Mercato diviso tra agenti e offerte digital
Il servizio al cliente deve essere “centrale”. Diventa oggi indispensabile cercare di fornire la migliore consulenza tecnica e di assistenza ma anche di comprensione, per andare incontro alle esigenze di tutela assicurativa e di capacità economiche. In altre parole, l’offerta deve essere opportunamente adattata al budget annuale del cliente.
Purtroppo, e questo è noto, non sempre l’assicurato desidera la “migliore polizza” con ampie garanzie e coperture. I clienti (acquisiti o potenziali), in certe fasi della vita preferiscono un prodotto dalla copertura ridotta, quindi meno caro, in linea però con il loro bilancio. L’importante, per coloro che offrono il contratto assicurativo, è che l’offerta – seppur ridotta nelle garanzie – sia chiara e inequivocabile e che l’assicurato sia cosciente di ciò che acquista. Il cliente deve capire ciò che gli è stato venduto e, seppur ridotto, se sia adeguato alle sue esigenze.
Una solida fidelizzazione si può attuare con una semplice chiave di volta: saper comunicare con l’assicurato “a due vie”, costruendo un dialogo interessante e utile per ambedue le parti in causa.
Questo 2015, per il comparto assicurativo, sarà un anno cruciale e assolutamente innovativo. La mancanza di crescita economica, i bassi tassi di interesse, la disoccupazione altissima e una concorrenza, diciamo “vivace”, non credo impediscano al nostro mercato di impadronirsi di sicure opportunità, conquistandosi maggiori spazi con la clientela.
Questo può avvenire solo, data la fase di stallo che attraversa l’intermediazione italiana e la continua diminuzione dei “punti vendita”, andando a estendere i canali di comunicazione digitale.
Il che, però, potrebbe creare un danno agli agenti che non sono stati capaci di far approvare regole serie sulla titolarità dei dati. Le compagnie, invece, saranno in grado di utilizzare al meglio la miriade di informazioni digitali che sono state raccolte, con dovizia di particolari, dalle stesse reti agenziali. Questa situazione, per molti versi ambigua, da molti lustri non è mai stata chiarita, perché imbrigliata tra diritti e doveri mai sanciti, tra lotte nella categoria agenziale che, a oggi, non hanno portato a nulla. E ora penso che sia troppo tardi per invertire la rotta.
Sappiamo anche che la società italiana non ha una bella opinione del settore assicurativo. Questo è un aspetto di rilievo del problema che si inserisce, gioco forza, nell’alveo del cambiamento, attualissimo, dei modelli distributivi del terzo millennio.
Resta la valutazione dei canali digitali, che non sono attrezzati, e difficilmente lo saranno, per consolidare i punti di controllo con il cliente. Ad esempio, la riforma di una polizza rami elementari, giunta a scadenza, sarebbe sicuramente l’occasione per un agente di farsi spazio e di conquistare ciò che un addetto al call center non è in grado di attuare perché gli manca la conoscenza del cliente, del rischio, del territorio e della concorrenza locale.
Sicuramente le imprese cercheranno di superare “l’ostacolo fidelizzazione”, usando al meglio i dati, tentando di personalizzare il prodotto; anche se con i comparatori diventa realmente problematico, considerato la mancanza di flessibilità del mezzo.
Guardando velocemente al ramo vita, che negli ultimi tre anni ha avuto risultati brillanti, il troppo capitale associato e i rendimenti scarsi rappresentano la vera incognita che, quest’anno, renderà più pessimisti i direttori finanziari dei primari gruppi assicurativi. Nel settore tutti si rendono conto che le opportunità positive d’investimento stanno scemando piano, piano, peggiorando la situazione generale.
Il pessimismo sul settore vita è in aumento: colpa dei bassi rendimenti che costituiscano la vera minaccia per quelle polizze che prevedono un rendimento minimo garantito.
La ricerca di fonti di reddito deve tener conto di Solvency II, dei requisiti patrimoniali richiesti e dei più elevati livelli di volatilità dei mercati azionari.
In altre parole, le compagnie che operano sul nostro territorio sanno di dover conciliare i modelli di business con la caduta libera dei tassi d’interesse.
Ma sono certa che i nostri duecento anni di storia sapranno dare le giuste risposte.
Purtroppo, e questo è noto, non sempre l’assicurato desidera la “migliore polizza” con ampie garanzie e coperture. I clienti (acquisiti o potenziali), in certe fasi della vita preferiscono un prodotto dalla copertura ridotta, quindi meno caro, in linea però con il loro bilancio. L’importante, per coloro che offrono il contratto assicurativo, è che l’offerta – seppur ridotta nelle garanzie – sia chiara e inequivocabile e che l’assicurato sia cosciente di ciò che acquista. Il cliente deve capire ciò che gli è stato venduto e, seppur ridotto, se sia adeguato alle sue esigenze.
Una solida fidelizzazione si può attuare con una semplice chiave di volta: saper comunicare con l’assicurato “a due vie”, costruendo un dialogo interessante e utile per ambedue le parti in causa.
Questo 2015, per il comparto assicurativo, sarà un anno cruciale e assolutamente innovativo. La mancanza di crescita economica, i bassi tassi di interesse, la disoccupazione altissima e una concorrenza, diciamo “vivace”, non credo impediscano al nostro mercato di impadronirsi di sicure opportunità, conquistandosi maggiori spazi con la clientela.
Questo può avvenire solo, data la fase di stallo che attraversa l’intermediazione italiana e la continua diminuzione dei “punti vendita”, andando a estendere i canali di comunicazione digitale.
Il che, però, potrebbe creare un danno agli agenti che non sono stati capaci di far approvare regole serie sulla titolarità dei dati. Le compagnie, invece, saranno in grado di utilizzare al meglio la miriade di informazioni digitali che sono state raccolte, con dovizia di particolari, dalle stesse reti agenziali. Questa situazione, per molti versi ambigua, da molti lustri non è mai stata chiarita, perché imbrigliata tra diritti e doveri mai sanciti, tra lotte nella categoria agenziale che, a oggi, non hanno portato a nulla. E ora penso che sia troppo tardi per invertire la rotta.
Sappiamo anche che la società italiana non ha una bella opinione del settore assicurativo. Questo è un aspetto di rilievo del problema che si inserisce, gioco forza, nell’alveo del cambiamento, attualissimo, dei modelli distributivi del terzo millennio.
Resta la valutazione dei canali digitali, che non sono attrezzati, e difficilmente lo saranno, per consolidare i punti di controllo con il cliente. Ad esempio, la riforma di una polizza rami elementari, giunta a scadenza, sarebbe sicuramente l’occasione per un agente di farsi spazio e di conquistare ciò che un addetto al call center non è in grado di attuare perché gli manca la conoscenza del cliente, del rischio, del territorio e della concorrenza locale.
Sicuramente le imprese cercheranno di superare “l’ostacolo fidelizzazione”, usando al meglio i dati, tentando di personalizzare il prodotto; anche se con i comparatori diventa realmente problematico, considerato la mancanza di flessibilità del mezzo.
Guardando velocemente al ramo vita, che negli ultimi tre anni ha avuto risultati brillanti, il troppo capitale associato e i rendimenti scarsi rappresentano la vera incognita che, quest’anno, renderà più pessimisti i direttori finanziari dei primari gruppi assicurativi. Nel settore tutti si rendono conto che le opportunità positive d’investimento stanno scemando piano, piano, peggiorando la situazione generale.
Il pessimismo sul settore vita è in aumento: colpa dei bassi rendimenti che costituiscano la vera minaccia per quelle polizze che prevedono un rendimento minimo garantito.
La ricerca di fonti di reddito deve tener conto di Solvency II, dei requisiti patrimoniali richiesti e dei più elevati livelli di volatilità dei mercati azionari.
In altre parole, le compagnie che operano sul nostro territorio sanno di dover conciliare i modelli di business con la caduta libera dei tassi d’interesse.
Ma sono certa che i nostri duecento anni di storia sapranno dare le giuste risposte.
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