Dal Welfare State al Welfare Mix: il perché di un blog
L’ormai conclamata crisi dello “Stato sociale”, quotidianamente alla ricerca delle risorse finanziarie necessarie per tener fede agli impegni assunti in passato con forse eccessiva prodigalità, impone con sempre maggiore urgenza un ripensamento dell’architettura del sistema di welfare e reclama un sempre più diffuso ricorso a formule di integrazione dei trattamenti assistenziali e previdenziali di base che, già in una prospettiva di breve periodo, potrebbero risultare insufficienti a garantire ai consociati quei presidi di tutela minimi per una moderna costituzione occidentale.
In tale scenario, i nuovi prodotti di risparmio (forme pensionistiche complementari) nonché le formule assistenziali a matrice mutualistica (primi fra tutti i fondi sanitari), oltre al più tradizionale strumento assicurativo, si candidano come il veicolo principe di tale integrazione. Ma perché tali strumenti possano pro futuro assolvere compiutamente la propria funzione, è necessario che questi risultino appetibili. Il che richiede una piccola “rivoluzione” culturale in grado di superare quel muro di diffidenza che, ad oggi, ancora avvolge le soluzioni di welfare privato (vuoi per il loro costo, vuoi per la fama di cui gli operatori istituzionali godono talvolta presso il pubblico, vuoi per la convinzione diffusa che debba comunque essere lo Stato a garantire ai cittadini le condizioni di una degna sopravvivenza).
Questo blog (che abbiamo voluto intitolare molto semplicemente "Welfare State") muove da tale premessa, con l'ambizione di costituire un punto di osservazione ed approfondimento dei nuovi assetti del c.d. Welfare Mix, per l'operatore come per il cittadino, entrambi chiamati a confrontarsi concretamente con una realtà storica radicalmente mutata rispetto ad un passato più o meno recente e destinata a mutare ancor più repentinamente nei bisogni e nelle aspettative di tutela.
L’INDECIFRABILE PROGETTO DEL GOVERNO PER LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Qualora venisse approvato nella sua attuale formulazione, l’art. 15 del disegno di legge recentemente approdato alle Camere (c.d. ddl concorrenza) darebbe una scossa significativa agli attuali assetti della previdenza complementare.
Viene infatti previsto che, in caso di trasferimento della posizione individuale, “il lavoratore ha diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del Tfr maturando e dell’eventuale contributo a carico del datore di lavoro” (comma 1, lett. d). Il che potrebbe agevolare la migrazione dei lavoratori iscritti ai fondi negoziali verso i fondi ad adesione individuale. Ma non solo. La proposta legislativa consentirebbe ai medesimi fondi negoziali di aprirsi a categorie di lavoratori diverse da quelle di riferimento (comma 1, lett. a).
Almeno sulla carta, l’iniziativa legislativa mira a favorire la realizzazione di un mercato concorrenziale, in cui il contribuente possa liberamente muoversi verso soluzioni più convenienti e allineate con le proprie aspettative previdenziali, senza dover per questo “aprire” ulteriori posizioni previdenziali (ad esempio acquistando un Pip o aderendo ad un fondo aperto) e dunque sostenere ulteriori costi di adesione e gestione.
Non solo, dunque, libertà di aderire alla previdenza complementare ma anche libertà di gestire in termini di maggiore utilità un’unica posizione previdenziale.
Ma se questo è l'obiettivo perseguito dal governo, davvero stona la scelta - questa, aimè, già tramutatasi in legge vigente - di quasi raddoppiare (dal 11,5 al 20%) l'aliquota fiscale sui rendimenti finanziari dei fondi pensione.
Qualcuno ha tentato giustificare tale scelta di cassa (e non a caso confluita in uno dei circa settecento commi di cui si compone la c.d. Legge di stabilità 2015), ricordando a tutti che oggetto di tassazione sarebbero pur sempre i proventi di un’attività finanziaria, ovvero di quel diavolo che ci ha condotto sull’orlo del baratro economico...
Ma tassare maggiormente (e peraltro in via retroattiva…) i risultati netti dei fondi pensione e, al contempo, “tentare” di stimolare la concorrenza in un mercato ristagnante, pare davvero un esercizio schizofrenico e denuncia ancora una volta l’impossibilità di una stagione autenticamente e non “retoricamente” riformista. Per riformare, infatti, ci vuol coerenza e la coerenza è propria di chi ha un progetto quanto meno chiaro e definito negli obiettivi. Quale, dunque, il progetto per la previdenza complementare?
In tale scenario, i nuovi prodotti di risparmio (forme pensionistiche complementari) nonché le formule assistenziali a matrice mutualistica (primi fra tutti i fondi sanitari), oltre al più tradizionale strumento assicurativo, si candidano come il veicolo principe di tale integrazione. Ma perché tali strumenti possano pro futuro assolvere compiutamente la propria funzione, è necessario che questi risultino appetibili. Il che richiede una piccola “rivoluzione” culturale in grado di superare quel muro di diffidenza che, ad oggi, ancora avvolge le soluzioni di welfare privato (vuoi per il loro costo, vuoi per la fama di cui gli operatori istituzionali godono talvolta presso il pubblico, vuoi per la convinzione diffusa che debba comunque essere lo Stato a garantire ai cittadini le condizioni di una degna sopravvivenza).
Questo blog (che abbiamo voluto intitolare molto semplicemente "Welfare State") muove da tale premessa, con l'ambizione di costituire un punto di osservazione ed approfondimento dei nuovi assetti del c.d. Welfare Mix, per l'operatore come per il cittadino, entrambi chiamati a confrontarsi concretamente con una realtà storica radicalmente mutata rispetto ad un passato più o meno recente e destinata a mutare ancor più repentinamente nei bisogni e nelle aspettative di tutela.
L’INDECIFRABILE PROGETTO DEL GOVERNO PER LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Qualora venisse approvato nella sua attuale formulazione, l’art. 15 del disegno di legge recentemente approdato alle Camere (c.d. ddl concorrenza) darebbe una scossa significativa agli attuali assetti della previdenza complementare.
Viene infatti previsto che, in caso di trasferimento della posizione individuale, “il lavoratore ha diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del Tfr maturando e dell’eventuale contributo a carico del datore di lavoro” (comma 1, lett. d). Il che potrebbe agevolare la migrazione dei lavoratori iscritti ai fondi negoziali verso i fondi ad adesione individuale. Ma non solo. La proposta legislativa consentirebbe ai medesimi fondi negoziali di aprirsi a categorie di lavoratori diverse da quelle di riferimento (comma 1, lett. a).
Almeno sulla carta, l’iniziativa legislativa mira a favorire la realizzazione di un mercato concorrenziale, in cui il contribuente possa liberamente muoversi verso soluzioni più convenienti e allineate con le proprie aspettative previdenziali, senza dover per questo “aprire” ulteriori posizioni previdenziali (ad esempio acquistando un Pip o aderendo ad un fondo aperto) e dunque sostenere ulteriori costi di adesione e gestione.
Non solo, dunque, libertà di aderire alla previdenza complementare ma anche libertà di gestire in termini di maggiore utilità un’unica posizione previdenziale.
Ma se questo è l'obiettivo perseguito dal governo, davvero stona la scelta - questa, aimè, già tramutatasi in legge vigente - di quasi raddoppiare (dal 11,5 al 20%) l'aliquota fiscale sui rendimenti finanziari dei fondi pensione.
Qualcuno ha tentato giustificare tale scelta di cassa (e non a caso confluita in uno dei circa settecento commi di cui si compone la c.d. Legge di stabilità 2015), ricordando a tutti che oggetto di tassazione sarebbero pur sempre i proventi di un’attività finanziaria, ovvero di quel diavolo che ci ha condotto sull’orlo del baratro economico...
Ma tassare maggiormente (e peraltro in via retroattiva…) i risultati netti dei fondi pensione e, al contempo, “tentare” di stimolare la concorrenza in un mercato ristagnante, pare davvero un esercizio schizofrenico e denuncia ancora una volta l’impossibilità di una stagione autenticamente e non “retoricamente” riformista. Per riformare, infatti, ci vuol coerenza e la coerenza è propria di chi ha un progetto quanto meno chiaro e definito negli obiettivi. Quale, dunque, il progetto per la previdenza complementare?
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