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Risarcimento o arricchimento?

Sarà assegnata alle Sezioni Unite la dibattuta questione della limitazione degli indennizzi nel caso in cui contributi di origine diversa, seppur dovuti, eccedano il necessario al ristoro del danno

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Con quattro ordinanze interlocutorie del giugno scorso, la sezione terza della Corte Suprema di Cassazione ha rimesso al primo presidente la valutazione circa l’assegnazione alle Sezioni Unite della vexata quaestio se, nella liquidazione del danno, debba tenersi conto del vantaggio che la vittima ha comunque ottenuto in conseguenza del fatto illecito, ad esempio percependo emolumenti da assicuratori privati o sociali, da enti di previdenza ovvero da terzi in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante.

Quattro casi guida
La prima ordinanza (n. 15.534 del 22 giugno 2017 – rel. dott. Vincenti) ha a oggetto la controversia sorta a seguito della sciagura aerea di Ustica del 27 giungo 1980 tra la proprietaria dell’aeromobile e i ministeri della difesa, dei trasporti e dell’interno, con la contestazione della prima riguardo al mancato riconoscimento da parte della Corte d’appello del danno da perdita dell’aeromobile, per avere la società già incassato un indennizzo dalla propria assicurazione privata pari a oltre tre miliardi di lire, mentre il valore del velivolo, al momento del sinistro, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, era di gran lunga inferiore.
La seconda ordinanza (n. 15535 del 22 giugno 2017 – rel. dott. Rubino) trae origine dal ricorso del danneggiato in un sinistro stradale avverso la sentenza della Corte d’appello, che lo aveva condannato a restituire alla compagnia assicurativa del danneggiante la somma percepita in eccedenza rispetto all’importo liquidato in primo grado (comprensivo del danno morale, del danno da mancato guadagno, di quello da invalidità permanente e da inabilità temporanea), pari a quanto già percepito dall’Inail a titolo di rendita vitalizia a ristoro del danno patrimoniale per il medesimo evento dannoso (trattasi di infortunio precedente all’entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000, previsto dal d.lgs. n. 38 del 2000).
Alla base della terza ordinanza (n. 15536 del 22 giugno 2017 – rel. dott. Moscarini) vi è il ricorso degli eredi della vedova di una vittima di un incidente stradale avverso la sentenza di secondo grado che aveva escluso l’esistenza di un danno patrimoniale da perdita dell’aiuto economico ricevuto dal defunto, avendo la vedova beneficiato, dopo la morte del marito, di una pensione di reversibilità pari al 60% circa della pensione percepita dallo scomparso. Per tale motivo, sia il Tribunale sia la Corte d’appello, avevano ritenuto che tale erogazione da parte dell’ente di previdenza elidesse l’esistenza di un danno patrimoniale.
La fattispecie sottesa alla quarta ordinanza (n. 15.537 del 22 giugno 2017 – rel. dott. Rossetti) riguarda, infine, la vicenda di un neonato che, a causa dalla ritardata esecuzione del parto cesareo, subì gravissimi danni di cui furono chiamati a rispondere in solido l’azienda ospedaliera e il medico di turno. Il ricorso proposto dal medico avverso la decisione della Corte d’appello, pone alla Corte di legittimità, tra le altre, la questione se, nella liquidazione del danno patrimoniale, consistito nelle spese sanitarie e di assistenza che una persona invalida sarà costretta a sostenere per tutta la vita, debba tenersi conto dell’indennità di accompagnamento erogata dall’Inps, come pure dei benefici accordati alla vittima dall’assistenza pubblica.

Va garantito l’equilibrio economico precedente
Le quattro le ordinanze in esame non si sono semplicemente limitate a dare conto dei plurimi e contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali a riguardo, ma ne hanno evidenziato le ragioni di criticità, facendosi parte attiva nel compito di nomofilachia riservato alle Sezioni Unite.
In particolare, tutte e quattro le ordinanze hanno precisato come il principio per il quale il risarcimento del danno non possa rendere la vittima dell’illecito né più ricca né più povera di quanto non fosse prima della commissione dell’illecito, si desuma chiaramente da una serie di norme contenute nel Codice Civile, tra cui in primis l’art. 1223, in forza del quale il risarcimento deve includere solo la perdita subita e il mancato guadagno, e gli artt. 1909 e 1910 che, assoggettando l’assicurazione contro i danni al principio indennitario, escludono che la vittima di un danno possa cumulare risarcimento e indennizzo.
Alla luce delle norme contenute nel Codice Civile e in leggi speciali, le quattro ordinanze hanno rilevato come non possa essere negata l’esistenza di un principio generale secondo cui vantaggi e svantaggi derivati da una medesima condotta possono compensarsi anche se alla produzione di essi hanno concorso, insieme alla condotta umana, altri atti o fatti, ovvero direttamente una previsione di legge.

È una copertura, non una scommessa
Quanto, poi, ai profili più strettamente attinenti all’ambito assicurativo e al problema del cumulo tra indennizzo dovuto in forza di un contratto di assicurazione contro i danni e risarcimento dovuto dal terzo responsabile dell’evento dannoso, l’ordinanza n. 15.534 del 22 giugno 2017 rileva la fallacia dell’argomentazione per la quale, avendo l’assicurato pagato i premi, egli avrebbe comunque diritto all’indennizzo in aggiunta al risarcimento, altrimenti il pagamento dei premi sarebbe senza causa.
Ciò in quanto il pagamento del premio – che deve ritenersi il corrispettivo del trasferimento del rischio e non del pagamento dell’indennizzo – non è mai privo causa, posto che nel momento in cui viene effettuato vi è incertezza obiettiva sul verificarsi del sinistro e sulla solvibilità del responsabile. Del resto – afferma la Cassazione – “se fosse sufficiente pagare il premio per cumulare indennizzo e risarcimento, e quindi trasformare il sinistro in una occasione di lucro, allora si dovrebbe conseguentemente ammettere che il contratto concluso non è più un’assicurazione, ma una scommessa, nella quale puntando una certa somma (il premio) lo scommettitore può ottenere una remunerazione complessiva assai superiore al danno subìto”.

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