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Gli effetti indiretti dei dazi americani

L'aumento delle barriere doganali voluto da Trump produrrà danni collaterali sulle esportazioni a valore aggiunto

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Le vittime dell'inasprimento dei dazi statunitensi non sono solo i Paesi che effettivamente ne sono colpiti. L'accelerazione dell'incremento dei tributi doganali negli Stati Uniti è avvenuta principalmente tra il 2016 (+5,4%) e il 2018 (+12,5%), in linea con la svolta trumpiana dell'economia americana. Attualmente, scrive Coface in una sua recente analisi, "il numero di misure protezioniste messe in atto nel mondo è 2,5 volte più elevato rispetto al 2010. Nella maggior parte delle economie avanzate (Stati Uniti, Europa occidentale, Giappone, Canada, Australia) e in molti dei grandi emergenti (Brasile, Argentina, India), la quota d’importazioni colpite dalle misure protezioniste è superiore alla quota di quelle che beneficiano delle misure favorevoli". 

Ma c'è, appunto, un altro danno collaterale di questa politica. Si teme, dicono gli analisti, uno shock più pesante del previsto per via di un effetto negativo indiretto sulle esportazioni di valore aggiunto in 12 settori di attività in 63 Paesi: "l'aumento di un punto percentuale delle barriere doganali americane imposte a un dato Paese – spiega Coface – si traduce, a parità di condizioni, in una diminuzione dello 0,46% delle esportazioni a valore aggiunto da un Paese partner verso il Paese oggetto di barriere doganali, e dello 0,6% in caso di una stima limitata ai settori manifatturieri". 

Coface ricorda che Germania, Giappone e gli stessi Stati Uniti sono i primi Paesi colpiti da questi effetti indiretti nel caso delle esportazioni di auto cinesi. Altri settori colpiti pesantemente sono quello dei macchinari, il minerario, il carta-legno e l'elettronica.

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