Rischio politico nei Paesi emergenti, la nuova mappa redatta da Coface
A riemergere, nei 30 Stati presi in analisi, sono l'instabilità politica, l'ascesa del protezionismo e la bolla creditizia
02/04/2013
Coface ha pubblicato dei nuovi indicatori originali riguardanti il rischio politico nei Paesi emergenti, attraverso una mappa che ha provato a misurare quanto una determinata società sia capace di provocare rotture politiche. La analisi ha elaborando una griglia di lettura che mette in relazione due tipi di indicatori: le pressioni al cambiamento (inflazione, disoccupazione, controllo della corruzione ecc.), che misurano l'intensità delle tensioni sociopolitiche in un certo Paese, e gli strumenti del cambiamento (istruzione, social network, incidenza dei giovani, ruolo della donna ecc.), che colgono la capacità di queste società di tradurre tali frustrazioni in azione politica.
Complice la Primavera araba, fra i trenta Paesi emergenti presi in esame, sono quelli della zona del nord Africa e del Medio Oriente a distinguersi per la presenza di forti pressioni al cambiamento, sottolineando il rischio persistente di instabilità dell'area, soprattutto laddove i regimi post-rivoluzionari si sono dimostrati non all'altezza delle aspettative dei movimenti popolari che li hanno portati al potere. In modo analogo, in Nigeria, Russia, Kazakhstan e Cina si riscontrano simili livelli di frustrazione, sebbene limitati a causa della minore presenza di strumenti capaci di trasformare le frustrazioni in rottura di carattere politico.
Anche il controllo dei capitali e il protezionismo commerciale rappresentano anche un rischio che pesa sulle imprese: Russia, Argentina e India sono di gran lunga i Paesi più protezionisti, mentre il Messico, il Sudafrica e la Turchia restano relativamente aperti al commercio internazionale.
Il massiccio ricorso alle misure restrittive del commercio può portare a ritardi di pagamento più lunghi per gli importatori, ma soprattutto a barriere all'entrata per le imprese esportatrici verso quei Paesi che mettono in atto tali misure. A livello mondiale, gli effetti - per ora limitati - potrebbero aggravarsi nel contesto di divisione internazionale dei processi di produzione, penalizzando così l'attività di tutte le imprese della catena. Una tendenza, questa, che rischia di colpire soprattutto le imprese europee alla ricerca di sbocchi dinamici in un momento in cui la domanda domestica resta stagnante.
Un altro aspetto preso in esame da Coface è relativo alla bolla creditizia. Le politiche monetarie espansive attuate nei Paesi emergenti a partire dalla crisi 2008-2009 hanno favorito una crescita sostenuta del credito bancario, fino a formare vere e proprie bolle. Sulla base di un indicatore sintetico di bolle del credito, che mette in relazione il livello dello stock di credito e la sua crescita, Coface ritiene che l'Asia emergente sia la regione più a rischio (Malesia, Thailandia e, in misura minore, Corea del Sud, Cina e Taiwan). Altri Paesi hanno uno stock di crediti verso il settore privato meno elevato ma che aumenta rapidamente Cile, Turchia, Russia e Venezuela sono anch'essi in una situazione di boom del credito, o vi sono vicini.
Complice la Primavera araba, fra i trenta Paesi emergenti presi in esame, sono quelli della zona del nord Africa e del Medio Oriente a distinguersi per la presenza di forti pressioni al cambiamento, sottolineando il rischio persistente di instabilità dell'area, soprattutto laddove i regimi post-rivoluzionari si sono dimostrati non all'altezza delle aspettative dei movimenti popolari che li hanno portati al potere. In modo analogo, in Nigeria, Russia, Kazakhstan e Cina si riscontrano simili livelli di frustrazione, sebbene limitati a causa della minore presenza di strumenti capaci di trasformare le frustrazioni in rottura di carattere politico.
Anche il controllo dei capitali e il protezionismo commerciale rappresentano anche un rischio che pesa sulle imprese: Russia, Argentina e India sono di gran lunga i Paesi più protezionisti, mentre il Messico, il Sudafrica e la Turchia restano relativamente aperti al commercio internazionale.
Il massiccio ricorso alle misure restrittive del commercio può portare a ritardi di pagamento più lunghi per gli importatori, ma soprattutto a barriere all'entrata per le imprese esportatrici verso quei Paesi che mettono in atto tali misure. A livello mondiale, gli effetti - per ora limitati - potrebbero aggravarsi nel contesto di divisione internazionale dei processi di produzione, penalizzando così l'attività di tutte le imprese della catena. Una tendenza, questa, che rischia di colpire soprattutto le imprese europee alla ricerca di sbocchi dinamici in un momento in cui la domanda domestica resta stagnante.
Un altro aspetto preso in esame da Coface è relativo alla bolla creditizia. Le politiche monetarie espansive attuate nei Paesi emergenti a partire dalla crisi 2008-2009 hanno favorito una crescita sostenuta del credito bancario, fino a formare vere e proprie bolle. Sulla base di un indicatore sintetico di bolle del credito, che mette in relazione il livello dello stock di credito e la sua crescita, Coface ritiene che l'Asia emergente sia la regione più a rischio (Malesia, Thailandia e, in misura minore, Corea del Sud, Cina e Taiwan). Altri Paesi hanno uno stock di crediti verso il settore privato meno elevato ma che aumenta rapidamente Cile, Turchia, Russia e Venezuela sono anch'essi in una situazione di boom del credito, o vi sono vicini.
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