Tra rischi e sinistri: le aziende non vogliono solo polizze low cost
Più di 250 partecipanti hanno seguito, ieri a Milano, il convegno sul tema, organizzato ogni anno da Insurance Connect. Il quadro che emerge dalla testimonianza dei diversi attori del mercato, tra cui le stesse imprese, è che c’è maggiore consapevolezza: dunque più interesse nel valore aggiunto dei servizi di consulenza e risk management
10/06/2016
Terrorismo. Danni reputazionali. Interruzione dell’attività. Sono sempre di più, e sempre più trasversali, gli ambiti in cui le aziende italiane percepiscono di correre dei rischi. Si tratta, spesso, di minacce incontrollabili: si pensi agli effetti devastanti di eventi climatici, alla stagnazione economica o allo spettro del cyber crime, che ormai minaccia ogni ambito di attività. Un rischio sempre più in evoluzione spinge il mondo delle imprese verso una costante ricerca di azioni concrete per gestire questa complessità. Chiedendo risposte adeguate a un mondo assicurativo che spesso non è in grado di offrire perché ancora troppo legato a schemi del passato. Per questo si fa sempre più urgente un’evoluzione tra i diversi attori del sistema: broker, compagnie, ma anche periti e risanatori, che possono e debbono collaborare in modo più proattivo già in fase di sottoscrizione della polizza. Questi alcuni degli spunti da cui ha preso il via il convegno Le aziende tra rischi e sinistri, organizzato ieri da Insurance Connect presso il Palazzo delle Stelline di Milano, presentato e interamente moderato dal direttore di tutte le testate di Insurance Connect, Maria Rosa Alaggio. Giunto alla terza edizione, il convegno ha visto la partecipazione di oltre 250 persone tra risk manager, responsabili assicuratori aziendali, broker, periti, risanatori, responsabili sinistri di compagnie, ma anche di diversi imprenditori, sempre più interessati a capire come è possibile gestire i rischi.
LA COMPETIZIONE SUL PREZZO È SBAGLIATA
Ad aprire il convegno, l’intervento del presidente di Cineas, Adolfo Bertani, secondo cui il mercato assicurativo italiano “è troppo concentrato nella ricerca del profitto e poco allo sviluppo: pochi investimenti e troppa competizione sul prezzo. Bisognerebbe, invece, acculturare il cliente”. Per far questo il mondo assicurativo ha bisogno di sviluppare nuove competenze, soprattutto nelle aree dell’underwriting e del loss adjustment. Anche per il presidente di Anra, Alessandro De Felice, competere sul costo della polizza è sbagliato: “il problema non è ridurre i costi dell’assicurazione ma ridurre il costo dei rischi”. In un mondo sempre più volatile, non si può più ragionare su schemi classici, ma occorre valutare gli effetti del rischio su ambiti come la posizione finanziaria dell’azienda o il Roe. “In questo senso – ha osservato De Felice – servirà un’attività di consulenza e analisi mista alla componente assicurativa. Perché il mondo delle imprese, anche di quelle piccole, si sta dimostrando sempre più consapevole dei rischi per la propria attività”. Lo ha confermato Francesco Saverio Losito, vice presidente di Asseprim- Confcommercio, che, portando il punto di vista delle imprese, ha spiegato che le aziende “sono sempre più consapevoli che l’offerta assicurativa è carente”, e ha biasimato “i tempi di istruttoria delle polizze fideiussorie, non tempestivi e inadeguati rispetto alle esigenze di un’impresa”. Gli ha replicato Maria Rita Arena, responsabile credito e cauzioni di Ania, che ha detto di “comprendere queste preoccupazioni”, aggiungendo che le imprese sono “disponibili a lavorare assieme agli altri attori del sistema”. Un sistema in cui i broker, sempre più chiamati in causa, dovrebbero fungere da risk manager per le tante piccole imprese che non possono permettersi questa figura specializzata. Secondo il presidente di Acb, Luigi Viganotti, la strada per arrivare a essere un valore aggiunto è quella della specializzazione; si è detto d’accordo anche il presidente di Aiba, Carlo Marietti Andreani, osservando che “i broker devono avere anche un approccio pedagogico verso quelle piccole aziende che hanno una difficoltà psicologica ad ammettere le esposizioni al rischio, come se fosse una loro colpa o debolezza”.
TRA INTERNAZIONALIZZAZIONE E RISCHI INFORMATICI
Da tempo, con la stagnazione dei consumi interni, le Pmi italiane stanno sempre di più guardando all’export, sottovalutando però il rischio internazionalizzazione, tema di cui ha parlato il ceo di Strategica group, Enrico Guarnerio. Sono circa 21mila le unità estere di multinazionali italiane: nel biennio 2014-2015, il 61,4% di loro ha programmato investimenti fuori dai confini italiani. “Tutto ciò – ha spiegato Guarnerio – ha impatti significativi sul risk management”. Lo scenario è stato poi approfondito dal successivo intervento di Paolo Tassetti, property, tech lines, global account e multinational manager di Chubb Italy. “Le aziende chiedono un valore aggiunto, qualcosa che sia più vicino alle loro esigenze. L’offerta c’è ma è standardizzata. All’estero – ha spiegato Tassetti – ci sono assicuratori e intermediari specializzati. Pensate alle potenzialità di sviluppo per il mercato italiano delle specializzazioni su vino, fashion, design”. Parlando poi di percezione dei rischi, il ceo di Agcs Italia, Nicola Mancino, ha citato una survey (basata su interviste a 800 risk manager di 40 diversi Paesi) realizzata dalla compagnia, che ha evidenziato tre temi caldi portati alla ribalta dalla globalizzazione: la business interruption (indicata dal 38% del panel), gli sviluppi del mercato (volatilità, stagnazione, disruption, indicati dal 34%) e il cyber crime (28%). Proprio questo è un aspetto su cui c’è ancora troppa poca consapevolezza. Le aziende sono tiepide: molti responsabili IT affermano di non aver mai avuto problemi o si dicono tranquilli perché in grado di gestire potenziali minacce. Eppure il panorama tracciato da Umberto Rapetto, ex generale della Guardia di Finanza (ora cyber security advisor), non è confortante. Citando numerosi episodi più o meno clamorosi di attacchi informatici ad aziende di ogni genere (ad esempio ospedali e associazioni), Rapetto ha illustrato la diffusa inconsapevolezza del mercato di quanto possa essere dannosa una minaccia come quella cyber: “serve uno schema di polizza standard in questo ambito, con un profilo di rischio adeguato alla realtà informatizzata”.
L’INSIDIA SI ANNIDA NEL CONTRATTO
Accanto ai rischi industriali, ce ne sono altri, più sottili, determinati dall’opacità con cui, spesso, sono redatti i contratti assicurativi. Di questo ha parlato l’avvocato Giorgio Grasso, Phd of counsel dello studio legale Simmons & Simmons, che nel suo intervento ha citato in particolare la sentenza della sezione III della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2016 n. 668 sulle clausole polisenso, e quella delle Sezioni Unite Cassazione del 6 maggio 2016 n. 9140 che avrebbe dovuto (senza però riuscirvi) risolvere i dubbi sulla clausola claims made, “delimitando solo l’oggetto piuttosto che la responsabilità”. Citando la nuova scheda informativa dell’Ivass, Grasso ha evidenziato come “la chiarezza giova al contraente ma anche alle compagnie”. L’altro intervento sulla normativa, a cura dell’avvocato Marco Rodolfi dello studio legale Mrv, ha riguardato l’evoluzione della responsabilità e dei rischi per manager e imprese. Dalla responsabilità civile per aziende e assicuratori, oneri di attivazione preventiva, agli obblighi di ripristino e risarcimento, Rodolfi ha posto l’accento “sull’esigenza di idonee e adeguate coperture, come l’Rc prodotti, o l’Rc ambientale”.
IMPREVEDIBILITÀ DEGLI EVENTI
Sebbene i rischi non siano prevedibili, l’assicuratore può offrire un valore aggiunto. È l’opinione di Andrea Bono, general manager di Marsh Italia, che ha spiegato come “le imprese stanno investendo molto in modelli predittivi e sistemi stocastici: il mercato è in evoluzione”. Per Uberto Ventura, managing director di Willis Towers Watson, è la prevenzione l’elemento principale. “Fare meno polizze per comprendere meglio il rischio e andare a trasferire sull’assicurazione solo ciò che è effettivamente assicurabile”. Ad esempio un tema caldo è quello delle risorse umane: il presidente esecutivo e dg di Aon Italia, Federico Casini, ha spiegato che “uno dei rischi maggiori per le aziende sta nella capacità di trattenere e attrarre i talenti”. Prevenire i rischi significa anche capacità di innovare, come ha spiegato nel suo intervento l’ad del gruppo per, Stefano Sala, secondo cui un’opportunità sono i servizi di pre loss: analisi del rischio, del business impact, piani di disaster recovery, piani di business continuity.
I GIOVANI CHIEDONO PIÙ SPAZIO
Ma le imprese sono soddisfatte delle risposte offerte del mondo assicurativo? È una domanda a cui Angelo Bruscino (classe 1980), presidente nazionale dei giovani imprenditori di Confapi (e autore del libro Il bivio, ed. Mondadori Electa), ha risposto partendo “dall’approccio al rischio come fattore culturale e innovatore per le imprese”. Bruscino ha esortato gli assicuratori (in particolare gli intermediari) a fare di più. “Con il broker non vorrei discutere solo di prezzo: vorrei che mi aprisse la mente, spiegandomi con quali strategie posso concretamente gestire i rischi della mia azienda". Secondo Nicola Cattabeni, presidente di Ugari, le compagnie stanno già da tempo cercando di far evolvere le capacità consulenziali dei propri agenti, anche se, ha lamentato, “il settore ha una scarsa capacità di attrarre i giovani, e di stimolare la loro curiosità”.
IMPRESE E SINISTRI: ESPERIENZE A CONFRONTO
La tavola rotonda conclusiva ha dato voce ai rappresentati del tessuto produttivo italiano: grandi imprese o piccoli artigiani, ognuno ha portato alla luce la propria storia e, con essa, la modalità con cui sono stati gestiti i rischi. Ha iniziato Carlo Cosimi, insurance vice president di Saipem parlando di un grave sinistro avvenuto nel 2013 in una piattaforma estrattiva in Angola; la parola è poi passata ad Alberto Beretta, consigliere delegato del gruppo Beretta che ha raccontato l’episodio di un suo stabilimento, incendiatosi in prossimità del periodo natalizio (danno da 19 milioni di euro, cinque mesi di gestione sinistro), per poi passare la parola a Claudio Marchionni, responsabile logistica Unieuro, ad Andrea Angeletti, insurance and claims manager di Aereoporti di Roma, fino a Gianni Sala (falegnameria Sala) artigiano, in rappresentanza di quella che è sempre citata come l’ossatura del sistema Italia: la piccola impresa. Assieme a loro ha dato un prezioso contributo alla discussione Filippo Emanuelli, ad di Belfor Italia, secondo cui “il risanatore può contribuire ad aumentare la percezione del rischio per gli assicurati: per questo da anni mandiamo i nostri tecnici a spiegare l’importanza dei rischi che possono essere molto impattanti”. Esistono però rischi non quantificabili, come ha osservato il presidente di Aipai, Francesco Cincotti, raccontando la sua recente esperienza di perito nell’ambito dell’attentato terroristico all’aereoporto di Bruxelles: “l’imprevedibilità – ha spiegato – sta nel fatto che la maggior parte dei danni non sono fisici, ma sono dovuti alla paura. E la paura non è assicurabile”.
(Il resoconto dell’intero convegno sarà pubblicato su Insurance Review di luglio. Tutti i video e le presentazioni saranno pubblicate sul questo sito)
LA COMPETIZIONE SUL PREZZO È SBAGLIATA
Ad aprire il convegno, l’intervento del presidente di Cineas, Adolfo Bertani, secondo cui il mercato assicurativo italiano “è troppo concentrato nella ricerca del profitto e poco allo sviluppo: pochi investimenti e troppa competizione sul prezzo. Bisognerebbe, invece, acculturare il cliente”. Per far questo il mondo assicurativo ha bisogno di sviluppare nuove competenze, soprattutto nelle aree dell’underwriting e del loss adjustment. Anche per il presidente di Anra, Alessandro De Felice, competere sul costo della polizza è sbagliato: “il problema non è ridurre i costi dell’assicurazione ma ridurre il costo dei rischi”. In un mondo sempre più volatile, non si può più ragionare su schemi classici, ma occorre valutare gli effetti del rischio su ambiti come la posizione finanziaria dell’azienda o il Roe. “In questo senso – ha osservato De Felice – servirà un’attività di consulenza e analisi mista alla componente assicurativa. Perché il mondo delle imprese, anche di quelle piccole, si sta dimostrando sempre più consapevole dei rischi per la propria attività”. Lo ha confermato Francesco Saverio Losito, vice presidente di Asseprim- Confcommercio, che, portando il punto di vista delle imprese, ha spiegato che le aziende “sono sempre più consapevoli che l’offerta assicurativa è carente”, e ha biasimato “i tempi di istruttoria delle polizze fideiussorie, non tempestivi e inadeguati rispetto alle esigenze di un’impresa”. Gli ha replicato Maria Rita Arena, responsabile credito e cauzioni di Ania, che ha detto di “comprendere queste preoccupazioni”, aggiungendo che le imprese sono “disponibili a lavorare assieme agli altri attori del sistema”. Un sistema in cui i broker, sempre più chiamati in causa, dovrebbero fungere da risk manager per le tante piccole imprese che non possono permettersi questa figura specializzata. Secondo il presidente di Acb, Luigi Viganotti, la strada per arrivare a essere un valore aggiunto è quella della specializzazione; si è detto d’accordo anche il presidente di Aiba, Carlo Marietti Andreani, osservando che “i broker devono avere anche un approccio pedagogico verso quelle piccole aziende che hanno una difficoltà psicologica ad ammettere le esposizioni al rischio, come se fosse una loro colpa o debolezza”.
TRA INTERNAZIONALIZZAZIONE E RISCHI INFORMATICI
Da tempo, con la stagnazione dei consumi interni, le Pmi italiane stanno sempre di più guardando all’export, sottovalutando però il rischio internazionalizzazione, tema di cui ha parlato il ceo di Strategica group, Enrico Guarnerio. Sono circa 21mila le unità estere di multinazionali italiane: nel biennio 2014-2015, il 61,4% di loro ha programmato investimenti fuori dai confini italiani. “Tutto ciò – ha spiegato Guarnerio – ha impatti significativi sul risk management”. Lo scenario è stato poi approfondito dal successivo intervento di Paolo Tassetti, property, tech lines, global account e multinational manager di Chubb Italy. “Le aziende chiedono un valore aggiunto, qualcosa che sia più vicino alle loro esigenze. L’offerta c’è ma è standardizzata. All’estero – ha spiegato Tassetti – ci sono assicuratori e intermediari specializzati. Pensate alle potenzialità di sviluppo per il mercato italiano delle specializzazioni su vino, fashion, design”. Parlando poi di percezione dei rischi, il ceo di Agcs Italia, Nicola Mancino, ha citato una survey (basata su interviste a 800 risk manager di 40 diversi Paesi) realizzata dalla compagnia, che ha evidenziato tre temi caldi portati alla ribalta dalla globalizzazione: la business interruption (indicata dal 38% del panel), gli sviluppi del mercato (volatilità, stagnazione, disruption, indicati dal 34%) e il cyber crime (28%). Proprio questo è un aspetto su cui c’è ancora troppa poca consapevolezza. Le aziende sono tiepide: molti responsabili IT affermano di non aver mai avuto problemi o si dicono tranquilli perché in grado di gestire potenziali minacce. Eppure il panorama tracciato da Umberto Rapetto, ex generale della Guardia di Finanza (ora cyber security advisor), non è confortante. Citando numerosi episodi più o meno clamorosi di attacchi informatici ad aziende di ogni genere (ad esempio ospedali e associazioni), Rapetto ha illustrato la diffusa inconsapevolezza del mercato di quanto possa essere dannosa una minaccia come quella cyber: “serve uno schema di polizza standard in questo ambito, con un profilo di rischio adeguato alla realtà informatizzata”.
L’INSIDIA SI ANNIDA NEL CONTRATTO
Accanto ai rischi industriali, ce ne sono altri, più sottili, determinati dall’opacità con cui, spesso, sono redatti i contratti assicurativi. Di questo ha parlato l’avvocato Giorgio Grasso, Phd of counsel dello studio legale Simmons & Simmons, che nel suo intervento ha citato in particolare la sentenza della sezione III della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2016 n. 668 sulle clausole polisenso, e quella delle Sezioni Unite Cassazione del 6 maggio 2016 n. 9140 che avrebbe dovuto (senza però riuscirvi) risolvere i dubbi sulla clausola claims made, “delimitando solo l’oggetto piuttosto che la responsabilità”. Citando la nuova scheda informativa dell’Ivass, Grasso ha evidenziato come “la chiarezza giova al contraente ma anche alle compagnie”. L’altro intervento sulla normativa, a cura dell’avvocato Marco Rodolfi dello studio legale Mrv, ha riguardato l’evoluzione della responsabilità e dei rischi per manager e imprese. Dalla responsabilità civile per aziende e assicuratori, oneri di attivazione preventiva, agli obblighi di ripristino e risarcimento, Rodolfi ha posto l’accento “sull’esigenza di idonee e adeguate coperture, come l’Rc prodotti, o l’Rc ambientale”.
IMPREVEDIBILITÀ DEGLI EVENTI
Sebbene i rischi non siano prevedibili, l’assicuratore può offrire un valore aggiunto. È l’opinione di Andrea Bono, general manager di Marsh Italia, che ha spiegato come “le imprese stanno investendo molto in modelli predittivi e sistemi stocastici: il mercato è in evoluzione”. Per Uberto Ventura, managing director di Willis Towers Watson, è la prevenzione l’elemento principale. “Fare meno polizze per comprendere meglio il rischio e andare a trasferire sull’assicurazione solo ciò che è effettivamente assicurabile”. Ad esempio un tema caldo è quello delle risorse umane: il presidente esecutivo e dg di Aon Italia, Federico Casini, ha spiegato che “uno dei rischi maggiori per le aziende sta nella capacità di trattenere e attrarre i talenti”. Prevenire i rischi significa anche capacità di innovare, come ha spiegato nel suo intervento l’ad del gruppo per, Stefano Sala, secondo cui un’opportunità sono i servizi di pre loss: analisi del rischio, del business impact, piani di disaster recovery, piani di business continuity.
I GIOVANI CHIEDONO PIÙ SPAZIO
Ma le imprese sono soddisfatte delle risposte offerte del mondo assicurativo? È una domanda a cui Angelo Bruscino (classe 1980), presidente nazionale dei giovani imprenditori di Confapi (e autore del libro Il bivio, ed. Mondadori Electa), ha risposto partendo “dall’approccio al rischio come fattore culturale e innovatore per le imprese”. Bruscino ha esortato gli assicuratori (in particolare gli intermediari) a fare di più. “Con il broker non vorrei discutere solo di prezzo: vorrei che mi aprisse la mente, spiegandomi con quali strategie posso concretamente gestire i rischi della mia azienda". Secondo Nicola Cattabeni, presidente di Ugari, le compagnie stanno già da tempo cercando di far evolvere le capacità consulenziali dei propri agenti, anche se, ha lamentato, “il settore ha una scarsa capacità di attrarre i giovani, e di stimolare la loro curiosità”.
IMPRESE E SINISTRI: ESPERIENZE A CONFRONTO
La tavola rotonda conclusiva ha dato voce ai rappresentati del tessuto produttivo italiano: grandi imprese o piccoli artigiani, ognuno ha portato alla luce la propria storia e, con essa, la modalità con cui sono stati gestiti i rischi. Ha iniziato Carlo Cosimi, insurance vice president di Saipem parlando di un grave sinistro avvenuto nel 2013 in una piattaforma estrattiva in Angola; la parola è poi passata ad Alberto Beretta, consigliere delegato del gruppo Beretta che ha raccontato l’episodio di un suo stabilimento, incendiatosi in prossimità del periodo natalizio (danno da 19 milioni di euro, cinque mesi di gestione sinistro), per poi passare la parola a Claudio Marchionni, responsabile logistica Unieuro, ad Andrea Angeletti, insurance and claims manager di Aereoporti di Roma, fino a Gianni Sala (falegnameria Sala) artigiano, in rappresentanza di quella che è sempre citata come l’ossatura del sistema Italia: la piccola impresa. Assieme a loro ha dato un prezioso contributo alla discussione Filippo Emanuelli, ad di Belfor Italia, secondo cui “il risanatore può contribuire ad aumentare la percezione del rischio per gli assicurati: per questo da anni mandiamo i nostri tecnici a spiegare l’importanza dei rischi che possono essere molto impattanti”. Esistono però rischi non quantificabili, come ha osservato il presidente di Aipai, Francesco Cincotti, raccontando la sua recente esperienza di perito nell’ambito dell’attentato terroristico all’aereoporto di Bruxelles: “l’imprevedibilità – ha spiegato – sta nel fatto che la maggior parte dei danni non sono fisici, ma sono dovuti alla paura. E la paura non è assicurabile”.
(Il resoconto dell’intero convegno sarà pubblicato su Insurance Review di luglio. Tutti i video e le presentazioni saranno pubblicate sul questo sito)
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