Itinerari Previdenziali: l’assistenza è il fardello della spesa pubblica
Negli ultimi dieci anni il sistema pensionistico si è ben comportato: i numeri alla fine del 2019 erano positivi e l’impatto potenzialmente negativo di Quota 100 è stato molto limitato. Ora, però, complice la pandemia (ma non solo) le cose sono destinate a peggiorare
L’Italia spende troppo per il welfare? Falso. Spende male? In parte è così. Luoghi comuni da smentire e altri da confermare ci aiutano a misurare la febbre del Paese, a capire se il malato cronico sta ricevendo le cure giuste, o se la terapia è peggiore della malattia. Come ogni anno, il Rapporto di Itinerari Previdenziali, giunto all’ottava edizione, fa il punto sul sistema di welfare italiano mostrando alla politica e all’opinione pubblica ciò che, alla prova dei fatti, (non) ha funzionato, proponendo anche idee che potrebbero migliorare l’efficienza e la tenuta del sistema Italia. Presentato ieri presso la Camera dei deputati dal presidente del Centro studi di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, il rapporto parte da un dato importante: prima dello scoppio della pandemia, a fine 2019 il rapporto tra attivi e pensionati ha toccato il valore migliore di tutti i tempi, molto vicino a quell’1,5 che, come ha detto Brambilla “ci farebbe stare tranquilli” riguardo la stabilità a lungo termine del sistema previdenziale italiano.
LIMITATI I DANNI DI QUOTA 100
Alla fine del 2019, i dati erano incoraggianti: il numero di pensionati si attestava poco sopra la soglia di 16 milioni, in crescita rispetto all’anno precedente (+0,19%) ma meno di quello che ci si sarebbe aspettato con Quota 100. Negli ultimi due anni, sono state 267mila le persone andate in pensione con Quota 100 “un numero molto inferiore rispetto alle previsioni”, ribadiscono da Itinerari Previdenziali, giacché il governo Conte 1 aveva stimato nel triennio quasi un milione di uscite.
Nel solo 2020, le persone uscite con Quota 100 sono state 117.034, un numero inferiore a quelle andate a riposo con la pensione anticipata (176.924), ovvero dopo aver raggiunto 42 anni e 10 mesi di contributi (o donne con 41 e 10 mesi) e aver atteso il periodo di finestra mobile.
Anche il dato sugli occupati non era mai stato così positivo nel 2019, giunti sopra la soglia dei 23 milioni, per un tasso di occupazione al 59,1%, anche questo un livello record spinto dal tasso di occupazione femminile (50,1%) e degli over 50 (61%).
NEL 2020 UN DISAVANZO DI 33 MILIARDI
“E tuttavia le buone notizie finiscono qui”, ha sottolineato Brambilla durante la presentazione del rapporto. Lo studio di Itinerari Previdenziali evidenzia che a fronte di 20,860 miliardi di disavanzo nel 2019 al netto dei trasferimenti dello Stato (230,259 miliardi di costo delle prestazioni e 209,999 di entrate contributive) nel 2020 la stima di disavanzo è di 33 miliardi con 233 miliardi di costo delle prestazioni e solo 200 miliardi di entrate contributive. Nel 2019 il disavanzo si era ridotto sia rispetto al 2018 sia rispetto al 2017. Secondo le proiezioni l’occupazione si ridurrà nel 2020 di oltre 700mila unità, mentre i pensionati cresceranno di 100mila unità. Il rapporto della spesa pensionistica sul Pil passerà dal 12,88% del 2019 al 14,48% del 2020 per poi arrivare al 14,11% nel 2021. Il disavanzo è rilevante per i dipendenti pubblici (giacché solo il 54,2% della spesa pensionistica è finanziata con le entrate contributive) e per i coltivatori diretti (35,7%).
IL PESO DELL’ASSISTENZA
Ma quando si parla di spesa, Itinerari Previdenziali evidenzia come la riclassificazione delle voci che la compongono consenta di smentire quanto spesso si afferma, e cioè che in Italia si spende molto meno per il welfare rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. La spesa per prestazioni sociali nel 2019 è stata di 488,336 miliardi di euro, pari al 56,1% dell’intera spesa pubblica italiana, con un incremento di circa 14 miliardi sul 2018; una percentuale che colloca l’Italia ai primi posti non solo tra i Paesi Ue ma anche a livello mondiale, nonostante il debito pubblico. Rispetto al 2012, l’aumento è stato del 13% pari a circa 56 miliardi strutturali (3,3% del Pil), imputabile però prevalentemente alla spesa assistenziale, che nel periodo è aumentata di 34,6 miliardi, pari al 61%, mentre nello stesso tempo il Pil è cresciuto del 10,8%.
Si tratta quindi di un aumento di gran lunga più elevato rispetto alla spesa lorda per le pensioni, che sono significativamente tassate, mentre la spesa assistenziale non è gravata da imposte, che nel periodo è aumentata del 9%, e di quella sanitaria, cresciuta del 4,5%. Il risultato di questo aumento della spesa assistenziale non è stato però un miglioramento della condizione dei cittadini. Come ha fatto notare Brambilla, “nel 2008 le persone in povertà assoluta erano circa due milioni, mentre nel 2019 il numero era più che raddoppiato a cinque milioni. La povertà relativa colpiva nel 2019 nove milioni di persone, mentre erano sei milioni nel 2008”.
RIPRENDERE IN MANO LA LEGGE FORNERO
Per cambiare le cose, tra le proposte principali del centro studi c’è sicuramente la fine di Quota 100 al termine del 2021 e la sostituzione con una sorta di Quota 102-103 per l’uscita anticipata: un sistema che non sarebbe troppo penalizzante poiché già in questi anni la maggioranza delle persone è uscita dal mondo del lavoro con un’età superiore a 62 anni e con un numero di anni di contributi superiore a 38. Sfruttando quindi la scadenza di Quota 100, è questa la posizione di Itinerari Previdenziali, si potrebbe fare “una vera e più equa revisione della legge Fornero, sicuramente non esente da criticità soprattutto in termini di rigidità dei requisiti d’uscita dal mondo del lavoro”. In definitiva, negli ultimi dieci anni il sistema pensionistico si è ben comportato: i due stabilizzatori automatici della spesa, cioè l’età di pensionamento correlata all’aspettativa di vita e l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione, insieme alle riforme, hanno consentito di stabilizzarne il sistema. Tuttavia, la spesa, come abbiamo visto, è destinata ad aumentare, raggiungendo livelli superiori a quelli della crisi del 2008.
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