Innovazione senza crescita: il paradosso dei danni non auto
Negli ultimi anni l’offerta di protezione si è trasformata, rincorrendo un consenso del mercato che ancora non è però premiato da numeri significativi: ne è causa il focalizzarsi delle compagnie sulla forma della proposta senza che questa incida sulla sostanza dei bisogni
11/01/2019
Il mercato danni non auto cresce ma non sfonda. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Ania nel primo semestre 2018 il business è cresciuto del 3,3% rispetto a un anno fa, e a fine 2017 la raccolta ha sfiorato i 20 miliardi di euro, con un incremento complessivo del 4,4% rispetto al 2015. Ma la gran parte della crescita è effetto dell’esplosione delle polizze collettive salute (+19,8%) e del rilevante sviluppo della bancassicurazione (+32,5%), che tuttavia rappresenta ancora poco meno del 10% del mercato. Il mercato retail, in particolare quello delle grandi compagnie tradizionali, è di fatto stagnante. Eppure siamo reduci da una fase di innovazione dell’offerta senza precedenti.
Protezione in formula modulare
Nell’aprile 2014 con il lancio di Allianz1 si è aperta l’epoca della modular offer. Il concept di Allianz1 (Abbonamento alla serenità) ne evidenziava i tratti salienti: garantire alle famiglie protezione contro i rischi che ne possono minare la stabilità attraverso un abbonamento mensile. Il primo prodotto assicurativo pensato per il mass market.
L’innovazione è proseguita negli anni successivi lungo due direttrici: l’integrazione della componente assicurativa con servizi legati a device tecnologici, in particolare nell’ambito casa ma anche, timidamente, nel malattia, e la costruzione di prodotti per macro aree di bisogno fortemente personalizzabili, pensati per la vendita consulenziale degli intermediari tradizionali.
Gli ultimi mesi sono stati invece caratterizzati dalla svolta delle banche, che hanno virato su soluzioni modulari: Intesa Sanpaolo ha lanciato il prodotto ombrello Xme Protezione, che sostituisce tutte le precedenti offerte di ramo, e Unicredit ha fatto lo stesso con My Care.
Anche dai concept (Preservare ciò che è importante per te e Proteggere ciò che conta) si intuisce l’intenzione di passare da un’offerta di prodotto a un concetto di protezione a 360 gradi delle esigenze del cliente, valorizzando la consulenza allo sportello e cercando di integrare progressivamente la componente assicurativa nel core business della banca.
Le ragioni di un successo
Come spiegare allora la limitata crescita del mercato a fronte del rilevante sforzo innovativo? Sono almeno due i motivi di questo sostanziale insuccesso.
Il primo è legato alla distribuzione. Le reti faticano a raggiungere la domanda. L’attuale modello è despecializzato, basato su strutture di gestione del portafoglio più che di vendita (pensiamo alle subagenzie) e su un marketing di sostituzione (rivolto ai clienti già assicurati) più che di acquisizione. L’innovazione dell’offerta ha sì contribuito a ravvivare il mercato, ma i limitati tassi di crescita sono venuti più dall’up-selling sui pochi clienti già coperti piuttosto che dal cross-selling sulla sterminata platea di non assicurati.
Il secondo motivo riguarda invece proprio l’offerta: la recente innovazione di prodotto non è infatti ancora riuscita a rispondere adeguatamente alle attese dei clienti e soprattutto all’evoluzione dei bisogni e degli stili di vita in corso.
Tutte le ricerche mostrano che, ancora di più negli ultimi anni, gli italiani sentono forte alcuni bisogni di protezione connessi con la sicurezza, la qualità del tenore di vita, la salute. Mercati contigui sono in evidente crescita: pensiamo alla sanità, all’industria del benessere, alla sicurezza domestica, solo per citarne alcuni. Ciò non vale per le assicurazioni: difficilmente le famiglie riconoscono l’assicurazione come la risposta ai bisogni. Manca un ultimo tassello: la costruzione di un’offerta espressiva, davvero focalizzata sui bisogni soggettivi dei clienti.
Una polizza non è la risposta
I nuovi prodotti lanciati hanno sinora rappresentato una innovazione di struttura, ma l’offerta resta sostanzialmente non focalizzata sui bisogni: essi sono infatti interpretati a partire dalle garanzie assicurative, mentre le garanzie assicurative dovrebbero essere la risposta ai bisogni.
Occorre un ulteriore salto di qualità. Si tratterebbe tra l’altro di sfruttare in chiave di sviluppo le nuove normative entrate in vigore con la direttiva sull’intermediazione assicurativa (Idd), in particolare quelle relative alla Product oversight governance (Pog), che prescrivono di costruire prodotti focalizzati sui bisogni del target market di riferimento. Per fare questo è opportuno dotarsi di una vera tassonomia dei bisogni di protezione della famiglia e del patrimonio, a cui solo successivamente associare le risposte assicurative, ovvero le garanzie. Una tassonomia dei bisogni non può prescindere dalla consapevolezza che i bisogni sono soggettivi, percepiti in maniera differente a seconda dei profili di cliente, e soprattutto che l’ordine di priorità degli stessi varia notevolmente per fase del ciclo di vita, vissuto, esperienze. Inoltre è necessario porre la conoscenza del cliente al centro delle politiche di compagnia, andando oltre le tradizionali segmentazioni per caratteristiche anagrafiche e valore per la compagnia e indagandone i comportamenti, le attitudini, gli stili di vita per supportare le grandi scelte strategiche, le politiche di gamma, le scelte distributive e le iniziative di vendita delle reti.
Innovazione e sviluppo non possono quindi prescindere dalla conoscenza del cliente e dei suoi bisogni. Solo così, oltre che attraverso una profonda ristrutturazione delle reti distributive, il mercato della protezione potrà davvero svilupparsi e le assicurazioni diventare una reale risposta alla sempre più sentita esigenza di protezione, sicurezza e benessere delle famiglie italiane.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
👥