Le polizze parametriche nella prospettiva indennitaria
I risarcimenti dei danni basati su un indice predefinito e riconosciuto dalle parti si inserisce nel mercato assicurativo come una novità che può in realtà rivelarsi favorevole a una più ampia copertura di rischi attualmente onerosa per compagnie e assicurati. Alcune affinità con soluzioni già in uso indeboliscono l’obiezione che riguarda il principio indennitario
La moderna assicurazione conosce sfide che vanno di pari passo con l’evolvere di una coscienza sociale che, poco per volta, sembra prendere atto dell’esigenza di affrontare, sostenere e ripartire mutualisticamente i rischi dei nostri tempi. Rischi spesso nuovi, perché legati a sviluppi tecnologici prepotenti, e talvolta serissimi perché di impatto dimensionale potenzialmente catastrofale (la recente crisi pandemica ne ha fornito lampante e triste riprova).
L’espansione del “vestito” assicurativo verso nuove aree di rischio e nuovi bisogni di protezione e di sostegno porta con sé l’adozione di modelli di copertura originali, che possono deviare dall’impostazione tradizionale e dare vita a soluzioni di servizio innovative che sappiano anche far leva sulle straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie.
L’idea che sembra avanzare, sullo sfondo, è che la moderna “assicurazione danni” si allontani gradualmente dagli schemi rigidamente indennitari che il tradizionale sintagma sembrerebbe sottendere, per integrare una funzione più lata di protezione e prevenzione, fondata su una (educazione alla) gestione responsabile dei rischi assicurati anziché sul (solo) trasferimento dei relativi costi sull’assicuratore. Meglio – ovviamente – vivere in condizioni di miglior sicurezza ed evitare il sinistro, anziché subirlo per poi esserne indennizzati.
Verso una nuova concezione di assicurazione
Questa nuova concezione, più aperta e un po’ meno indennitaria in senso stretto, induce alcune riflessioni circa la resistenza di alcuni dogmi teorici che, proposti da una certa dottrina, meritano di esser oggi riletti e forse aggiornati (tra questi proprio quello della assoluta inderogabilità del principio indennitario). E tali riflessioni chiedono di esser svolte anche in relazione a specifiche forme di copertura che, spinte da processi in larga parte fondati proprio sull’utilizzo di nuove tecnologie, integrano modelli assicurativi assai distanti da quelli conosciuti al tempo in cui il Codice civile fu scritto. In questo articolo tratteremo il tema delle c.d. polizze “parametriche”, il cui attuale sviluppo richiede un’analisi attenta. Si tratta di un prodotto assicurativo relativamente giovane che nasce e si sviluppa a partire dagli anni ‘90 nel mercato estero riassicurativo (principalmente in Paesi esposti a fenomeni metereologici di rilevante intensità) con l’obiettivo prevalente di rispondere alle esigenze (ri)assicurative per lo più correlate a eventi atmosferici catastrofali.
Tali polizze, gergalmente definite anche index based, sono pensate per coniugare esigenze convergenti e in qualche modo simmetriche:
- da un lato quelle della clientela, interessata a fruire di un servizio assicurativo rapido, snello e soprattutto efficiente, volto a liquidare l’indennizzo in tempi più celeri perché non condizionati da particolari formalità o appesantimenti istruttori: il sinistro viene dato per esistente al ricorrere di alcune condizioni obiettive (i parametri o gli indici), il cui verificarsi fonda una presunzione di danno, convenzionalmente accettata dalle parti. La denunzia di sinistro non è di regola necessaria, così come non più necessaria diviene la (altrimenti) usuale attività di prova della misurazione del danno medesimo, in quanto dato contrattualmente per dimostrato;
- dall’altro quelle della compagnia, interessata a qualificarsi sul mercato attraverso la messa in commercio di prodotti semplici ed efficaci e a strutturare coperture assicurative in cui i costi di gestione del sinistro vengono radicalmente tagliati, proprio per effetto della assoluta compressione della fase liquidativa, resa notevolmente più agile per gli automatismi parametrici stabiliti in polizza.
Costi di gestione inferiori e minor rischio di contenzioso
Tali soluzioni tendono, ovviamente, a ridurre gli spazi di lite tra le parti, con benefici e apprezzabili effetti deflattivi del contenzioso. Ma è proprio, e diremmo soprattutto, il contenimento dei costi di gestione della fase liquidativa e delle eventuali code contenziose (e, perché no, del rischio di frode) a consentire di ipotizzare un utilizzo delle polizze parametriche anche in contesti in cui gli strumenti tradizionali non sarebbero probabilmente in grado di operare al meglio o quantomeno non in modo altrettanto efficiente. Ci riferiamo in particolare a quello degli eventi naturali di tipo catastrofale (ad esempio terremoti, alluvioni, precipitazioni eccezionali) che per portata potrebbero dar luogo a una diffusione simultanea di sinistri di entità variabile finanziariamente non sostenibile e comunque difficili da analizzarsi ai fini della loro liquidazione. Più precisamente, esistono nel mercato assicurativo italiano delle polizze tradizionali non parametriche che permettono la copertura da eventi catastrofali, ma generalmente sono polizze molto costose - anche per la mancanza di una defiscalizzazione dei premi, come invece accade in altri Paesi - e caratterizzate da antiselezione. Inoltre, tali coperture vengono quasi sempre offerte dalle compagnie di assicurazione in abbinamento a coperture All Risk o Incendio, e molto raramente in forma autonoma. Si ritiene, invece, che il prodotto parametrico, per sua natura più semplice e immediato nella sua operatività, meno costoso e strutturabile anche come copertura stand-alone, permetta di intercettare questa domanda latente di garanzie catastrofali e quindi possa rispondere a un’importante istanza sociale.
La riduzione dei costi di gestione e la forfettizzazione preventiva dei singoli indennizzi possono, dunque, effettivamente contribuire a favorire l’assunzione in garanzia di profili di rischio anomali e diffusi, anche in forma di cosiddetta “micro-assicurazione” (con premi di importo particolarmente contenuto a fronte di rischi a basso impatto economico, ma comuni a larghe platee di beneficiari) oppure nell’ambito di piani di copertura integrati che prevedano pure la partecipazione della mano pubblica al sostegno economico delle collettività colpite dai sinistri.
L’avvallo di Eipoa e Ivass
Peraltro il sistema parametrico, per quanto fondato su “indici” che per loro natura non sono personalizzati ma misurano eventi di (tendenzialmente) largo impatto collettivo, può funzionare anche per platee di assicurati ristrette su rischi più facilmente mutualizzabili, anche se collegati, ad esempio, al verificarsi di condizioni climatiche anomale (quali l’interruzione di determinate attività in caso di precipitazione eccezionali locali) o alla rilevazione automatica di disservizi o ritardi (annullamento di concerti, ritardi aerei, cancellazioni di viaggio e via discorrendo).
È opportuno comunque rilevare come le polizze parametriche abbiano ricevuto, sul piano quanto meno metodologico, un importante avallo istituzionale, ponendosi nel solco delle indicazioni di Eiopa in tema digitalizzazione, automazione e sviluppo degli smart contract. A questo proposito Ivass ha partecipato attivamente alle iniziative di Eiopa in tali campi e nel 2019 è stata conclusa, tra le altre, una sperimentazione proprio su prodotti che utilizzano logiche parametriche. E a valle di tale sperimentazione Ivass ha osservato una “rilevante riduzione dei tempi di emissione delle polizze e dei tempi di liquidazione rispetto alla media di prodotti analoghi, oltre a un generale miglioramento della customer experience”.
Ciò detto, il sicuro valore innovativo di un servizio così concepito, all’insegna di una franca rivisitazione dei più classici schemi tradizionali, va messo alla “prova di resistenza” e declinato alla luce della normativa di riferimento, con particolare attenzione ad alcuni principi fondanti e caratterizzanti la disciplina assicurativa di base.
I confini concettuali del principio indennitario
E in questo contesto si insedia il citato tema relativo al principio indennitario, considerato da taluni di ordine pubblico, quindi inderogabile. Il che pone l’esigenza di comprendere in che termini la liquidazione di un sinistro “parametrico” - prescindendo dall’accertamento in concreto del danno - adombri il rischio che all’eventuale pagamento (automatizzato) di un dato indennizzo possa in realtà non corrispondere alcun reale pregiudizio o che il pregiudizio subìto sia di valore inferiore al ristoro ottenuto. Si tratta, dunque, di analizzare il caso, sotto il profilo dell’interesse assicurativo (art. 1904 c.c.), della natura indennitaria della prestazione promessa dall’assicuratore e della sua regolazione in concreto (al filtro degli artt. 1905 e ss. c.c.).
Ma, prima ancora, si tratta di comprendere se il principio indennitario costituisca davvero un limite sempre e comunque insuperabile o possa essere invece derogato o, almeno, letto e applicato in termini più flessibili. Come a tutti noto, tale principio indennitario rappresenta un baluardo contro distorsioni applicative, che finirebbero per far sì che all’esito del pagamento dell’indennizzo il patrimonio dell’assicurato sia maggiore rispetto allo status quo ante. Il che snaturerebbe la causa del contratto assicurativo, trasformandolo - da negozio finalizzato al trasferimento di un certo rischio - in un meccanismo di speculazione economica, prossimo, quando non (in certi casi) coincidente, alla scommessa. Che si tratti di un principio incrollabile è questione, però, non del tutto risolta, dal momento che dottrina e giurisprudenza si sono sovente divise, sostenendo due interpretazioni in qualche modo contrapposte:
– una, tale da far discendere l’assoluta inderogabilità del principio indennitario (e delle norme che lo presidiano, artt. 1904, 1905, 1907 e ss, 1910, 1916 c.c.), non superabile neppure a favore dell’assicurato;
– l’altra, volta, invece, a sostenerne la loro modificabilità convenzionale, come del resto accade frequentemente per gli artt. 1910 e 1916 c.c., nonché nella prassi negoziale di mercato (ad esempio nell’ambito di soluzioni di prodotto che prevedono clausole di indennizzo definite di “valore a nuovo”).
La stima è la soluzione se c’è difficoltà nel dimostrare il danno
Tali divergenze teoriche hanno, talvolta, favorito l’adozione di modelli liquidativi “aperti” e non troppo ancorati al rigido rispetto della regola dell’insuperabilità assoluta del limite del danno effettivamente patito dall’assicurato. Il pensiero corre ad esempio alle citate clausole, piuttosto diffuse, di indennizzo della perdita di un bene pari al suo valore “a nuovo”, anche qualora il sinistro si sia verificato a distanza di anni, ma anche alle diffuse soluzioni di garanzia aventi a oggetto perdite patrimoniali per interruzione di attività o da ricovero, in cui la misura dell’indennizzo è frequentemente stabilita in termini forfettari, e come tale viene in concreto liquidata, senza che si renda mai necessario verificare se quella cifra forfettaria corrisponda effettivamente al danno patito dall’assicurato. Né sembra azzardato affermare (in piena assonanza con quanto stabilito dalla normativa francese) che il principio indennitario si attaglia per lo più ai danni a cose e non invece a quelli alla persona (si veda quanto stabilito dal Code des assurances artt. L-131-1 e L-131-2).
Qualche considerazione a parte merita poi il secondo comma dell’articolo 1908 c.c., secondo il quale “Il valore delle cose assicurate può essere tuttavia stabilito al tempo della conclusione del contratto, mediante stima accettata per iscritto dalle parti”: è stato da più parti affermato che la polizza stimata costituisca uno scostamento dal principio indennitario, che consente di indennizzare non secondo il valore del bene al tempo del sinistro, bensì secondo quanto pattiziamente preveduto dai contraenti. Tale deroga, tuttavia, non dovrebbe consentire una crassa deviazione dalla regola corrispettiva che governa ogni risarcimento: per cui la stima in tanto dovrebbe aver senso in quanto il danno (e il valore del bene) non sia agevolmente dimostrabile. Stimare, infatti, significa determinare il valore di un bene e l’operazione di stima parrebbe non necessaria laddove il bene, e il conseguente danno eventuale, abbia un valore di mercato (molto) facilmente accertabile.
Una deroga che vale già per determinate esigenze del mercato assicurativo
Terreno di elezione classico di una polizza stimata è quello dell’assicurazione delle opere d’arte, in cui la valutazione dell’opera, e dunque del danno, non è sempre agevole. Ma nulla esclude che la stima possa soccorrere laddove il danno conseguente alla perdita di un bene possa non limitarsi alla stretta perdita di valore del bene stesso, implicando altre potenziali perdite patrimoniali correlate a un eventuale lucro cessante (art. 1905 comma 2) derivante dalla perdita del bene, ai costi di rimpiazzo e, perché no, a componenti di pregiudizio non patrimoniale correlate alla mancata disponibilità del bene perito o ammalorato (ad es.: incendio doloso della casa di abitazione). E ancora, la stima potrebbe aver senso in tutti i casi in cui la dimensione collettiva di determinati fenomeni di rischio, implicanti un potenziale cumulo di sinistri al ricorrere di un medesimo evento, sia tale da suggerire l’adozione di tecniche di liquidazione semplificate e predeterminate quanto ai valori, per evitare quegli aggravi di costi che, correlati a una gestione liquidativa ordinaria, sarebbero tali da rendere difficilmente sostenibile, se non a condizioni di premio onerosissime, l’operazione assicurativa.
Ci sembra, comunque, di poter affermare che la ratio dell’art. 1908 confermi espressamente la possibilità che le parti, all’atto della stipula della polizza, diano vita a una convenzione avente a oggetto la (pre)determinazione condivisa del valore del bene assicurato, al fine di evitare appesantimenti probatori e possibili conflitti all’atto della liquidazione.
Ciò non significa affatto violare il principio indennitario, né costruire soluzioni assicurative tese a procurare indennità indebite perché non corrispondenti alla misura effettiva del danno. Tutto al contrario, queste tecniche negoziali tendono a fornire una prestazione liquidativa corrispondente al danno (o a una quota parte del danno) ex ante atteso al verificarsi del sinistro; danno la cui misura è stabilita in polizza dalle parti, rendendo superfluo l’accertamento concreto della sua misura.
Ciò detto, analoghe considerazioni possono essere svolte in relazione alle polizze parametriche: non tanto (o non solo) in relazione alla quantificazione del danno, ma alla contrattualizzazione di regole che consentano di ritenere (ex ante) dimostrato il sinistro al ricorrere di determinati indici.
L’Oracolo è la terza parte che permette di definire il sinistro
La principale differenza tra le polizze parametriche e quelle “tradizionali” concerne, infatti, l’accertamento, la determinazione e la, conseguente, liquidazione del sinistro. Il diritto alla prestazione assicurativa (predeterminata nel quantum o almeno nella sua regola di calcolo) sorge infatti a seguito di un “sinistro” che si dà per verificato laddove siano stati registrati determinati fenomeni oggettivamente misurabili, denominati parametri o indici, ed esattamente individuati nel testo contrattuale. L’onere di dimostrare se gli indici (o i parametri) siano stati o meno integrati non incombe su nessuna delle parti, trattandosi - come detto - di valori oggettivamente misurabili e perciò rimessi di regola all’obiettiva determinazione di sistema di misurazione, denominato tecnicamente “Oracolo” e normalmente gestito da un soggetto terzo. Tale meccanismo di automatico accertamento, a cui potrebbe seguire una liquidazione celere e automatica, costituisce il trade mark della copertura e perciò integra e precisa l’oggetto dell’accordo tra le parti, che convenzionalmente accettano di ritenere il sinistro avvenuto, senza la necessità di una denuncia (ex art. 1913 c.c.), al raggiungimento dei valori di soglia definiti nel parametro. Non si tratta di valori causalmente irrilevanti rispetto alla probabilità statistica di verificazione del sinistro. Al contrario, siamo al cospetto di indici ai quali correlare, causalmente, l’effettivo accadimento del danno/sinistro, sulla base di una previa e approfondita indagine, suffragata da una serie di rilievi statistici nel corso del tempo. Se tali indici non rappresentassero, secondo l’id quod plerumque accidit, una riconducibilità causale - indice/parametro pregiudizio - prossima alla certezza, ci troveremmo di fronte a una operazione che sconfesserebbe la causa assicurativa, facendo venire meno l’interesse ex art. 1904 c.c. e degradando il contratto da assicurazione a scommessa.
Il supporto tecnico utile a sostenere che ci si trovi di fronte a una presunzione sostenibile è dunque essenziale al fine di sostenere la fattibilità dell’operazione.
Il nesso causale tra i fenomeni indicizzati e il danno stimato è stabilito (presuntivamente) con criteri predeterminati scientifici (modelli matematici agrometeorologici) e statistici (serie storiche indice/resa produttiva). La peculiarità delle polizze parametriche risiede infatti nella diversa impostazione del processo di accertamento del danno e di determinazione e liquidazione dell’indennizzo. La registrazione dell’indice (o degli indici) integra di per sé il sinistro, dispensando l’assicurato dall’onere di provarne l’effettivo accadimento (e la compagnia di eventualmente eccepirne l’inesistenza o l’esclusione dal perimetro di operatività della garanzia). Per tale ragione, e per tutelare l’obiettività della registrazione, la misurazione degli indici dovrebbe essere affidata a un sistema di misurazione oggettivo, di regola e preferibilmente affidato alla gestione di un soggetto terzo (il cd Oracolo). A tale meccanismo di automatico accertamento segue, normalmente, una liquidazione smart e parimenti automatica dell’indennizzo, secondo procedure descritte in polizza.
Identificare gli indici richiede uno studio accurato e su basi scientifiche
Le polizze parametriche, dunque, semplificano fortemente i processi assicurativi tradizionali: non si tratta più soltanto di predeterminare convenzionalmente la misura del danno in caso di sinistro ma, prima ancora, di predeterminare processi di accertamento automatico del sinistro medesimo, che si dà per accaduto al verificarsi di determinati fenomeni, attestati dal raggiungimento di determinati valori di soglia degli indici contrattualmente stabiliti (e misurati/registrati dall’Oracolo).
Ciò detto, il meccanismo presuntivo basato sugli indici di cui sopra, è posto a presidio del principio indennitario - e non lo sconfessa - proprio perché si fonda sullo studio pregresso di una elevatissima correlazione probabilistica tra la registrazione degli indici e il danno (in assenza della quale ci troveremmo di fronte a una sorta di scommessa, in cui la prestazione di pagamento finirebbe per essere legata al verificarsi di eventi o a circostanze potenzialmente irrilevanti, in termini di danno, per l’assicurato). E così i parametri assunti a fondamento del contratto dovrebbero essere determinati sulla base di serie storiche di dati sufficientemente estese nel tempo e significativamente connesse all’evento dedotto in copertura, nonché secondo criteri scientifici, matematici e statistici. I parametri devono essere efficaci e funzionali ad affermare ex ante che alla loro registrazione corrisponda il verificarsi del danno dedotto in polizza: la volontà perseguita dalle parti con la stipula del contratto rimane perciò quella di rivalere l’assicurato del danno e non invece di riconoscergli una somma svincolata dall’entità del pregiudizio patito. Con buona pace di chi sostenga che tale processo violi lo schema causale indennitario di una polizza danni.
Fondamentale un patto di prova equilibrato
Proprio perché ruota intorno a una presunzione che dovrà esser adeguatamente descritta in polizza, il meccanismo parametrico di accertamento del danno pare integrare l’oggetto di un patto di prova convenzionale. Le parti convengono infatti una precisa regola “indicizzata” ai fini dell’accertamento della verificazione del sinistro, del nesso causale e del conseguente danno.
Il patto di prova convenzionale è pienamente legittimo nella misura in cui ossequi il disposto dell’art. 2968 c.c. e non abbia perciò l’effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. Aderendo a quelle autorevoli voci che ritengono di natura sostanziale le norme sull’onere della prova, non sembra dunque fuori luogo affermare che la pattuizione sugli indici menzionati possa integrare un patto probatorio; anche se vi è chi, in dottrina, ha proposto soluzioni ermeneutiche diverse, incentrate sull’oggetto del contratto. Si è, infatti, sostenuto che l’accordo sugli indici – e, più nel dettaglio, l’elaborazione algoritmica dei parametri – rappresenti una sorta di perizia contrattuale che “si colloca a monte del regolamento negoziale” (Santagata, “Polizze assicurative parametriche (o index based) e principio indennitario”, in Rivista di diritto civile, 2022, I, 169 ss.) o possa forse ricondursi all’istituto dell’arbitraggio, ex art. 1349 c.c.. A noi pare che tali ricostruzioni alternative non colgano nel segno, perché tese a confondere la risultanza oggettiva del parametro (alla quale si collega per contratto e in via automatica un dato effetto indennitario) con la valutazione tecnica (di prossimità) di un singolo fenomeno al fine di verificarne l’indennizzabilità o stabilirne la relativa misura.
La denuncia di sinistro è assolta del sistema di rilevazione parametrata dell’evento
Ovviamente l’adozione di un modello parametrico, di per sé innovativo, presuppone un’opera di adattamento della disciplina assicurativa di base a tali nuovi schemi negoziali.
Il tema riguarda, ad esempio, la denuncia di sinistro, che nelle polizze tradizionali costituisce un obbligo decisivo posto in capo all’assicurato, pena la perdita/riduzione del diritto all’indennizzo, giusto il combinato disposto di cui agli artt. 1913 e 1915 c.c..
Ora, a prescindere dalla sua veste (o meno) di smart contract, la polizza parametrica presenta una struttura tale per cui entrambe le parti sono poste nella condizione di venire tempestivamente a conoscenza dell’evento di sinistro grazie all’attività di monitoraggio e rilevazione posta in essere dall’Oracolo. Risulta così evidente come l’intervento dell’Oracolo nella dialettica contrattuale appiani l’asimmetria informativa connessa alla constatazione del sinistro, rendendo sotto tale aspetto superflua la stessa denuncia. Ed invero la comunicazione da parte dell’Oracolo del verificarsi dell’evento ben assolve a una delle funzioni cui è deputata la denuncia di sinistro, nel momento in cui consente all’assicuratore di dar per prontamente accertate le cause del sinistro e l’entità del danno (in tempo sostanzialmente reale).
Se i dati riscontrati dall’Oracolo costituiscono prova convenzionale (presuntiva) dell’evento cui consegue il diritto all’indennizzo, logica vuole che gli stessi valgano anche quale denuncia di quell’evento, ai sensi dell’art. 1913 c.c.. Ciò peraltro in piena armonia con il principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto.
Al termine di questo percorso possiamo concludere osservando come il contratto parametrico, al di là della sua tenuta assuntiva e attuariale, sia ideato e costruito dalle parti per ossequiare il principio indennitario e rivalere l’assicurato in misura, se non pari, comunque assai prossima all’effettivo pregiudizio patito. In definitiva, attraverso lo schema contrattuale parametrico le parti non intendono sottrarsi alla funzione indennitaria (prevalente ma niente affatto esclusiva) propria del contratto assicurativo del ramo danni (al netto della sua non esclusa derogabilità …) ma, al contrario, la preservano adottando a priori regole di indennizzo tese a presidiarlo; il tutto dando vita a una serie di effetti virtuosi sul piano della riduzione degli oneri, dei problemi e dei costi di gestione della fase liquidativa, tali da render l’operazione assicurativa più sostenibile e accessibile a condizioni di premio più favorevoli.
Si vada incontro al nuovo, dunque! Nel solco del diritto, ma senza diffidenze e antiche preclusioni.