Le nuove regole per le riserve tecniche
L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni ha reso note le indicazioni per l’attuazione della direttiva Ue 2009/138 in materia di Solvency II. Emerge qualche incertezza, ma gli stretti vincoli appaiono necessari, date la volatilità attuale e l’incognita Brexit
14/11/2016
Il 7 giugno scorso l’Ivass ha pubblicato il molto atteso Regolamento n. 24/2016 in materia di investimenti e di attivi a copertura delle riserve tecniche.
L’emanazione del Regolamento 24 (che di fatto abroga il precedente Regolamento n. 36/2011, sullo stesso tema, a partire dal 1 ottobre prossimo), è stata preceduta da una lunga fase di consultazione, conclusasi nel febbraio di questo anno, a cui tuttavia non è seguita l’immediata pubblicazione del testo. Da qui, l’attesa degli operatori e del mercato, rispetto a un regolamento giustamente considerato centrale nell’attuazione della direttiva UE 2009/138 in materia di Solvency II.
A differenza del precedente Regolamento 36, scompaiono nell’attuale Regolamento 24 (fatte salve alcune minime eccezioni) tanto le macro classi di attivi nei quali è consentito alle imprese investire, quanto i limiti di investimento in ciascuna di esse, in linea con quanto previsto da Solvency II, che, da un lato, ha introdotto il principio della libertà di investimento e, dall’altro lato, richiede alle imprese di effettuare, secondo il criterio della persona prudente, un self assessment dei rischi e, in base a questi, individuare il proprio fabbisogno in termini di investimenti e di riserve.
LE REGOLE SUI FINANZIAMENTI
Come anticipato, nel Regolamento 24 rimangono tuttavia alcuni limiti alla libertà di investimento e, segnatamente, rispetto ai finanziamenti diretti, ai prodotti strutturati e ai derivati, per i quali, sulla falsariga del precedente Regolamento 36, è richiesto alle imprese di contenere l’investimento entro determinate soglie (come nel caso dei finanziamenti diretti), ovvero di valutarlo con estrema prudenza (come accade nel caso dei prodotti strutturati e dei derivati).
Rispetto al precedente Regolamento 36, permane poi il divieto di considerare i finanziamenti soci tra gli attivi ammissibili a copertura delle riserve.
La definizione impiegata, nel Regolamento 24, di tale tipologia di attivi potrebbe lasciare apparentemente spazio a letture non univoche. Mentre è chiara la volontà di escludere dagli attivi ammissibili a copertura i finanziamenti effettuati nei confronti di soggetti giuridici costituiti in forma societaria, nei quali le imprese detengono una partecipazione diretta superiore al 20% o sui quali comunque esercitano un’influenza notevole (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile), nulla si dice rispetto ali caso in cui il finanziamento è effettuato nei confronti di soggetti privi di personalità giuridica (quali, ad esempio, i fondi).
LA DEFINIZIONE DEI COSIDDETTI ATTIVI COMPLESSI
Sul tema dei fondi si segnala, sulla falsariga del Regolamento delegato n. 2015/35 della Commissione del 10 ottobre 2014, che integra la direttiva UE 2009/138 in materia di Solvency II, già citata, che il Regolamento 24 ha inteso qualificare come attivi cosiddetti complessi, non solo i Fia (fondi alternativi di investimento), ma, più in generale, tutti i fondi, inclusi gli Oicr.
Dal momento che alle imprese è richiesto di monitorare con continuità e attenzione il rischio al quale l’investimento in attivi complessi le espone (attraverso l’applicazione di un metodo che, di fatto, replica il cosiddetto look through approach richiesto dal già citato Regolamento delegato in caso di investimento in fondi, allorquando l’impresa applichi la cosiddetta formula standard), ci si chiede se la definizione di attivo complesso, applicata indistintamente a qualsiasi categoria di fondi, non ne renda di fatto più difficile l’investimento.
Trattasi di preoccupazione indubbiamente ragionevole, se si pensa che tutto il comparto delle polizze vita a contenuto finanziario espresse nella forma delle polizze unit linked, è di fatto basato sull’investimento in tale tipologie di attivi.
VIGILANZA E AUTOANALISI DELLE IMPRESE
Con riferimento poi a quest’ultima tipologia di polizze, si segnala peraltro che l’Autorità di vigilanza ha dato indicazione, attraverso le risposte agli esiti della pubblica consultazione del Regolamento 24, che metterà presto mano alla revisione della circolare Ivass n. 474/2002, per la parte ancora vigente (la sezione 3, contenente la lista degli attivi ammissibili a copertura delle riserve tecniche per questa specifica tipologie di polizze).
C’è dunque da auspicare che, nonostante gli indirizzi già espressi dall’Autorità sulla qualificazione dei fondi come attivi complessi, si possa finalmente colmare il gap concorrenziale rispetto alle imprese comunitarie proprio in ragione della limitata lista di attivi e dei relativi limiti di investimento ancora contenuti nella predetta circolare.
In generale, tuttavia, che l’Ivass intenda comunque mantenere un certo grado di controllo sulla capacità di auto-analisi delle imprese circa i propri fabbisogni rispetto ai rischi assunti, pur richiesta da Solvency II, appare evidente nella misura in cui l’articolo 9 del Regolamento 24 impone alle imprese di comunicare all’Autorità di vigilanza, nei quindici giorni successivi alla sua adozione, la delibera in materia di investimenti, mentre il successivo articolo 28 lascia a Ivass il potere di intervenire, inibendone l’impiego, qualora accerti che gli attivi liberamente scelti dall’impresa a copertura delle riserve tecniche non siano tuttavia idonei, ovvero che nella relativa scelta sia stato violato il principio della persona prudente.
COSA CAMBIA CON LA BREXIT?
Nonostante lo scontento espresso da più di un commentatore su questo punto, è in realtà da chiedersi se, nella congiuntura finanziaria nella quale ci troviamo, non si debba salutare positivamente quanto sopra descritto, soprattutto per le possibili incertezze finanziarie, e non solo, che il dopo Brexit sembra portare con sé.
Tra le incertezze che a oggi sembrano maggiormente preoccupare gli operatori, oltre alla possibile perdita di una formidabile piazza di affari come quella londinese e la possibilità di considerare per il futuro come liberamente circolabili gli attivi provenienti da quel mercato (salva l’ipotesi di una previa autorizzazione), c’è anche quella relativa alla futura applicabilità agli operatori inglesi di Solvency II.
Sarebbe infatti davvero irragionevole e anticoncorrenziale che a questi operatori fosse consentito derogare a tale sistema, dopo gli sforzi compiuti da tutti gli operatori comunitari, inclusi quelli britannici, per allinearvisi.
L’emanazione del Regolamento 24 (che di fatto abroga il precedente Regolamento n. 36/2011, sullo stesso tema, a partire dal 1 ottobre prossimo), è stata preceduta da una lunga fase di consultazione, conclusasi nel febbraio di questo anno, a cui tuttavia non è seguita l’immediata pubblicazione del testo. Da qui, l’attesa degli operatori e del mercato, rispetto a un regolamento giustamente considerato centrale nell’attuazione della direttiva UE 2009/138 in materia di Solvency II.
A differenza del precedente Regolamento 36, scompaiono nell’attuale Regolamento 24 (fatte salve alcune minime eccezioni) tanto le macro classi di attivi nei quali è consentito alle imprese investire, quanto i limiti di investimento in ciascuna di esse, in linea con quanto previsto da Solvency II, che, da un lato, ha introdotto il principio della libertà di investimento e, dall’altro lato, richiede alle imprese di effettuare, secondo il criterio della persona prudente, un self assessment dei rischi e, in base a questi, individuare il proprio fabbisogno in termini di investimenti e di riserve.
LE REGOLE SUI FINANZIAMENTI
Come anticipato, nel Regolamento 24 rimangono tuttavia alcuni limiti alla libertà di investimento e, segnatamente, rispetto ai finanziamenti diretti, ai prodotti strutturati e ai derivati, per i quali, sulla falsariga del precedente Regolamento 36, è richiesto alle imprese di contenere l’investimento entro determinate soglie (come nel caso dei finanziamenti diretti), ovvero di valutarlo con estrema prudenza (come accade nel caso dei prodotti strutturati e dei derivati).
Rispetto al precedente Regolamento 36, permane poi il divieto di considerare i finanziamenti soci tra gli attivi ammissibili a copertura delle riserve.
La definizione impiegata, nel Regolamento 24, di tale tipologia di attivi potrebbe lasciare apparentemente spazio a letture non univoche. Mentre è chiara la volontà di escludere dagli attivi ammissibili a copertura i finanziamenti effettuati nei confronti di soggetti giuridici costituiti in forma societaria, nei quali le imprese detengono una partecipazione diretta superiore al 20% o sui quali comunque esercitano un’influenza notevole (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile), nulla si dice rispetto ali caso in cui il finanziamento è effettuato nei confronti di soggetti privi di personalità giuridica (quali, ad esempio, i fondi).
LA DEFINIZIONE DEI COSIDDETTI ATTIVI COMPLESSI
Sul tema dei fondi si segnala, sulla falsariga del Regolamento delegato n. 2015/35 della Commissione del 10 ottobre 2014, che integra la direttiva UE 2009/138 in materia di Solvency II, già citata, che il Regolamento 24 ha inteso qualificare come attivi cosiddetti complessi, non solo i Fia (fondi alternativi di investimento), ma, più in generale, tutti i fondi, inclusi gli Oicr.
Dal momento che alle imprese è richiesto di monitorare con continuità e attenzione il rischio al quale l’investimento in attivi complessi le espone (attraverso l’applicazione di un metodo che, di fatto, replica il cosiddetto look through approach richiesto dal già citato Regolamento delegato in caso di investimento in fondi, allorquando l’impresa applichi la cosiddetta formula standard), ci si chiede se la definizione di attivo complesso, applicata indistintamente a qualsiasi categoria di fondi, non ne renda di fatto più difficile l’investimento.
Trattasi di preoccupazione indubbiamente ragionevole, se si pensa che tutto il comparto delle polizze vita a contenuto finanziario espresse nella forma delle polizze unit linked, è di fatto basato sull’investimento in tale tipologie di attivi.
VIGILANZA E AUTOANALISI DELLE IMPRESE
Con riferimento poi a quest’ultima tipologia di polizze, si segnala peraltro che l’Autorità di vigilanza ha dato indicazione, attraverso le risposte agli esiti della pubblica consultazione del Regolamento 24, che metterà presto mano alla revisione della circolare Ivass n. 474/2002, per la parte ancora vigente (la sezione 3, contenente la lista degli attivi ammissibili a copertura delle riserve tecniche per questa specifica tipologie di polizze).
C’è dunque da auspicare che, nonostante gli indirizzi già espressi dall’Autorità sulla qualificazione dei fondi come attivi complessi, si possa finalmente colmare il gap concorrenziale rispetto alle imprese comunitarie proprio in ragione della limitata lista di attivi e dei relativi limiti di investimento ancora contenuti nella predetta circolare.
In generale, tuttavia, che l’Ivass intenda comunque mantenere un certo grado di controllo sulla capacità di auto-analisi delle imprese circa i propri fabbisogni rispetto ai rischi assunti, pur richiesta da Solvency II, appare evidente nella misura in cui l’articolo 9 del Regolamento 24 impone alle imprese di comunicare all’Autorità di vigilanza, nei quindici giorni successivi alla sua adozione, la delibera in materia di investimenti, mentre il successivo articolo 28 lascia a Ivass il potere di intervenire, inibendone l’impiego, qualora accerti che gli attivi liberamente scelti dall’impresa a copertura delle riserve tecniche non siano tuttavia idonei, ovvero che nella relativa scelta sia stato violato il principio della persona prudente.
COSA CAMBIA CON LA BREXIT?
Nonostante lo scontento espresso da più di un commentatore su questo punto, è in realtà da chiedersi se, nella congiuntura finanziaria nella quale ci troviamo, non si debba salutare positivamente quanto sopra descritto, soprattutto per le possibili incertezze finanziarie, e non solo, che il dopo Brexit sembra portare con sé.
Tra le incertezze che a oggi sembrano maggiormente preoccupare gli operatori, oltre alla possibile perdita di una formidabile piazza di affari come quella londinese e la possibilità di considerare per il futuro come liberamente circolabili gli attivi provenienti da quel mercato (salva l’ipotesi di una previa autorizzazione), c’è anche quella relativa alla futura applicabilità agli operatori inglesi di Solvency II.
Sarebbe infatti davvero irragionevole e anticoncorrenziale che a questi operatori fosse consentito derogare a tale sistema, dopo gli sforzi compiuti da tutti gli operatori comunitari, inclusi quelli britannici, per allinearvisi.
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