crescita perduta. Opportunità e ritorni di un'Italia più internazionale, presentato nei giorni scorsi al III Forum nazionale dell'Associazione Valore D.
"Se riuscissimo a raggiungere, nel 2018, un'incidenza dell'export sul Pil del 44% - rivela Roberta Marracino, direttore Area Studi e Comunicazione di Sace - potremmo generare esportazioni aggiuntive per circa 40 miliardi di euro l'anno, con un incremento di reddito nazionale intorno ai 125 miliardi di euro, pari a una crescita del 9% rispetto al Pil attuale. Considerando l'elasticità dell'occupazione rispetto al Pil, questo impatto si tradurrebbe in 1,8 milioni di nuovi posti di lavoro".
Tra il 2007 e il 2013, il contributo delle esportazioni alla crescita del Pil è stato di 7,5 punti percentuali in Germania, 4,5 in Spagna, 1,1 in Francia, -0,9 in Italia (pari a circa 13 miliardi in meno a valori costanti). Germania e Spagna, in particolare, che già nel 2007 registravano rispettivamente un'incidenza dell'export sul Pil del 47% e 31%, hanno ulteriormente accelerato la loro presenza nei mercati esteri nei sei anni trascorsi e continueranno in futuro ad allungare le distanze.

Colpa delle pmi?

La struttura imprenditoriale italiana, composta per circa il 95% da micro imprese (meno di 10 dipendenti) viene spesso addotta a giustificazione della ridotta capacità di penetrazione sui mercati esteri. "Se da un lato - spiega Marracino - è altamente improbabile che un'impresa di piccolissime dimensioni abbia la forza e le capacità di vendere i propri prodotti fuori dai confini nazionali, dall'altro non siamo gli unici, in Europa, ad avere questo problema. Nel nostro Paese, le piccole aziende internazionali sono solo il 29%, in Spagna addirittura il 48%. Analoghe differenze si riscontrano per le imprese di dimensione superiore (50-249 dipendenti e oltre 250 dipendenti), confermando implicitamente che la verità sulla nostra underperformance sui mercati esteri vada ricercata altrove. Probabilmente - continua - molte nostre imprese rimangono convinte che il campo da gioco sia ancora la penisola. Non è più così e occorre recuperare la crescita perduta".
A conferma di ciò, le aziende italiane - anche pmi - che hanno spinto il proprio campo visivo oltreconfine in questi anni difficili sono riuscite a contenere gli effetti della crisi o sono cresciute ulteriormente: un'indagine Istat condotta su 30.000 imprese con oltre 20 dipendenti dimostra che, tra il 2010 e il 2013, il 51% di esse ha visto crescere il proprio fatturato estero.

I punti di forza dell'Italia

Pur con la nostra frammentazione imprenditoriale, abbiamo numerosi punti di forza che non sfruttiamo adeguatamente: l'Italia è la quinta manifattura del pianeta e la seconda d'Europa ed è il primo paese al mondo per prodotti distintivi nel settore agroalimentare. Abbiamo circa 20.000 imprese che esportano in più di 15 Paesi e altre 15.000 presenti con le proprie merci in un numero di mercati compreso tra 6 e 15, che potrebbero ampliare ulteriormente il loro raggio d'azione fuori dall'Italia (rispetto al 34% delle imprese non distrettuali).
"40 miliardi di export in più sono un traguardo raggiungibile - afferma Marracino - se si considera che equivalgono più o meno a quanto attualmente esportiamo in Francia. Metà di questo maggior export potrebbe essere recuperato nei mercati emergenti a basso-medio rischio e in crescita: circa 13 miliardi attraverso una migliore penetrazione di 5 paesi (Cina, Polonia, Algeria, Turchia e India), altri 6 miliardi in una rosa di geografie in Medio Oriente (Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kuwait), in Sud America (Messico e Brasile), in Asia (Corea del Sud, Repubbliche del Caucaso, Vietnam), ma anche in Tunisia.
Gli effetti di questa crisi - conclude - si risolvono guardando avanti, in Italia ma anche altrove. Oggi, lo sappiamo, la frontiera è il mondo e il Paese ha le capacità e le risorse per crescere oltreconfine come sistema e come soggetti economici".

Laura Servidio




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