L’aggiornamento delle competenze e una corretta comunicazione da parte dei media sono la chiave per avvicinare imprese e cittadini agli strumenti complementari di politiche sociali. Questo la sintesi del Welfare Italia Forum 2018, che si è tenuto ieri a Roma, dove stakeholder pubblico-privati si sono confrontati sulle strade da percorrere
Un italiano su due è preoccupato per la non autosufficienza, uno su tre teme che la propria pensione sia inadeguata, e il 50% ritiene che il welfare non offra una buona copertura per i rischi.
Tuttavia, il 61% non intende fare assicurazioni sanitarie o piani previdenziali integrativi (65%) e il 52% non prevede di attivare polizze per la non autosufficienza.
Un’ambivalenza e un paradosso tutto italiano: da un lato cresce la consapevolezza che il sistema non potrà reggere, dall’altro non si intravede nessun comportamento proattivo per affrontare questo scenario. È il quadro emerso dall’indagine Ipsos presentata ieri a Roma nel corso del Welfare Italia Forum 2018, l’iniziativa promossa dal gruppo Unipol dove stakeholder pubblico-privati si sono confrontati su scenari, best practice e soluzioni.
Italiani preoccupati ma inerti
L’intesa giornata di lavoro si è aperta con i dati della ricerca Gli italiani: bisogni, aspettative e scelte di welfare, presentati dal presidente di Ipsos, Nando Pagnoncelli. Dall’indagine emerge che le disuguaglianze e la povertà stanno aumentando (nel 2017, 1 milione e 778 mila famiglie viveva in povertà assoluta) e gli italiani si dicono preoccupati soprattutto sul fronte del lavoro (76%), dell’immigrazione (44%) e del welfare (38%). In particolare, temono una possibile condizione di malattia o non autosufficienza (46%), l’inadeguatezza della pensione (36%), la difficoltà a far fronte alle spese (30%) e la mancanza di una prospettiva lavorativa (29%). Pur tuttavia, l’86% non si pone il problema di come affrontare in termini
economici un’eventuale disabilità in vecchiaia: a disporre di un’assicurazione sanitaria e di un piano pensionistico integrativo sono solo, rispettivamente, il 22% e il 30% della popolazione, nonostante la consapevolezza di un sistema di welfare non sostenibile nel lungo periodo.
Il futuro per le politiche sociali, su cui grava anche l’eccessiva burocrazia dello Stato, ha affermato il ministro per la Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, deve partire dalla trasformazione digitale dove, “siamo ancora all’anno zero”. Qui un volano potrà essere il fascicolo elettronico che, una volta realizzato, sarà lo “scatto nella sanità” e il “salto nel futuro”.
Il Bel Paese: fanalino di coda
Ma ci sono altri problemi da superare per rilanciare il welfare integrativo. Secondo Alberto Brambilla, presidente centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, le leve su cui è necessario agire sono la formazione e l’informazione.
Gli italiani, ha spiegato, danno un giudizio negativo su sanità, sistema pensionistico e assistenziale, ma non tengono conto che il 54,2% della spesa pubblica è destinata al welfare, contro il 52% della Svezia. A questo poi si aggiunge il fatto che ben il 46% dei contribuenti paga il 2,8% dell’Irpef e solo il 12% ne paga il 55%. Dati ignorati dagli italiani, secondo Brambilla, a causa di una scarsa formazione e informazione da parte dei media, e che ci portano a essere il fanalino di coda in tutto il welfare integrativo.
Sul fronte aziendale, l’accento è stato messo sui numeri esigui: Brambilla ha quindi esortato a introdurre un accordo plurisoggettivo per aiutare le piccole imprese, a estendere i servizi all’assistenza sanitaria e all’autosufficienza e a scongiurare l’introduzione della flat tax che eliminerebbe le detrazioni fiscali che sono a oggi il principale propulsore. Sull’assistenza
sanitaria integrativa, poi grava l’assenza di una legge che la disciplini, così come di un organismo di controllo e, ad oggi, i fondi sanitari ammontano a quattro miliardi nonostante i 36 miliardi di spesa privata.
Accordi territoriali e non settoriali
L’importanza della formazione è stata ribadita da Carlo Cimbri, ad del gruppo Unipol. Intervistato dal vice direttore del Corriere della Sera, Antonio Polito, Cimbri ha affermato che la formazione rappresenta “la terza gamba del welfare” (insieme a previdenza e sanità). L’intelligenza artificiale, ha spiegato, richiederà nuove professionalità: la formazione, dunque, deve diventare “pilastro necessario nel welfare aziendale”.
Resta il problema di come estendere questo strumento alla maggioranza del nostro sistema produttivo. Innanzitutto, abbandonando il modello verticale di contrattazione con accordi orizzontali di natura territoriale e non più settoriale, favorendo infrastrutture di rete e investimenti privati. E, per avvicinare anche il piccolo imprenditore, Unipol fa leva sulla rete agenziale che, in parallelo alle coperture rischi, propone pacchetti di welfare: questo, ha osservato Cimbri, è il “contributo che il privato può dare per consentire l’accesso al welfare a chi oggi ne è escluso”. Viceversa, il compito della classe dirigente è quello di guidare le scelte dei cittadini incentivando la “collettivizzazione della domanda per salvaguardare un tenore di welfare adeguato” e favorendo l’integrazione fra gli incentivi fiscali previsti per le varie componenti del welfare.
Esperienze di motivazione aziendale
La giornata è proseguita con sessioni parallele dove
ricercatori, aziende e rappresentanti del settore sindacale si sono confrontati
sui passi da compiere, ma anche sul racconto di alcune best practice di welfare
aziendale. Come il caso della Ducati che ha puntato sulla creazione di un team
fortemente motivato anche attraverso incentivi, quali polizze sanitarie integrative,
utilizzo della piattaforma on line di welfare, sistema di rimborsi (asili,
scuole, Università, campi estivi, libri scolastici), servizi di mobilità (car
pooling, leasing, sconti auto), smart working, modulazione dell’orario di
lavoro, banca delle ferie solidali (sistema per donare ferie in eccesso a
lavoratori bisognosi), ma anche eventi (family day, kids party, world Ducati
week) che creano senso di appartenenza.
Alla ricerca di stabilità
A chiudere i lavori il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, che ha sottolineato l’importanza di “rafforzare le reti di protezione con sistemi di welfare generosi”. Il riferimento è alle misure inserite nella manovra di Bilancio, come il pensionamento anticipato e il reddito di cittadinanza: c’è un “problema di stabilità sociale che serve alla stabilità finanziaria”, ha spiegato il ministro, ricordando che con l’accentuamento della globalizzazione si è pensato, sbagliando, di ridurre il welfare per restare competitivi. Anche Tria ha ammesso i limiti del pubblico, spesso imbavagliato da meccanismi farraginosi e dalla mancanza di capacità tecnica della pubblica amministrazione che impedisce la ripresa degli investimenti pubblici e quindi della crescita. Il problema, ha concluso, è cambiare norme, regolamenti e codici degli appalti, ma anche rilanciare progetti di investimento.
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