Nuovi equilibri economici e nuove opportunità commerciali
Rallentano i Brics ed è timida la ripresa nell'Eurozona, ma un gruppo di dieci Paesi si sta imponendo all'attenzione delle dinamiche commerciali future. Sono alcuni degli elementi emersi, ieri a Milano, nell'ultima conferenza Rischio Paese di Coface, nel corso della quale si è parlato anche delle Pmi italiane, delle strategie di internazionalizzazione, e dei mercati esteri in cui conviene investire
21/05/2014
Non solo Brics. I protagonisti di domani si chiamano Colombia, Indonesia, Kenya. Se Cina, Brasile, India e Russia corrono meno velocemente di prima, una decina di altri Paesi si sta prepotentemente affermando sulla scena internazionale grazie al proprio dinamismo economico e alle opportunità che offrono alle aziende internazionali. È una delle tendenze emerse dalla XIII Conferenza rischio Paese di Coface tenutasi ieri a Milano.
Nel mondo si stanno definendo nuovi equilibri economici e nuove opportunità commerciali", ha ricordato in apertura dei lavori il country manager italiano di Coface, Ernesto De Martinis, osservando che "dalla crisi abbiamo appreso che le aziende con una vocazione all'export sono più in grado di cogliere le opportunità. Rispetto al clima della scorsa edizione - ha osservato - c'è più ottimismo, con evidenti prospettive di ripresa". Uno dei temi centrali della conferenza è stato quello dell'internazionalizzazione e delle nuove opportunità di sviluppo per le imprese italiane. Osservandole con attenzione, le performance delle nostre Pmi all'estero non sono affatto modeste. "L'Italia oggi resta l'11° esportatore mondiale di merci e il 10° importatore, il 14° esportatore di servizi e il 12° importatore", ha ricordato Fabrizio Onida, professore emerito di Economia internazionale all'Università Bocconi di Milano. Tuttavia, ha aggiunto, "dopo la recessione abbiamo ripreso a crescere a un livello inferiore". Nel commercio internazionale la posizione dell'Italia non avanza, ma ciò non è dovuto tanto a una scarsa iniziativa delle imprese italiane, quanto piuttosto all'ascesa di altri competitor: Usa e Giappone, ad esempio, hanno perso più posizioni rispetto a noi. Innovazione e internazionalizzazione sono assolutamente complementari per lo sviluppo di un Paese come il nostro. "L'Italia mantiene un mix di export di qualità elevata, ma questo patrimonio pesa sempre meno per via di barriere strutturali che comprimono l'iniziativa imprenditoriale", ha evidenziato Onida, spiegando che per mantenere le proprie quote di export, spesso le nostre imprese sacrificano margini di profitto. Tuttavia, qualità e mix di prodotti sono migliorati. "Occorre che le Pmi italiane coltivino le nicchie più dinamiche, nei segmenti in cui sono specializzate. L'Italia è un Paese resiliente - ha osservato Onida -. Le riforme strutturali che migliorano la capacità di fare business sono assolutamente necessarie, ma non bastano a creare una vigorosa valorizzazione dei vantaggi competitivi potenziali, oggi non pienamente sfruttati. Occorre che lo Stato - ha concluso Onida - pensi anche a promuovere programmi di ricerca industriale pre-competitiva".
I dieci nuovi Paesi emergenti
A seguire, Julien Marcilly, head of Country risk di Coface, ha illustrato lo scenario sul rischio Paese fornendo un quadro a livello mondiale. "Nonostante un primo trimestre al di sotto delle aspettative, negli Usa l'attesa per l'anno in corso è favorevole", ha detto. Diverso è lo scenario dell'Eurozona, dove la ripresa è ancora fragile: si intravedono positivi segnali, ma "la bassa inflazione continua a rappresentare un rischio per le imprese - ha spiegato - mentre resta debole la crescita del credito. Permangono ancora una serie di rischi: disoccupazione, crescita del Pil e la solvibilità delle imprese". Marcilly ha poi presentato un focus specifico sui cosiddetti nuovi emergenti, ovvero i dieci Paesi che Coface ha identificato come futuri protagonisti delle dinamiche di sviluppo internazionale: Colombia, Indonesia, Perù, Filippine, Sri Lanka, Kenya, Tanzania, Zambia, Bangladesh ed Etiopia. Per i Brics il boom economico è destinato a rallentare: le previsioni di Coface per il 2014 sono del 3,2% più basse rispetto alla crescita media registrata negli ultimi dieci anni, mentre attualmente il livello del Pil di questo Gruppo dei dieci rappresenta il 70% di quello dei Brics nel 2001(anno in cui l'economista Jim O'Neill coniò questo acronimo).
Internazionalizzare non è delocalizzare
Si è poi discusso di nuovi modelli innovativi per l'internazionalizzazione e dell'impatto dell'export sulle imprese italiane, in una tavola rotonda dal titolo Dopo i Brics: quali i Paesi più promettenti. I nuovi percorsi dell'internazionalizzazione. "Noi abbiamo bisogno del know how italiano - ha detto Oscar Camacho, console commerciale del Messico in Italia - dei suoi macchinari, della sua intelligenza, e della sua creatività". Per le Pmi italiane le maggiori opportunità sono in settori come quello aerospaziale e dell'automotive. L'invito del console agli imprenditori del nostro Paese è quello di "portare il talento italiano nella filiera produttiva del Messico: questo significa internazionalizzare, e non delocalizzare". Filippo Fantechi, ceo di Contax partners che vive stabilmente in Bahrein, ha poi parlato dei Paesi del Golfo: Kuwait, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi, Oman. Stati che non stanno più solo esportando materie prime, ma acquisendo il know how per implementare altri settori produttivi. È il caso delle infrastrutture, business che negli ultimi anni ha preso il sopravvento su quello energetico. "Quella del Golfo - ha detto Fantechi - è un'area su cui l'Italia fa bene a scommettere". Jacopo Antonio Fusaia, console in Italia dell'Indonesia (4° Paese più popoloso al mondo), ha spiegato che nel colosso asiatico il Belpaese "ha uno straordinario vantaggio competitivo: è un Paese amatissimo e percepito in modo estremamente positivo". Un terreno fertile "non solo per esportare, ma per andare a produrre in loco. Le opportunità esistono. Dal punto di vista infrastrutturale, ad esempio, ci sono decine di grandi e medi progetti in cantiere". Gianpaolo Bruno, dirigente dell'Istituto per il commercio estero (Ice), ha poi messo l'accento sulla necessità per le imprese che guardano all'estero di "saper fare squadra. Uno dei problemi più ricorrenti - ha spiegato - è quello di portare le micro-realtà imprenditoriali italiane sui mercati esteri. Per le Pmi è sempre più difficile captare le opportunità e gestirle: il ruolo che l'Ice svolge è pertanto quello di offrire loro un supporto in termini di servizi, formazione, consulenza e promozione. L'imperativo per le nostre Pmi - ha concluso Bruno - è quello di agganciare i global value chain, cioè i segmenti a maggior valore aggiunto". Alberto Rigoni, vice president group clients internationalization di UniCredit ha poi ricordato che "le Pmi spesso guardano all'internazionalizzazione basandosi più sull'intuizione che su un approccio sistematico". L'obiettivo di chi finanzia l'imprenditore che vuole andare all'estero deve pertanto essere quello di " aiutarlo a percepire il significato profondo di questo passaggio, fornendogli le informazioni necessarie a fagli comprendere quale sarà il contesto in cui andrà a operare".
Nel mondo si stanno definendo nuovi equilibri economici e nuove opportunità commerciali", ha ricordato in apertura dei lavori il country manager italiano di Coface, Ernesto De Martinis, osservando che "dalla crisi abbiamo appreso che le aziende con una vocazione all'export sono più in grado di cogliere le opportunità. Rispetto al clima della scorsa edizione - ha osservato - c'è più ottimismo, con evidenti prospettive di ripresa". Uno dei temi centrali della conferenza è stato quello dell'internazionalizzazione e delle nuove opportunità di sviluppo per le imprese italiane. Osservandole con attenzione, le performance delle nostre Pmi all'estero non sono affatto modeste. "L'Italia oggi resta l'11° esportatore mondiale di merci e il 10° importatore, il 14° esportatore di servizi e il 12° importatore", ha ricordato Fabrizio Onida, professore emerito di Economia internazionale all'Università Bocconi di Milano. Tuttavia, ha aggiunto, "dopo la recessione abbiamo ripreso a crescere a un livello inferiore". Nel commercio internazionale la posizione dell'Italia non avanza, ma ciò non è dovuto tanto a una scarsa iniziativa delle imprese italiane, quanto piuttosto all'ascesa di altri competitor: Usa e Giappone, ad esempio, hanno perso più posizioni rispetto a noi. Innovazione e internazionalizzazione sono assolutamente complementari per lo sviluppo di un Paese come il nostro. "L'Italia mantiene un mix di export di qualità elevata, ma questo patrimonio pesa sempre meno per via di barriere strutturali che comprimono l'iniziativa imprenditoriale", ha evidenziato Onida, spiegando che per mantenere le proprie quote di export, spesso le nostre imprese sacrificano margini di profitto. Tuttavia, qualità e mix di prodotti sono migliorati. "Occorre che le Pmi italiane coltivino le nicchie più dinamiche, nei segmenti in cui sono specializzate. L'Italia è un Paese resiliente - ha osservato Onida -. Le riforme strutturali che migliorano la capacità di fare business sono assolutamente necessarie, ma non bastano a creare una vigorosa valorizzazione dei vantaggi competitivi potenziali, oggi non pienamente sfruttati. Occorre che lo Stato - ha concluso Onida - pensi anche a promuovere programmi di ricerca industriale pre-competitiva".
I dieci nuovi Paesi emergenti
A seguire, Julien Marcilly, head of Country risk di Coface, ha illustrato lo scenario sul rischio Paese fornendo un quadro a livello mondiale. "Nonostante un primo trimestre al di sotto delle aspettative, negli Usa l'attesa per l'anno in corso è favorevole", ha detto. Diverso è lo scenario dell'Eurozona, dove la ripresa è ancora fragile: si intravedono positivi segnali, ma "la bassa inflazione continua a rappresentare un rischio per le imprese - ha spiegato - mentre resta debole la crescita del credito. Permangono ancora una serie di rischi: disoccupazione, crescita del Pil e la solvibilità delle imprese". Marcilly ha poi presentato un focus specifico sui cosiddetti nuovi emergenti, ovvero i dieci Paesi che Coface ha identificato come futuri protagonisti delle dinamiche di sviluppo internazionale: Colombia, Indonesia, Perù, Filippine, Sri Lanka, Kenya, Tanzania, Zambia, Bangladesh ed Etiopia. Per i Brics il boom economico è destinato a rallentare: le previsioni di Coface per il 2014 sono del 3,2% più basse rispetto alla crescita media registrata negli ultimi dieci anni, mentre attualmente il livello del Pil di questo Gruppo dei dieci rappresenta il 70% di quello dei Brics nel 2001(anno in cui l'economista Jim O'Neill coniò questo acronimo).
Internazionalizzare non è delocalizzare
Si è poi discusso di nuovi modelli innovativi per l'internazionalizzazione e dell'impatto dell'export sulle imprese italiane, in una tavola rotonda dal titolo Dopo i Brics: quali i Paesi più promettenti. I nuovi percorsi dell'internazionalizzazione. "Noi abbiamo bisogno del know how italiano - ha detto Oscar Camacho, console commerciale del Messico in Italia - dei suoi macchinari, della sua intelligenza, e della sua creatività". Per le Pmi italiane le maggiori opportunità sono in settori come quello aerospaziale e dell'automotive. L'invito del console agli imprenditori del nostro Paese è quello di "portare il talento italiano nella filiera produttiva del Messico: questo significa internazionalizzare, e non delocalizzare". Filippo Fantechi, ceo di Contax partners che vive stabilmente in Bahrein, ha poi parlato dei Paesi del Golfo: Kuwait, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi, Oman. Stati che non stanno più solo esportando materie prime, ma acquisendo il know how per implementare altri settori produttivi. È il caso delle infrastrutture, business che negli ultimi anni ha preso il sopravvento su quello energetico. "Quella del Golfo - ha detto Fantechi - è un'area su cui l'Italia fa bene a scommettere". Jacopo Antonio Fusaia, console in Italia dell'Indonesia (4° Paese più popoloso al mondo), ha spiegato che nel colosso asiatico il Belpaese "ha uno straordinario vantaggio competitivo: è un Paese amatissimo e percepito in modo estremamente positivo". Un terreno fertile "non solo per esportare, ma per andare a produrre in loco. Le opportunità esistono. Dal punto di vista infrastrutturale, ad esempio, ci sono decine di grandi e medi progetti in cantiere". Gianpaolo Bruno, dirigente dell'Istituto per il commercio estero (Ice), ha poi messo l'accento sulla necessità per le imprese che guardano all'estero di "saper fare squadra. Uno dei problemi più ricorrenti - ha spiegato - è quello di portare le micro-realtà imprenditoriali italiane sui mercati esteri. Per le Pmi è sempre più difficile captare le opportunità e gestirle: il ruolo che l'Ice svolge è pertanto quello di offrire loro un supporto in termini di servizi, formazione, consulenza e promozione. L'imperativo per le nostre Pmi - ha concluso Bruno - è quello di agganciare i global value chain, cioè i segmenti a maggior valore aggiunto". Alberto Rigoni, vice president group clients internationalization di UniCredit ha poi ricordato che "le Pmi spesso guardano all'internazionalizzazione basandosi più sull'intuizione che su un approccio sistematico". L'obiettivo di chi finanzia l'imprenditore che vuole andare all'estero deve pertanto essere quello di " aiutarlo a percepire il significato profondo di questo passaggio, fornendogli le informazioni necessarie a fagli comprendere quale sarà il contesto in cui andrà a operare".
© RIPRODUZIONE RISERVATA