La responsabilità professionale dell’avvocato nella giurisprudenza
02/02/2012
Nel settore della responsabilità professionale, la figura dell’avvocato sta assumendo sempre di più un rilievo sia sotto l’aspetto della disciplina giuridica, che sotto quello del notevole incremento di contenzioso civile registrato presso i tribunali dello Stato e nel settore rc professionale delle imprese di assicurazione che operano nel ramo. I principi che sottendono la colpa del professionista intellettuale sono riconducibili in gran parte alle interpretazioni della giurisprudenza di legittimità e di merito.
L’avvocato, innanzitutto, a seguito del conferimento del mandato, assume l’incarico di svolgere una necessaria opera di intermediazione fra gli organi giudicanti ed il cittadino che adisce i Tribunali, con l’obbligo di comportarsi, data la funzione esercitata, nel rispetto di norme di comportamento e di regole di deontologia professionale, operando con probità e lealtà (art. 88 c.p.c.), oltre che con dignità e decoro “come si conviene all’altezza della funzione che sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia” (art. 12, I comma, legge professionale – r.d.l. 27.11.1933, n. 1578, Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, convertito con modifiche nella l. 22.01.1934, n. 36).
L’attività professionale dell’avvocato consegue ad un preciso incarico conferitogli dal cliente. Il rapporto tra cliente e professionista si sostanzia in un contratto d’opera intellettuale, spesso definito con le espressioni di “contratto di patrocinio” o “contratto di clientela”, che può avere ad oggetto problemi legali di qualsiasi specie e natura da individuarsi secondo le circostanze del caso concreto.
In generale, anche alla luce dei principi espressi in giurisprudenza, si può dunque ritenere condivisibile quanto affermato dalla dottrina maggioritaria secondo cui il rapporto tra avvocato e parte assistita si sostanzia nella coesistenza di due distinti rapporti giuridici: il mandato e la prestazione d’opera professionale.
L’attività e l’eventuale conseguente responsabilità deve, in primo luogo, essere valutata con riferimento alla natura ed effettiva portata dell’incarico conferito che non necessariamente richiede la forma scritta, poiché tale obbligo riguarda unicamente il conferimento della procura alle liti (Tribunale di Milano, Sezione V Civile, Dott. Pertile, 19.01.2010, nella causa r.g.n. 11757/2008; così anche Corte di Appello di Milano 30.09.2009, n. 2490/2009).
Circa la natura della colpa professionale dell’avvocato, si sostiene in giurisprudenza che tale accertamento implica l’indagine, positivamente svolta sulla base degli elementi di prova, che il cliente ha l’onere di fornire, circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente” (Cass. Civ., Sez. II, 11.08.2005, n. 16846).
La Suprema Corte di Cassazione sul punto è giunta ad stabilire che: “l’affermazione della responsabilità professionale dell’avvocato non implica l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la “certezza morale” che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente. Ne consegue che, al criterio della certezza della condotta, può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli” (Cass. Civ., Sez. III Civ., 18.04.2007, n. 9238; conformemente si veda Cass. 4044/1994; 5264/1996; 16846/2005e Cass. Civ., 27.05.2009, n. 12354).
La diligenza nell’adempimento dell’incarico professionale deve estrinsecarsi anche in una doverosa attività extraprocessuale, come la necessaria e tempestiva informazione del cliente. Pur essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione della propria attività, la condotta del professionista deve essere tale da garantire la tutela degli interessi affidatagli dal cliente, anche attraverso una puntuale informazione: “la responsabilità dell’avvocato va configurata ove questi abbia svolto l’attività inerente al mandato o l’abbia svolta parzialmente, ovvero per non avere informato il cliente della impossibilità di espletarla” (Cass. Civ., 18.6.1996, n. 567).
Si assiste dunque, anche con riferimento alla responsabilità dell’avvocato, ad una progressiva erosione del tradizionale principio secondo il quale l’obbligazione dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Si può infatti affermare che il Giudice di legittimità, nell’esame di fattispecie concrete, abbia infatti ammesso che in determinate circostanze il cliente possa pretendere dall’avvocato un vero e proprio risultato: in alcuni casi, in particolare in ipotesi di attività stragiudiziale commissionata al professionista, la Giurisprudenza tende ad avvalorare la tesi secondo cui il cliente possa pretendere dall’avvocato un vero e proprio risultato.
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