Polizze Vita: quanto spetta agli eredi
Interessanti novità dalla Cassazione sulle modalità di liquidazione: da un caso recente, il suggerimento alle compagnie a sensibilizzare i contraenti nell’indicare nominativamente i beneficiari o le rispettive quote di ripartizione
25/05/2016
D’ora in avanti le compagnie di assicurazione dovranno prestare maggiore attenzione alla liquidazione delle prestazioni in caso di decesso delle polizze vita, dovendosi attenere alle regole civilistiche dettate in materia successoria, in mancanza di espresse indicazioni di diverso tenore da parte dei contraenti.
È quanto si desume dalla decisione della Corte di Cassazione n. 19210 del 29 settembre 2015 che, modificando il precedente e ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che ove il contraente abbia designato quali beneficiari della polizza i propri eredi legittimi, la ripartizione della prestazione assicurativa al decesso dell’assicurato debba essere effettuata secondo le porzioni che agli stessi spetterebbero in applicazione delle quote ereditarie fissate dal Codice Civile per la successione legittima, e non già in parti uguali fra loro.
Il caso e le motivazioni della Corte
La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte non è così infrequente: il coniuge superstite dell’assicurato contestava l’errata liquidazione della prestazione effettuata dalla compagnia che, al verificarsi del decesso, aveva ripartito il quantum dovuto in parti uguali fra gli eredi legittimi del contraente all’apertura della successione (in quel caso, il coniuge superstite e i due figli della sorella del de cuius). Il coniuge ricorrente chiedeva, invece, che la ripartizione venisse effettuata “per stirpi” e non in parti uguali, in quanto i nipoti del de cuius partecipavano alla successione per diritto di rappresentazione (art. 467 Cod. Civ.) della propria madre (sorella dell’assicurato, premorta allo stesso). Per la precisione, l’art. 582 del Codice Civile riserva al coniuge che concorre con gli ascendenti, i fratelli o le sorelle del de cuius, una quota pari ai 2/3 dell’asse ereditario, ma, nel caso in esame, la parte ricorrente aveva erroneamente calcolato la quota di propria spettanza chiedendo che le fosse riconosciuta soltanto la metà della prestazione assicurativa anziché i 2/3 della stessa.
Come anticipato, la decisione della Suprema Corte ha ribaltato il proprio precedente orientamento, facendo leva sulla corretta interpretazione della volontà del contraente nelle ipotesi in cui i beneficiari designati siano stati individuati con il mero riferimento alla categoria degli “eredi legittimi” e in assenza di precisazioni in merito alla ripartizione del quantum fra costoro. In tali ipotesi, la volontà del contraente si presume essere quella di attribuire ai beneficiari/eredi legittimi una porzione della prestazione assicurativa pari a quanto ad essi spetterebbe se si applicassero le norme civilistiche in materia di devoluzione ereditaria. Insomma, il richiamo alla figura dell’erede contenuta in un contratto assicurativo dovrebbe costituire un criterio per la compagnia non solo ai fini dell’individuazione del soggetto che rivesta detta qualità, ma anche per la determinazione della misura dell’attribuzione patrimoniale da effettuare.
Come chiarisce la Cassazione, una simile interpretazione può essere operata esclusivamente in assenza di espresse ed inequivoche indicazioni del contraente in merito alle percentuali di ripartizione cui la compagnia dovrà attenersi nella liquidazione della prestazione.
Osservazioni critiche
In considerazione della giurisprudenza finora edita, i criteri per la liquidazione delle polizze caso morte appaiono piuttosto contraddittori e rendono quindi la fase liquidativa sempre più difficoltosa per le compagnie.
Infatti, la Cassazione in commento richiede alle compagnie la corretta applicazione delle norme successorie, il che presuppone necessariamente una compiuta conoscenza, oltre che delle norme stesse, anche dello stato successorio dell’assicurato. Al contrario, la stessa Cassazione ha però appena ritenuto vessatoria la clausola contenuta in una polizza con la quale si richiedeva al beneficiario di produrre l’atto notorio riguardante lo stato successorio del de cuius (Cass. n. 17024 del 20 agosto 2015, che l’Ivass ha raccomandato alle compagnie di applicare con la Lettera al Mercato del 17 novembre 2015) in quanto “inutile, posto che il beneficiario acquista il diritto all’indennizzo jure proprio, non certo jure haereditario”.
Per superare questo empasse, sarebbe opportuno che le compagnie e gli intermediari sensibilizzassero i contraenti a designare i beneficiari caso morte indicando anche la misura percentuale della prestazione che la compagnia sarà tenuta a liquidare in favore di ciascuno di essi. In questo modo si permetterebbe alle parti di avere una maggiore certezza circa l’effettiva ripartizione della prestazione al decesso, evitando di dover richiedere la consegna dell’atto notorio e riducendo così la complessità delle attività istruttorie propedeutiche al pagamento della prestazione stessa.
È quanto si desume dalla decisione della Corte di Cassazione n. 19210 del 29 settembre 2015 che, modificando il precedente e ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che ove il contraente abbia designato quali beneficiari della polizza i propri eredi legittimi, la ripartizione della prestazione assicurativa al decesso dell’assicurato debba essere effettuata secondo le porzioni che agli stessi spetterebbero in applicazione delle quote ereditarie fissate dal Codice Civile per la successione legittima, e non già in parti uguali fra loro.
Il caso e le motivazioni della Corte
La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte non è così infrequente: il coniuge superstite dell’assicurato contestava l’errata liquidazione della prestazione effettuata dalla compagnia che, al verificarsi del decesso, aveva ripartito il quantum dovuto in parti uguali fra gli eredi legittimi del contraente all’apertura della successione (in quel caso, il coniuge superstite e i due figli della sorella del de cuius). Il coniuge ricorrente chiedeva, invece, che la ripartizione venisse effettuata “per stirpi” e non in parti uguali, in quanto i nipoti del de cuius partecipavano alla successione per diritto di rappresentazione (art. 467 Cod. Civ.) della propria madre (sorella dell’assicurato, premorta allo stesso). Per la precisione, l’art. 582 del Codice Civile riserva al coniuge che concorre con gli ascendenti, i fratelli o le sorelle del de cuius, una quota pari ai 2/3 dell’asse ereditario, ma, nel caso in esame, la parte ricorrente aveva erroneamente calcolato la quota di propria spettanza chiedendo che le fosse riconosciuta soltanto la metà della prestazione assicurativa anziché i 2/3 della stessa.
Come anticipato, la decisione della Suprema Corte ha ribaltato il proprio precedente orientamento, facendo leva sulla corretta interpretazione della volontà del contraente nelle ipotesi in cui i beneficiari designati siano stati individuati con il mero riferimento alla categoria degli “eredi legittimi” e in assenza di precisazioni in merito alla ripartizione del quantum fra costoro. In tali ipotesi, la volontà del contraente si presume essere quella di attribuire ai beneficiari/eredi legittimi una porzione della prestazione assicurativa pari a quanto ad essi spetterebbe se si applicassero le norme civilistiche in materia di devoluzione ereditaria. Insomma, il richiamo alla figura dell’erede contenuta in un contratto assicurativo dovrebbe costituire un criterio per la compagnia non solo ai fini dell’individuazione del soggetto che rivesta detta qualità, ma anche per la determinazione della misura dell’attribuzione patrimoniale da effettuare.
Come chiarisce la Cassazione, una simile interpretazione può essere operata esclusivamente in assenza di espresse ed inequivoche indicazioni del contraente in merito alle percentuali di ripartizione cui la compagnia dovrà attenersi nella liquidazione della prestazione.
Osservazioni critiche
In considerazione della giurisprudenza finora edita, i criteri per la liquidazione delle polizze caso morte appaiono piuttosto contraddittori e rendono quindi la fase liquidativa sempre più difficoltosa per le compagnie.
Infatti, la Cassazione in commento richiede alle compagnie la corretta applicazione delle norme successorie, il che presuppone necessariamente una compiuta conoscenza, oltre che delle norme stesse, anche dello stato successorio dell’assicurato. Al contrario, la stessa Cassazione ha però appena ritenuto vessatoria la clausola contenuta in una polizza con la quale si richiedeva al beneficiario di produrre l’atto notorio riguardante lo stato successorio del de cuius (Cass. n. 17024 del 20 agosto 2015, che l’Ivass ha raccomandato alle compagnie di applicare con la Lettera al Mercato del 17 novembre 2015) in quanto “inutile, posto che il beneficiario acquista il diritto all’indennizzo jure proprio, non certo jure haereditario”.
Per superare questo empasse, sarebbe opportuno che le compagnie e gli intermediari sensibilizzassero i contraenti a designare i beneficiari caso morte indicando anche la misura percentuale della prestazione che la compagnia sarà tenuta a liquidare in favore di ciascuno di essi. In questo modo si permetterebbe alle parti di avere una maggiore certezza circa l’effettiva ripartizione della prestazione al decesso, evitando di dover richiedere la consegna dell’atto notorio e riducendo così la complessità delle attività istruttorie propedeutiche al pagamento della prestazione stessa.
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