Accesso al credito: il gap da colmare per le Pmi
Molte analisi rivelano la positività della relazione tra la presenza di coperture assicurative dell’impresa e la sua capacità di resistere al default. Per queste aziende è anche più facile accedere al credito. In sintesi, è interesse comune di imprese, banche e compagnie trovare soluzioni per promuovere gli strumenti per la gestione del rischio nelle Pmi
22/04/2015
L’accesso al credito costituisce una delle maggiori criticità per le Pmi nell’attuale scenario economico.
Non è una novità che le imprese abbiano difficoltà a trovare risorse per finanziare le proprie attività.
Il rovescio della medaglia, che però non è così evidente nelle analisi, è che le assicurazioni giocano un ruolo cruciale nel garantire solidità alle imprese che cercano fondi e, allo stesso tempo, sono uno degli aspetti più spinosi del difficile rapporto tra imprese e banche. Parallelamente alla rischiosità creditizia, torna alla ribalta il tema della scarsa robustezza dell’impianto assicurativo. Questo perché alle piccole e medie imprese vengono chiesti premi decisamente superiori a quelli applicati alle grandi industrie. Stando ad un report Ania pubblicato nel 2010, questa situazione spinge le Pmi a contrarre gli investimenti in coperture assicurative, tant’è che, all’epoca, una percentuale piuttosto elevata delle imprese risultava priva di un'assicurazione contro il rischio di incendio.
Eppure in analisi più recenti, curate sempre da Ania in collaborazione con Cerved, è stato evidenziato come in realtà sia proprio la crescente attenzione verso le coperture assicurative a garantire un più agevole accesso al credito e, soprattutto, migliori condizioni.
L’analisi Ania - Cerved
L’analisi in oggetto, rilasciata a settembre 2014, ha preso in esame la configurazione delle garanzie assicurative in un campione significativo di Pmi (circa 500.000 aziende con un numero di dipendenti inferiore a 250 unità), indagando il rapporto con la valutazione del merito creditizio. È stata stabilita una relazione statistica, seppur non strettamente lineare, tra l’estensione delle coperture assicurative e il rischio di credito. Il rapporto tra rischiosità creditizia e grado di copertura assicurativa è stato calcolato utilizzando l’indice Gca, il primo indicatore sintetico, costruito da Ania in collaborazione con esperti di settore sulla base di “opinioni di esperti”.
L’indice determina il grado di copertura assicurativa delle Pmi secondo una scala tra lo 0% e il 100%, in funzione del grado. Ad esempio, se il valore risultante è pari al 75%, significa che i tre quarti dell’incertezza dovuta ad eventi avversi in grado di essere coperti sono stati trasferiti alla compagnia assicuratrice. Tale dato, non potendo garantire la completezza di informazione in quanto composto da un campione di imprese con almeno una copertura assicurativa, è stato successivamente incrociato con una simulazione tramite la tecnica del bootstrap. Sono stati pertanto estratti 500 campioni casuali di imprese italiane non presenti nel database Ania, in base ai tassi di copertura assicurativa per settore / area geografica individuati. Dall’incrocio è emerso che le Pmi non appartenenti al campione Ania estratte manifestano un tasso di default medio sistematicamente più elevato rispetto a controparti presenti nel campione Ania. La significatività del fenomeno risulta non omogena tra i diversi comparti, più forte nei settori dell’edilizia e manifatturiero e meno evidente nel commercio, trasporti e servizi.
Agevolare la spinta alle coperture
Eppure, stando alle elaborazioni Censis 2014, in parallelo alla relazione inversamente proporzionale tra coperture assicurative e rischio di default, è sicuramente in crescita la richiesta di garanzie reali da parte delle banche, che durante la crisi ha registrato un vero e proprio boom: +34,8%, da giugno 2009 a giugno 2010, gli anni più caldi della congiuntura economica. Se le Pmi rinunciano o limitano la richiesta di coperture assicurative a supporto dell’attività, parimenti gli istituti di credito impongono requisiti sempre più severi per l’accesso al credito. Lo studio Censis sottolinea che la modernizzazione nel Paese procede a singhiozzo, con brusche inversioni di tendenza da parte delle banche, che negli ultimi anni si sono focalizzate sempre più frequentemente sul retail, con un impoverimento della capacità di “fare credito”, anche attraverso l’analisi della clientela corporate, a favore di un ingessamento delle procedure e un ingolfamento decisionale.
Un’impasse difficilmente risolvibile nel breve periodo. Soprattutto perché procede attraverso due binari paralleli. Da un lato c’è il tema della capacità di reperire, da parte delle aziende, ma anche di fornire da parte delle banche, strumenti di finanziamento. In questo senso, l’investment compact entra come un’onda d’urto in uno scenario di difficili equilibri, estendendo alle PMI innovative la logica delle agevolazioni fiscali che prima spettavano solo alle start-up. Contemporaneamente, la manovra di Quantitative Easing varata dalla Bce dovrebbe garantire alle banche un eccesso di cassa nei bilanci da reinvestire. In questo contesto ben si inserisce l’accordo siglato da Confindustria e Cerved per la creazione di un protocollo d’intesa volto a dare una spinta al rating pubblico. L’obiettivo è di favorire la crescita delle piccole e medie imprese e delle società non quotate agevolando l’accesso a strumenti di debito e di equity. Il rating pubblico consentirebbe alle imprese di ottenere una valutazione pubblica, emessa da un soggetto riconosciuto dall’Autorità Europea competente in materia (Esma): un certificato univoco di solidità economico-finanziaria.
In sinergia con le azioni volte a migliorare l’accesso al credito, le Pmi devono tuttavia poter disporre di strumenti assicurativi adeguati, con un’adeguata copertura ma, soprattutto, con una forte sensibilizzazione al tema della gestione del rischio, ad oggi molto trascurato o sottovalutato. Secondo una ricerca Aiba del 2014, le Pmi italiane sono pesantemente sotto-assicurate: il 14% non ha un’assicurazione contro gli incendi e addirittura il 31% non si protegge dai furti. Solo il 28% si tutela dai rischi tecnologici, il 23% non ha coperture di responsabilità civile sui prodotti, il 15% ha sottoscritto polizze credito e cauzioni e il 12% coperture inquinamento. Drammaticamente, soltanto il 3% si assicura contro le interruzioni di attività, in seguito a un incendio o a una inondazione.
Che fare allora? Sensibilizzare le aziende, punto primo. Ma offrire anche strumenti concreti, quali ad esempio incentivi agli imprenditori che hanno sottoscritto prodotti assicurativi in grado di difendere fabbrica e impianti da eventi avversi. Senza dimenticare che personalizzazione dell’offerta, focus sulle capacità assuntive, consulenza assicurativa e risk management sono i plus di un’offerta appetibile per le piccole e medie aziende, che oggi si focalizzano molto sulla competizione sul prezzo e la standardizzazione delle offerte, laddove invece i driver per la svolta sembrano essere costituiti dall’innovazione e dal recupero della redditività.
Non è una novità che le imprese abbiano difficoltà a trovare risorse per finanziare le proprie attività.
Il rovescio della medaglia, che però non è così evidente nelle analisi, è che le assicurazioni giocano un ruolo cruciale nel garantire solidità alle imprese che cercano fondi e, allo stesso tempo, sono uno degli aspetti più spinosi del difficile rapporto tra imprese e banche. Parallelamente alla rischiosità creditizia, torna alla ribalta il tema della scarsa robustezza dell’impianto assicurativo. Questo perché alle piccole e medie imprese vengono chiesti premi decisamente superiori a quelli applicati alle grandi industrie. Stando ad un report Ania pubblicato nel 2010, questa situazione spinge le Pmi a contrarre gli investimenti in coperture assicurative, tant’è che, all’epoca, una percentuale piuttosto elevata delle imprese risultava priva di un'assicurazione contro il rischio di incendio.
Eppure in analisi più recenti, curate sempre da Ania in collaborazione con Cerved, è stato evidenziato come in realtà sia proprio la crescente attenzione verso le coperture assicurative a garantire un più agevole accesso al credito e, soprattutto, migliori condizioni.
L’analisi Ania - Cerved
L’analisi in oggetto, rilasciata a settembre 2014, ha preso in esame la configurazione delle garanzie assicurative in un campione significativo di Pmi (circa 500.000 aziende con un numero di dipendenti inferiore a 250 unità), indagando il rapporto con la valutazione del merito creditizio. È stata stabilita una relazione statistica, seppur non strettamente lineare, tra l’estensione delle coperture assicurative e il rischio di credito. Il rapporto tra rischiosità creditizia e grado di copertura assicurativa è stato calcolato utilizzando l’indice Gca, il primo indicatore sintetico, costruito da Ania in collaborazione con esperti di settore sulla base di “opinioni di esperti”.
L’indice determina il grado di copertura assicurativa delle Pmi secondo una scala tra lo 0% e il 100%, in funzione del grado. Ad esempio, se il valore risultante è pari al 75%, significa che i tre quarti dell’incertezza dovuta ad eventi avversi in grado di essere coperti sono stati trasferiti alla compagnia assicuratrice. Tale dato, non potendo garantire la completezza di informazione in quanto composto da un campione di imprese con almeno una copertura assicurativa, è stato successivamente incrociato con una simulazione tramite la tecnica del bootstrap. Sono stati pertanto estratti 500 campioni casuali di imprese italiane non presenti nel database Ania, in base ai tassi di copertura assicurativa per settore / area geografica individuati. Dall’incrocio è emerso che le Pmi non appartenenti al campione Ania estratte manifestano un tasso di default medio sistematicamente più elevato rispetto a controparti presenti nel campione Ania. La significatività del fenomeno risulta non omogena tra i diversi comparti, più forte nei settori dell’edilizia e manifatturiero e meno evidente nel commercio, trasporti e servizi.
Agevolare la spinta alle coperture
Eppure, stando alle elaborazioni Censis 2014, in parallelo alla relazione inversamente proporzionale tra coperture assicurative e rischio di default, è sicuramente in crescita la richiesta di garanzie reali da parte delle banche, che durante la crisi ha registrato un vero e proprio boom: +34,8%, da giugno 2009 a giugno 2010, gli anni più caldi della congiuntura economica. Se le Pmi rinunciano o limitano la richiesta di coperture assicurative a supporto dell’attività, parimenti gli istituti di credito impongono requisiti sempre più severi per l’accesso al credito. Lo studio Censis sottolinea che la modernizzazione nel Paese procede a singhiozzo, con brusche inversioni di tendenza da parte delle banche, che negli ultimi anni si sono focalizzate sempre più frequentemente sul retail, con un impoverimento della capacità di “fare credito”, anche attraverso l’analisi della clientela corporate, a favore di un ingessamento delle procedure e un ingolfamento decisionale.
Un’impasse difficilmente risolvibile nel breve periodo. Soprattutto perché procede attraverso due binari paralleli. Da un lato c’è il tema della capacità di reperire, da parte delle aziende, ma anche di fornire da parte delle banche, strumenti di finanziamento. In questo senso, l’investment compact entra come un’onda d’urto in uno scenario di difficili equilibri, estendendo alle PMI innovative la logica delle agevolazioni fiscali che prima spettavano solo alle start-up. Contemporaneamente, la manovra di Quantitative Easing varata dalla Bce dovrebbe garantire alle banche un eccesso di cassa nei bilanci da reinvestire. In questo contesto ben si inserisce l’accordo siglato da Confindustria e Cerved per la creazione di un protocollo d’intesa volto a dare una spinta al rating pubblico. L’obiettivo è di favorire la crescita delle piccole e medie imprese e delle società non quotate agevolando l’accesso a strumenti di debito e di equity. Il rating pubblico consentirebbe alle imprese di ottenere una valutazione pubblica, emessa da un soggetto riconosciuto dall’Autorità Europea competente in materia (Esma): un certificato univoco di solidità economico-finanziaria.
In sinergia con le azioni volte a migliorare l’accesso al credito, le Pmi devono tuttavia poter disporre di strumenti assicurativi adeguati, con un’adeguata copertura ma, soprattutto, con una forte sensibilizzazione al tema della gestione del rischio, ad oggi molto trascurato o sottovalutato. Secondo una ricerca Aiba del 2014, le Pmi italiane sono pesantemente sotto-assicurate: il 14% non ha un’assicurazione contro gli incendi e addirittura il 31% non si protegge dai furti. Solo il 28% si tutela dai rischi tecnologici, il 23% non ha coperture di responsabilità civile sui prodotti, il 15% ha sottoscritto polizze credito e cauzioni e il 12% coperture inquinamento. Drammaticamente, soltanto il 3% si assicura contro le interruzioni di attività, in seguito a un incendio o a una inondazione.
Che fare allora? Sensibilizzare le aziende, punto primo. Ma offrire anche strumenti concreti, quali ad esempio incentivi agli imprenditori che hanno sottoscritto prodotti assicurativi in grado di difendere fabbrica e impianti da eventi avversi. Senza dimenticare che personalizzazione dell’offerta, focus sulle capacità assuntive, consulenza assicurativa e risk management sono i plus di un’offerta appetibile per le piccole e medie aziende, che oggi si focalizzano molto sulla competizione sul prezzo e la standardizzazione delle offerte, laddove invece i driver per la svolta sembrano essere costituiti dall’innovazione e dal recupero della redditività.
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